Antonio Salieri, il ritorno del maestro dimenticato

Con Elena Biggi Parodi, presidente del Comitato scientifico dell’Edizione nazionale delle opere di Salieri, alla scoperta del vero volto del compositore di Legnago (oltre i cliché di Amadeus)

SN

13 novembre 2025 • 15 minuti di lettura

“Falstaff”, Antonio Salieri (EnneviFoto)
“Falstaff”, Antonio Salieri (EnneviFoto)

Una vita (e non solo) all’ombra di Mozart: se lui è il conformista, il compositore tutto regole e poca ispirazione, il salisburghese è il talento, il genio assoluto tutto sregolatezza. Colpevole è soprattutto il dramma Mozart e Salieri del russo Aleksandr Puškin del 1830 e il suo remake, la pièce Amadeus di Peter Shaffer del 1978 e soprattutto la sua spettacolare trasposizione cinematografica di Miloš Forman del 1984. Assai sporadicamente presente nei cartelloni dei nostri teatri, forse è finalmente arrivato il tempo del riscatto per Antonio Salieri, nato nel 1750 a Legnago, cittadina sull’Adige a metà strada fra Verona e Rovigo, divenuto celebre a Vienna dove servì la corte asburgica con diversi e prestigiosi incarichi.

Amadeus (regia Miloš Forman, 1984)
Amadeus (regia Miloš Forman, 1984)

È dello scorso marzo, infatti, il Decreto del ministro della Cultura che istituisce l’Edizione nazionale delle opere di Antonio Salieri. Presidente della Commissione scientifica preposta è stata eletta Elena Biggi Parodi, professore ordinario di Storia e storiografia musicale presso il Conservatorio di Musica “Arrigo Boito” di Parma. Dal 1994 la sua ricerca si è concentrata in particolare sulla musica di Antonio Salieri e dal 2000 ha realizzato diverse edizioni critiche di partiture del compositore. Fra queste, quella dell’oratorio La Passione di Gesù Cristo per Suvini Zerboni, della cantata per coro e orchestra Le Jugement dernier eseguita dai Solisti Veneti nel 2005 e più di recente dell’opera Falstaff ossia le tre burle per l’Editore Ricordi. E proprio quest’ultima partitura è stata utilizzata nella recente produzione dell’opera di Salieri che al Teatro Filarmonico ha inaugurato nello scorso gennaio la stagione 2025 della Fondazione Arena di Verona.

Antonio Salieri
Antonio Salieri

Con Elena Ricci Parodi abbiamo dialogato su Antonio Salieri, sull’importanza della sua musica e sui programmi dell’Edizione nazionale delle opere del compositore.

Come nasce il suo interesse per la musica di Antonio Salieri?

«Da Mozart. Anzi, da Francesco Pollini, il compositore di cui ho trovato le prove fosse il Barone Pulini, il tenore per cui Mozart riscrisse la parte di Idamante nell’Idomeneo. Dopo Vienna e Parigi, Pollini visse a Milano, italianizzò il nome, scrisse il metodo per pianoforte del Conservatorio e Bellini gli dedicò La Sonnambula. Quando Rudolph Angermüller, segretario del Mozarteum, mi invitò a parlare di Pollini a un convegno a Rovereto, mi ero appena sposata con un veronese della Bassa, la campagna a sud di Verona. Oltre alla ricerca, ho sempre collaborato con i quotidiani per poter ascoltare dal vivo la vita musicale: l'interesse del territorio per Salieri faceva nascere proposte curiose che mi veniva chiesto di recensire per L’Arena, come alcuni quartetti di Salieri per archi indicati come ‘sinfonie’, in cui i musicisti trascrivendo ciò che era scritto sul manoscritto non avevano capito che si trattava delle riduzioni per quartetto d'archi fatte da altri di alcune sue ouverture di opere. Così compresi quanto poco si conoscesse la sua produzione. Incontrando Angermüller, che più di tutti aveva studiato le fonti salieriane, gli chiesi se volesse proseguire il suo lavoro con un indispensabile catalogo tematico. Mi rispose con il suo italiano buffo, senza repliche: “Lei fare”. Da allora nacque una bella amicizia, anche con sua moglie Hannelore. Venivano spesso da noi nella Bassa, e con i miei figli andavamo a trovarli a Salisburgo, dove Rudolph mostrò ai bambini gli autografi di Mozart. Per loro era l’amico che gli insegnava a mangiare i würstel nel cartoccio, in piazza dopo la messa, ma furono impressionati di incontrare la sua segretaria che avevano visto in TV in un programma di Piero Angela. Nei miei anni di lavoro sulle fonti teatrali di Salieri, Rudolph fu un aiuto prezioso — prima dell’era digitale — e anche l'amico con cui avevo un dialogo basato sulle composizioni di Mozart e Salieri. Come quella volta che ridendo, mi telefonò da Venezia per raccontarmi che era scivolato in Laguna, “Elena, io, Nell’acqua il buzzone!”, citando il terzetto del Falstaff di Salieri in cui le comari raccontano l'episodio della cesta».

Quanto hanno nuociuto Alexander Puškin e più tardi Peter Shaffer e soprattutto il film di Miloš Forman alla reputazione di Salieri e quindi alla corretta conoscenza della sua produzione musicale?

«“Meglio ricco e sano, che povero e malato” recita un vecchio e scontato adagio. Nel caso di Salieri invece sembra aver giocato a suo danno. Nel dramma di Puskin Mozart e Salieri, il primo di una lunga serie sul presunto assassinio di Mozart da parte di Salieri, più della calunniosa ipotesi dell’omicidio, ha nuociuto al compositore l’immagine di musicista “accademico”, considerato mediocre perché soggetto alle direttive dell'imperatore, mentre il pressante bisogno economico di Mozart è sembrato assurgere a categoria estetica e la libera professione a valore morale. Credo che la causa dell’etichetta di compositore “accademico” apposta a Salieri sia legata al suo essere al servizio dell’imperatore. All’epoca di Puskin, un momento storico nel quale l’artista sembra affrancarsi dal potere aristocratico per ottenere l’indipendenza spirituale della libera professione, il fatto d’aver ricoperto la più importante delle cariche musicali del Sacro Romano Impero fu considerata mancanza di autonomia estetica. In realtà la libertà e l’indipendenza dell’artista romantico sono luoghi comuni prodotti dalla concezione ottocentesca dell’arte, considerata come un’attività astratta che interessa le sfere più alte del pensiero dell’artista, mentre successivamente è stato dimostrato che nessuna opera d’arte è slegata dal mondo circostante, non può esistere in pratica una musica “pura”. È stato assai ben chiarito ad esempio quanto durante il Romanticismo l’artista sia condizionato dai gusti del pubblico».

Ci sono stati anche ostacoli alla diffusione della sua musica?

«Per eseguire le composizioni più significative del compositore di Legnago c’è bisogno d’una grande orchestra da camera, dei solisti e d’un coro. L’esecuzione di questa musica risulta dunque impegnativa anche sul piano organizzativo ed economico. Inoltre la sua posizione privilegiata fece sì che Salieri non avesse la stessa necessità dei suoi colleghi di sfruttare le possibilità del mercato editoriale nascente, per questo la maggior parte di queste composizioni ci sono rimaste manoscritte, rendendone oggi a maggior ragione difficile l’esecuzione. Ai nostri giorni accade assai spesso che la musica di Salieri, originariamente per orchestra, sia eseguita in riduzioni per altri organici realizzati successivamente da altri musicisti. Ciò è tanto più dannoso considerando che in questo modo si perde totalmente la ricchezza timbrica e l’incisività drammatica della sua scrittura orchestrale, una fra le caratteristiche più notevoli del suo stile. È abbastanza comprensibile allora perché spesso Salieri nei concerti in cui si eseguono le pagine strumentali o le riduzioni delle sue opere, riesca abbastanza malconcio».

“Falstaff”, Antonio Salieri (EnneviFoto)
“Falstaff”, Antonio Salieri (EnneviFoto)

Qual è il contributo più significativo di Antonio Salieri nella produzione musicale viennese fra fine Settecento e inizio Ottocento?

«Salieri è uno tra i molti ed eccellenti compositori d’opere del periodo classico le cui composizioni sono oggi quasi completamente ignote agli amanti dell'opera. Molti degli aspetti della sua musica operistica possono essere ritrovati nelle opere di Mozart, Sarti, Paisiello, Martin y Soler e Gassmann, oggi dimenticati. Come hanno ben chiarito molti studiosi fra cui John Platoff, John Rice, il linguaggio che noi oggi consideriamo “mozartiano” come se fosse appannaggio esclusivo del genio di Salisburgo fu in realtà il linguaggio usato dai compositori della sua epoca: le stesse convenzioni melodiche, le stesse cadenze, gli accompagnamenti, lo stesso stile comico per i caratteri buffi, e lo stesso tipo di approccio lirico per quelli seri. Naturalmente ci sono delle differenze ma sono più sottili di quello che potremmo aspettarci. La riscoperta della produzione operistica del maestro di Legnago oltre che per i valori estetici contenuti in sé sarà utile per una migliore e più ampia conoscenza della musica di quel periodo nel quale nessuno componeva la propria musica in completo isolamento. Salieri fu un compositore europeo nel più ampio senso del termine perché nella sua produzione, stabile a Vienna nell’arco di trent’anni si intrecciano le influenze dell’opera metastasianaMetastasio viveva a Vienna e pur scrivendo solo in italiano fu il Poeta Cesareo di Carlo VI e di Maria Teresa il tentativo di riforma delle opere di Gluck e Calzabigi, l’esperienza dell’opera buffa goldoniana e della farsa, della produzione teatrale dell'Opéra-comique francese e della Tragédie-Lyrique, il balletto pantomimico, della produzione teatrale della Francia rivoluzionaria e della Restaurazione con Beaumarchais. La sua produzione teatrale testimonia dunque anche la liaison fra Vienna e Parigi, un asse culturale dominante, destinato a propagare il proprio influsso nella capitale lombarda, a Venezia e a Firenze, sviluppando per esempio anche il balletto pantomimico».

Qualche titolo?

«La parte preponderante della produzione musicale di Salieri a Vienna è costituita da opere teatrali di genere buffo, ma anche da Singspiele in tedesco e da opere serie come Armida (1771), l’azione pastorale Daliso e Delmita, un oratorio La Passione di Gesù Cristo, inoltre da una ricca produzione teatrale per l’Italia, fra cui Europa riconosciuta (3 agosto 1778), l’opera che inaugurò il Teatro alla Scala di Milano, tre produzioni teatrali in lingua francese per Parigi, le Tragédie-lyriques Les Danaïdes (1784), Les Horaces (1786), Tarare (1787 da cui deriva Axur re d’Ormus 1788), Semiramide (1782), l’opera di genere serio che inaugurò la stagione del teatro di Monaco di Baviera l’anno dopo Idomeneo di Mozart. Nel 1887 Tarare l'opera in cinque atti e un prologo con il libretto di Beaumarchais fu un vero e proprio manifesto della Francia rivoluzionaria (da cui deriva Axur re d’Ormus con il libretto di Da Ponte, Vienna 1788). Il soggetto rivoluzionario racconta della detronizzazione e uccisione del re tiranno al quale succede, acclamato dalla volontà popolare, il proprio generale. L’opera riscosse uno straordinario successo a Parigi, due anni prima della Rivoluzione e dopo i sanguinosi eventi del 1789 di nuovo Salieri collaborò nel 1790 con Beaumarchais in occasione del primo anniversario della presa della Bastiglia, per una nuova edizione di Tarare che fu ampliata di un nuovo atto: Le couronnement de Tarare. In Le couronnement de Tarare anch'esso libretto di Beaumarchais, Salieri appare tanto libero e indipendente da affrontare temi scottanti come il divorzio, il matrimonio dei preti, perfino qualcosa che nel 1790 non andava bene a nessuno, come la liberazione degli schiavi delle colonie».

Come caratterizzerebbe l’estrema versatilità stilistica di Salieri, incluso nella scelta delle fonti dalle quali trarre i propri lavori, in particolare nei lunghi anni trascorsi nella Vienna imperiale?

«Come ha dichiarato John Rice nella sua fondamentale monografia del 1998 dedicata ad Antonio Salieri e all'opera viennese nel periodo cruciale di oltre trent’anni che trascorre da Paride ed Elena di Gluck al Fidelio di Beethoven, entrambi concepiti per Vienna, vi sono dei cambiamenti sostanziali che non sono comprensibili limitando la nostra osservazione alle opere di Gluck e Mozart. La produzione di Antonio Salieri è una “presenza estetica” che riflette i cambiamenti nell’opera e nella vita musicale viennese assai più che non le opere di questi due autori; in secondo luogo ci offre l’opportunità di considerare l’ultimo trentennio del diciottesimo secolo e i primi dieci anni del nuovo secolo a Vienna come un periodo unitario, infatti Salieri fu attivo a Vienna come operista fin dal 1770; dalla morte del suo maestro Gassmann, il 7 febbraio 1774 divenne Kammercompositeur e Kapellmeister dell’opera italiana. In qualità di Direttore dell’opera italiana, fu responsabile dei cambiamenti e delle modifiche alle opere italiane che venivano rappresentate a Vienna. Dal pensionamento del Kapellmeister Giuseppe Bonno, 12 febbraio 1788 (Rice indica più precisamente marzo 1788), Salieri divenne Hofkapellmeister, carica assai più prestigiosa della precedente. Tra le varie incombenze esercitate dal kaiserlich-königlicher ersten Hofkapellmeister c'era la programmazione e la direzione d'orchestra delle funzioni musicali della cappella di corte (sia sacre che profane), la composizione d'una certa quantità di musica da chiesa, varie incombenze di carattere amministrativo».

Quali sono i fattori da considerare per un giudizio più equilibrato sulla produzione operistica dell’epoca?

«Il cambiamento dell’impostazione metodologica degli studi sull’opera italiana a partire dal monumentale lavoro di Bianconi e Pestelli Storia dell'opera italiana ci ha resi consapevoli di come un’opera sia determinata da un insieme di fattori contingenti, legati a ciascun preciso momento storico e all’‘orizzonte d’attesa’ del pubblico: ogni opera è un prodotto teatrale che è il risultato di tanti condizionamenti, da cui consegue che per comprendere lo stile di Mozart, per lo meno di quello che compose mentre risiedeva più o meno stabilmente a Vienna, dal 1781 al 1791, è necessario prendere in esame la produzione operistica nata per la medesima realtà teatrale fra cui la produzione di Salieri».

Il Comitato incaricato dell’Edizione nazionale delle opere di Antonio Salieri, di cui lei è Presidente, si è insediato da poco. Vuole anticipare qualche dettaglio sul programma di lavoro che vi attende?

«Pubblicare le partiture delle composizioni di Salieri in una edizione che accerti le correzioni effettuate dal compositore nei diversi stadi di redazione. Salieri non solo ha integrato i suoi spartiti autografi con modifiche e versioni differenti, ma a volte ha espunto alcune arie di suo pugno (come nel Falstaff) in qualche caso ha realizzato in tarda età nuove versioni autografe di opere di cui l'autografo originale non esiste più, come nel caso delle Danaïdes di cui l'unica partitura autografa non è stata mai rappresentata ed è molto diversa da quella che andò in scena nel 1784. Oppure assembla musica di vari decenni dopo. Come nel caso della Scola de' gelosi la partitura autografa contiene sia arie che appartengono alla versione originale composta per Venezia e andata in scena nel 1778, sia le arie aggiunte da Da Ponte nel 1783 per l’edizione della riapertura dell'opera italiana a Vienna, che altre per successive rappresentazioni. Ciò che mi preme evidenziare è che l'iniziativa dell'Edizione Nazionale mira ad un alto rigore filologico ma si propone anche di realizzare edizioni delle musiche di Salieri che vadano sui leggii degli esecutori professionali e nelle classi dei conservatori, non solo sugli scafali delle biblioteche universitarie. La speranza è di una effettiva “rimessa in circolazione” di queste composizioni perché è solo con il l'apporto dei musicisti, del modo in cui gli artisti portano a termine la loro comprensione di ogni struttura musicale che viene alla luce il valore di un compositore. Come la recente interpretazione di Francesco Ommassini del Falstaff e della Passione di Gesù Cristo per Fondazione Arena, che ha svelato molte bellezze che sulla carta non erano immaginabili. Dobbiamo considerare che mentre ogni aspetto della musica di Mozart è stato valorizzato dalle successive “comprensioni” dei grandi artisti che lo hanno “interpretato” per Salieri manca totalmente una tradizione esecutiva».

Antonio Salieri – La Passione – Finale – Coro e Orchestra dell’Orchestra Fondazione Arena di Verona diretti da Francesco Omassini (aprile 2025)

In un suo saggio sul Falstaff di Salieri lei ha scritto: “Sappiamo che Da Ponte meditava Shakespeare, Calzabigi e Mozart lo leggevano, ma Salieri lo scelse per il suo teatro...”. Rispetto ad altri compositori, però, non le sembra si sia trattato di una scelta un po’ estemporanea (per non dire superficiale)?

«Richard Ambruster segnala le versioni del soggetto di Falstaff in tedesco di Joseph Pelzel, Die lustigen Abentheuer an der Wienn, del 1776, una stampa anonima del testo shakespeariano nel 1794 e nel 1797 nella viennese Theatralischen Sammlung, con la stampa di una versione realizzata nel 1778. Peter Ritter compose il Singspiel su libretto di Georg Christian Römer Die lustigen Weiber von Windsor per Mannheim nel 1794 e Carl Ditters von Dittersdorf l'opera buffa sul medesimo libretto di Römer revisionato, che fu rappresentata a Oels, sede del teatro di corte dell’arciduca di Brunswick, il 25 giugno 1794. Anche la parodia realizzata da Anton Wranitzky di Macbeth, Macbeth traverstiert, conosciuta dal pubblico viennese attraverso la produzione del Theater auf der Wieden nel 1796, avrà potuto incentivare l'interesse per le parodie musicali di Shakespeare e incoraggiare Salieri per la scelta di un soggetto shakespeariano. Prima, nel 1787 Stephen Storace aveva intonato a Vienna il libretto di Da Ponte Gli equivoci, dramma buffo in due atti ad imitazione della comedia inglese di Shakespeare che ha per titolo Les méprises, da A Comedy of errors. Nel suo saggio Ambruster indica come la trama di Falstaff, ma anche la drammaturgia musicale, presenti molti punti in comune con il Figaro di Mozart. Armbruster considera che tali analogie fossero realizzate da Salieri perché a Vienna si stava preparando un revival di Figaro che indussero il compositore ad includere nella sua opera elementi simili a quelli mozartiani. Va tenuto presente però che l'attenzione reciproca fra i due compositori fu continua».

Chiarito che Mozart non è il compositore tutto genio e che Salieri non è il compositore invidioso e privo di talento, a suo avviso cosa ha “rubato” Mozart da Salieri?

«John Rice nel bellissimo saggio Rondò vocali di Salieri e di Mozart per Adriana Ferrarese, dipana la successione delle reciproche influenze fra i due nello scrivere per la medesima protagonista. Nel Falstaff ci sono moltissimi ingredienti che Salieri aveva già sperimentato in opere precedenti e che avevano influenzato Mozart, come per esempio la sezione «Dee per piacer la donna» del finale secondo della Scola de' gelosi. Questa riscosse un tale successo da ottenere edizioni sia da parte di Cristoph Torricella che da Artaria. Paragonandola alla romanza di Pedrillo “In Mohrenland gefangen war” di Die Entführung viene da pensare che possa essere stato un buon modello per Mozart. Nella stessa concatenazione della scena dell'arrivo della statua del Commendatore del Don Giovanni ci sono molti elementi presenti della sinfonia d'introduzione delle Danaïdes come ho dimostrato in una mia analisi. Mozart aveva potuto vedere la partitura pubblicata da Des Lauriers e distribuita a Vienna da Artaria».

Lei ha curato per la casa editrice Ricordi l’edizione critica di Falstaff rappresentata a Verona e recentemente a Legnago. Su quali altri lavori si sta concentrando nella sua attività di musicologa?

«Non voglio anticipare le decisioni che prenderemo insieme con il Comitato scientifico dell'Edizione Nazionale a cui partecipano studiosi come John Rice. Certo proporrò le mie idee, quelle che ho presentato nella domanda per ottenere l'Edizione Nazionale, sulle quali ho basato anche le richieste di preventivi rivolte ai vari editori, ma desidero che sia una scelta condivisa con i consiglieri, e che ci assumiamo assieme la responsabilità d'una riflessione estetica sulle composizioni da pubblicare, non solo culturale».

Di Salieri non si conosce molto ma qual è l’aspetto, a suo avviso, che ancora deve essere indagato a fondo per cambiare la considerazione della sua opera e la reputazione del compositore?

«I musicisti spesso non studiano la musicologia. Negli ultimi decenni è emersa una considerazione da parte dei musicologi della concezione innovativa e particolare della strumentazione di Salieri. Così Rice riscontra che Salieri fu un pioniere nell'espandere il ruolo orchestrale della tromba nell'opera comica. Salieri ricorse alle trombe con maggiore frequenza rispetto a Mozart, ivi comprese le trombe in Si bemolle (che Mozart non usò mai in un'opera buffa prima di Così fan tutte). In almeno due delle sue opere scritte negli anni Ottanta del Settecento, in Il ricco d'un giorno e La cifra, si sentono perfino le trombe in La, uno strumento a cui Mozart non ricorse probabilmente mai e che Haydn impiegò soltanto dopo il suo primo viaggio a Londra. Una delle arie presenti nell'Europa riconosciuta, «Quando più irato freme», comincia con un’introduzione orchestrale di cinquantasette battute con una parte concertante per l'oboe, tanto da offrirgli l'opportunità di eseguire una cadenza. Tra i vari altri esempi vi è “Vi sono sposo e amante” della Fiera di Venezia, con l’assolo di oboe e flauto, eseguita da Cecilia Bartoli nel CD che con l’aiuto del musicologo Claudio Osele ha dedicato a Salieri».

Dove riscontra “tracce di Salieri” nei musicisti a lui successivi?

«Dicevo poco fa delle innovazioni apportate da Salieri alla strumentazione. Fra queste, l'uso dei timpani, realizzando una sonorità orchestrale che anticipò l'uso dello stesso dispositivo usato da Beethoven nel Fidelio, allorché i timpani, accordati in un rapporto di tritono, aiutano a comunicare l'oscurità e l'orrore della prigione sotterranea in cui si trova rinchiuso Florestan. Dal mio punto di vista Beethoven ha ereditato da Salieri il senso di responsabilità fra piano etico ed estetico. Questa concezione era maturata per Salieri seguendo le direttive di Gluck, in particolare immaginando eventi dipinti dalla musica prima che l'azione abbia inizio sul palcoscenico. Sono convinta che gli studi su Salieri aiuteranno a comprendere meglio anche la cosiddetta musica descrittiva, nel senso della capacità della musica di esprimere il pensiero simbolico, cosa che Salieri attua consapevolmente come ha lasciato scritto nei pareri vergati di suo pugno e fatti rilegare al termine della sua vita, nelle partiture autografe di alcune delle sue opere».