Afrorack, la musica elettronica dell'Uganda

Intervista ad Afrorack, sviluppatore del primo synth modulare tutto africano, che sarà in Italia in agosto

Afrorack
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Afrorack – vero nome Brian Bamanya – è un musicista ugandese nonché colui che ha costruito il primo sintetizzatore modulare africano

Abbiamo parlato su queste colonne del suo disco d’esordio uscito nel 2022 e della storia della sua realizzazione tecnica: in estate Bamanya sarà in Italia e dunque ci è sembrato il momento giusto per intervistarlo.

– Leggi anche: Il primo sintetizzatore del continente africano

«Ciao, Ennio. Per cominciare, grazie per aver accettato di fare questa intervista (probabilmente dovrei essere io a ringraziare lui ma tant’è). Come va in Italia? Spero che le temperature non siano folli perché l'ultima volta che sono stato in Europa d’estate faceva un caldo insopportabile».

Le temperature sono migliorate, almeno qui al Nord. Vediamo di farle risalire un po’ con questa intervista: The Afrorack è stato pubblicato nel 2022. Cosa hai fatto negli ultimi tre anni? Hai lavorato a un nuovo album?

«In effetti, mi sono reso conto che è passato parecchio tempo. Sono contento che il mio disco precedente abbia avuto successo, e non ti nascondo che ho cavalcato quel successo fino al 2025. Certo, mi rendo conto che devo pubblicare un nuovo lavoro e mi sembra che sia davvero arrivato il momento giusto». 

«Mi stai intervistando nel momento giusto, proprio in queste settimane ho registrato tracce per il nuovo album e penso che stia davvero progredendo bene. Questo perché in questo momento il resto degli artisti dell’etichetta discografica per cui incido è in Europa, quindi lo studio che appartiene all'etichetta in una villa a Kampala è libero in questo periodo».

«È stata una benedizione che io fossi in Uganda e gli altri artisti in tournée perché ho avuto la possibilità di lavorare seriamente e in maniera continuativa. Il grosso del lavoro però lo faccio a casa, dove ho un mio studio privato. Se voglio suonare la batteria dal vivo (sì, la sto imparando a suonare) o se voglio suonare cose più rumorose, vado allo studio dell'etichetta». 

«Sì, ho lavorato e sto ancora lavorando a un nuovo disco e, quando uscirà, te lo farò sapere sicuramente in modo che tu possa recensirlo e dargli visibilità (Brian conosce le regole fondamentali del marketing). Ti anticipo che con questo album esploro nuove direzioni, perché il primo album non ero sicuro se avrebbe funzionato: non si trattava di una storia unica che stavo cercando di raccontare ma di pezzi di idee diverse che ho messo insieme, ma alla fine ha funzionato. Per il nuovo album però, dopo aver girato molto e interagito con tanti altri artisti provenienti dal resto del mondo e con culture diverse, e anche cresciuto come artista, sto affinando la direzione che sto prendendo. Sarà un mix di elettronica sperimentale e di strumenti tradizionali africani come il pianoforte a pollice e l'akogo, l’arpa ad arco». 

«Sto esplorando la possibile intersezione tra strumenti elettronici moderni, come sintetizzatori e sintetizzatori modulari, e gli strumenti tradizionali africani, soprattutto ugandesi, poco conosciuti all’estero».

«Sto sperimentando la modernizzazione di alcuni strumenti locali: ci sto lavorando aggiungendo circuiti, effetti e funzionalità MIDI in modo che possano essere collegati al computer e suonare. Quindi sto esplorando la possibile intersezione tra strumenti elettronici moderni, come sintetizzatori e sintetizzatori modulari, e gli strumenti tradizionali africani, soprattutto ugandesi, poco conosciuti all’estero. Ricapitolando, nel mio prossimo lavoro si sentirà molto materiale elettroacustico così come elettronico».

Come sai, ho recensito il tuo album d’esordio e ho raccontato la storia dell’Afrorack, probabilmente il primo sintetizzatore modulare costruito in Africa. È ancora lo stesso? Hai fatto delle modifiche?

«Certo che non è più lo stesso. Innanzitutto, dopo aver iniziato, sono stato invitato a esibirmi con tutta questa parete di strumenti che, come puoi immaginare, non era comoda da trasportare. Quindi ho dovuto scegliere e selezionare il minimo indispensabile degli strumenti con cui potevo effettivamente esibirmi. Ho anche imparato sulla mia pelle che non tutto ciò che ho inventato è pratico per tutte le situazioni, soprattutto quando parliamo di esibizioni dal vivo. Siccome ne ho fatte molte, ho cercato di trovare una configurazione di base, magari un oscillatore o due, un filtro, una drum machine, alcuni suoni di batteria e altri di percussioni, e il resto lo creo con Ableton Live installato su un laptop.

«Quindi sì, ho apportato modifiche all'Afrorack. Ho anche ideato prototipi di nuovi moduli, prototipi relativi alla progettazione di PCB (Printed Circuit Board), perché ho piani per commercializzare e vendere alcune unità a un potenziale pubblico. Ne ho già realizzati alcuni. Quest'anno spero anche di riuscire a stampare alcuni PCB per uno strumento che ho sviluppato. È un sintetizzatore piuttosto semplice basato su Arduino, il microcontroller di prototipazione a cui quasi tutti hanno accesso in tutto il mondo, un microcontroller economico. Ho sviluppato uno strumento basato su questo e spero di trovare del tempo quest'anno per far realizzare i PCB in Cina e iniziare a rendere disponibili alcuni esemplari per coloro che vogliono comprare i miei strumenti. Ci sono già state delle persone che mi hanno contattato dicendo: «Insegniamo l’elettronica ai bambini, potremmo avere accesso ad alcune delle cose che stai facendo?». Quindi mi sono mosso anche in questa direzione e sono anche stato invitato a workshop per parlare di elettronica e musica.

È ancora difficile trovare moduli Eurorack in Africa?

«Certo, non credo che sia cambiato molto rispetto a quando hai recensito il primo disco. Prima di tutto, sono costosi e poi qui non c'è una comunità di utilizzatori di sintetizzatori modulari. Quindi non molte persone sono ispirate a intraprendere questa attività: rimane qualcosa di lontano e difficilmente accessibile per la maggior parte delle persone».

Vivi ancora a Kampala?

«Sì, sono a Kampala per tutto il tempo, quando non sono in tournée. Sì, fondamentalmente sono a Kampala. Adesso andrò a fare alcuni spettacoli in Europa ma già lo sai. L'anno scorso sono stato anche in Canada e per la prima volta in Nord America, ho fatto alcuni spettacoli lì. Quindi sì, risiedo a Kampala a tempo pieno, almeno fino a quando non riuscirò ad andare a scuola, magari in Europa o in Nord America. Se trovo la giusta opportunità per studiare, allora sì, magari la prenderò e mi muoverò da Kampala».

È vero che hai iniziato a guardare video di riparazioni su YouTube e a consultare diagrammi perché eri frustrato a causa del comportamento del manutentore del tuo PA system?

«Sì. In realtà, anche dove sono seduto ora, è come un negozio/studio che uso per registrare cose a casa. Ho diffusori PA, monitor, un monitor da palco per i cantanti, ho un basso e anche chitarre elettriche. Ho anche alcune delle cose che sto riparando. Ho batterie e altro materiale ancora, ho amplificatori, e tutto questo materiale proviene, diciamo così, dalla mia vita precedente, quando gestivo una piccola attività. Avevo finito l'università e non avevo trovato un lavoro d'ufficio, così ho deciso di avviare una piccola attività in cui noleggiavo sistemi di diffusione sonora e strumenti musicali, e avevo uno studio di prova per band per sbarcare il lunario». 

«All'epoca ero già interessato all'elettronica, leggevo molto sull'argomento ma non avevo ancora costruito nulla. E poi c'era questo ragazzo nel quartiere, quello a cui hai fatto riferimento nella domanda. Diciamo che era il riparatore più rispettato del quartiere. L'ho conosciuto e gli portavo la mia attrezzatura. Ma questo ragazzo aveva un problema col bere. Quando gli portavo l'attrezzatura per la riparazione, mi mettevo d’accordo sui tempi di consegna, facendo in modo di essere tranquillo di avere tutto in tempo, che so, per un matrimonio del sabato. E allora il martedì gli portavo i miei altoparlanti per la riparazione e magari gli davo un anticipo per invogliarlo a lavorare velocemente. Gli altoparlanti avrebbero dovuto essere pronti entro il venerdì, così il sabato avrei potuto andare a fare il mio lavoro. E poi arrivavo a casa sua il venerdì a cercarlo e la moglie mi diceva che non lo vedeva da giorni: a volte prendeva i soldi, beveva e scompariva da casa. Sono rimasto fregato un sacco di volte. Ma ogni volta che mi sedevo con lui quando si metteva di buzzo buono ad aggiustare qualcosa, osservavo come faceva a incollare gli altoparlanti, se un driver era bruciato o danneggiato, l'intero processo di assemblaggio dell'altoparlante e del cono, usando colla e resina epossidica. Lo osservavo e pensavo: "Ma posso fare anch’io queste cose"». 

«Io mi conosco, una volta che vedo qualcuno fare qualcosa, imparo subito. Tornando alla storia, gli portavo le mie cose da riparare e spesso rimanevo deluso. Fino a quando un giorno ho pensato: "Ok, ho osservato questo ragazzo come fa queste cose: perché non provo a procurarmi i materiali per la riparazione, i ricambi e le colle, e imitare quello che faceva?". E così ho iniziato a riparare gli altoparlanti da solo e poi sono passato agli amplificatori. E poi ho iniziato a costruire cose partendo da zero, come amplificatori semplici e amplificatori per chitarra, perché all'epoca suonavo quello strumento. Sì, questo è stato il mio percorso e poi sono passato ai sintetizzatori modulari». 

«È così che ho iniziato a costruire sintetizzatori, quindi, a ben vedere, è stato un mix di tante cose. Non è che ho iniziato solo guardando video di riparazioni su YouTube: anche da prima, diciamo da quando ero al liceo, leggevo molto sull'elettronica, la trovavo affascinante. Ma leggevo anche di persone come Les Paul, quello che ha inventato la chitarra elettrica, o Jimi Hendrix e i pedali fuzz e wah wah che usava. Ero interessato a questa interazione tra tecnologia e musica, ero interessato a sapere come funzionavano questi pedali. E poi ho scoperto che si possono cercare tutte queste cose su Internet e trovare gli schemi, e io li sapevo leggere. Quindi si trattava solo di procurarsi le parti e cercare di assemblarle per vedere se riuscivo a fare qualcosa. È effettivamente vero che all’inizio c’è stato un ragazzo che mi ha frustrato con le riparazioni della mia attrezzatura, ma è anche vero che il suo comportamento ha contribuito a farmi diventare quello che sono. Alla fine mi tocca pure ringraziarlo (risate)».

Nel 2022 hai suonato a Milano Re-mapped: è stato un concerto dal vivo o un DJ set? E come ha reagito il pubblico?

«Ero piuttosto nervoso. Milano Re-mapped all’Hangar Bicocca, credo fosse quello il nome della location. Era un posto enorme, quindi comprendi il mio nervosismo. Gli organizzatori mi hanno dato davvero una buona opportunità perché in quel momento il mio nome era appena venuto fuori. Ma non mi ero ancora organizzato – a dirla tutta neanche adesso (risate), perché è un percorso imparare a esibirsi con i propri strumenti e scoprire che tipo di artista si vuole diventare. Quindi, ripeto, ero un po' nervoso. E poi, sì, sono salito sul palco e mi sono esibito con il mio synth. Sì, è stata una performance dal vivo, non un DJ set. Non so fare il DJ, forse dovrei imparare a farlo. Di certo mi semplificherebbe molto la vita perché mi trovo spesso in situazioni in cui sono l'unico musicista invitato a un festival e suono con DJ e sono l'unica persona con questi strumenti DIY e nessuno capisce davvero cosa sto facendo. Quindi suppongo che la mia vita sarebbe molto più facile se iniziassi a fare il DJ e suonare tracce finite». 

«Tornando alla tua domanda, il concerto di Milano è stato un evento piuttosto illuminante per me: ho suonato un set dal vivo e la reazione del pubblico è stata buona. Voglio dire, quello che stavo facendo era comunque diverso da quello che facevano gli altri, quindi c’era anche questa curiosità per il suono che stavo producendo, perché il resto era un DJ che suonava dub – sai, tipo musica giamaicana - e poi c’era una band femminile ucraina che suonava con synth e drum machine».

Negli ultimi anni la musica proveniente dal continente africano (non dirò “musica africana” perché l’Africa ha 54 Paesi, dunque non ha senso usare questa definizione, nella stessa maniera in cui non diciamo “musica europea”) sempre più popolare tra il pubblico occidentale: artisti come Wizkid, Davido, Cassper Nyovest e Burna Boy riempiono le arene di Londra e Parigi. Come ti spieghi questo successo?

«Non lo so. L'Africa è ancora un luogo vergine per molti europei e la maggior parte degli americani non è in grado di capire la differenza tra i Paesi del Nord Africa, dell'Africa Centrale o dell'Africa Orientale. L'Africa non è un luogo a cui molte persone al di fuori dell'Africa stessa prestano attenzione per sapere da dove arrivi, eppure ci sono più di 50 Paesi, 54, come hai detto tu. Quindi penso che, poiché era per molti aspetti un luogo culturalmente sconosciuto dove stanno accadendo davvero molte cose, l’influsso di Internet spieghi gran parte di questo nuovo successo degli artisti africani, incluso me stesso». 

«Ora è più facile essere visti nel caso in cui tu abbia qualcosa che si rivela essere virale: non diventa virale solo in Africa, è il bello di Internet. Qualcuno potrebbe vederlo in Brasile o da un’altra parte. Alcune delle mie cose sono state viste da persone di tutto il mondo, ho parlato grazie a Internet con persone da ogni luogo che hanno visto il mio lavoro, e tu sei una di queste».

«Ora è più facile essere visti nel caso in cui tu abbia qualcosa che si rivela essere virale: non diventa virale solo in Africa, è il bello di Internet. Qualcuno potrebbe vederlo in Brasile o da un’altra parte. Alcune delle mie cose sono state viste da persone di tutto il mondo, ho parlato grazie a Internet con persone da ogni luogo che hanno visto il mio lavoro, e tu sei una di queste. Quindi alla fine ritengo che la connettività della Rete abbia aiutato a collegare l'Africa col resto del mondo e a far conoscere sempre più i suoi nuovi artisti. Ma questo si accompagna al fatto che i giovani stanno avendo accesso a strumenti come i software che si usano per fare musica. Uno fra tutti, Fruity Loops. Non so se conosci la storia dell'amapiano, questa musica dal Sudafrica che è iniziata con un movimento clandestino di DJ e ragazzi che si procuravano le versioni crackate di FL Studio e creavano davvero nuovi suoni. Questo succedeva – e ancora succede - perché non sono vincolati dalle regole della musica techno o house, stanno solo creando qualcosa che è divertente. E poi, se conosci il suono tipico dell’amapiano, si basa sul log drum. Fondamentalmente, l'intero FL Studio, distribuito in tutto il mondo, ha sempre avuto questo strumento chiamato log drum da qualche parte al suo interno. Ma nessuno aveva mai pensato di usarlo come questi ragazzi hanno iniziato a usarlo in Sudafrica, in pratica come un basso».

Volete capire meglio? Vi consiglio la visione di questo breve video.

«E cosa succede? Le persone trovano questo suono molto affascinante e così passa dall'underground al mainstream. Ed è il suono che in alcuni pezzi sta usando uno come Burna Boy ed è stato ripreso anche da Beyoncé e altri grandi artisti, ma tutto è iniziato con l'accesso di ragazzi delle township a nuovi strumenti come questi software di registrazione, FL Studio, Logic e tutto il resto. Quindi sì, penso che questo spieghi anche il successo di questi suoni dall'Africa: non è solo amapiano, c’è anche l’afrobeats, ci sono altri suoni dalla Nigeria. E sicuramente uscirà sempre più roba perché è un mix di questa tecnologia moderna di software di registrazione che incontra persone che non hanno la stessa interpretazione della musica degli europei o degli americani, quindi sono destinate a creare qualcosa di diverso e di tanto in tanto sarà qualcosa che piacerà alle persone di tutto il mondo, sarà un successo». 

«Quindi penso che questo spieghi l’affermazione di molti suoni che provengono dall'Africa, destinata a continuare per molto, molto tempo. Lo dico perché ora posso scorrere TikTok e vedere produttori africani che si assumono la responsabilità di mostrare come creare amapiano e tutti questi suoni afrobeats e afro house. Più persone stanno acquisendo questa conoscenza tecnica e la stanno diffondendo: inevitabilmente questo movimento che sta uscendo dall'Africa diventerà sempre più grande».

Nel 2025 alcuni artisti o giornalisti usano ancora l'etichetta world music per descrivere la musica prodotta al di fuori di Stati Uniti e Gran Bretagna: non pensi che sia sbagliato?

«Ovviamente è una definizione sbagliata. Sì, voglio dire, è esattamente quello che penso ogni volta che vedo artisti ugandesi che si definiscono “musicisti world”. È un termine sbagliato, un termine che è iniziato, credo, negli Stati Uniti per descrivere tutta quell’altra musica che non proveniva dal loro Paese. Ma direi che quella che gli americani chiamano world music non è altro che la musica folk nel mio Paese. Quindi sì, non esiste davvero una cosa come la world music». 

«Voglio dire, in Uganda abbiamo circa 40 tribù diverse e ognuna di queste parla una lingua diversa, ha tradizioni diverse e una musica ben specifica, non la puoi mettere in un'unica categoria. Non so, preferisco chiamarla musica folk o musica tradizionale. E naturalmente serve a diversi scopi: c'è musica che viene suonata ai matrimoni, musica per intrattenimento, musica per trasmettere messaggi, musica con finalità religiose. Quindi sì, la definizione world music non ha mai avuto senso neanche per me».

Ho letto in un’intervista che hai detto che la tua musica non viene né da Detroit né da Chicago ma dalle tradizioni musicali africane e la prossima rivoluzione elettronica verrà dall'Africa. Sei ancora sicuro di questo? In parte mi hai già risposto ma ti chiedo di essere più specifico: quali potrebbero essere i nomi alla testa della rivoluzione?

«Non so se sono in grado di darti dei nomi. Non so, ma comunque ci sono molti nuovi artisti africani che stanno sperimentando. Sono stato a Nairobi, era l'anno scorso, al Kilele Summit, una rassegna in parte gestita da persone keniote ma anche da un ragazzo che ha lavorato, credo, in Germania. Ha cercato di creare collegamenti con aziende, come Ableton o Native Instruments, in modo che i giovani in Kenya possano avere accesso a questi costosi software tramite donazioni. E sono sorte comunità di artisti che hanno iniziato a produrre nuova musica, nuovi suoni urbani, nuove cose sperimentali. Quindi non sono in grado di darti nomi ma sono sicuro che quello che è iniziato in Sudafrica e anche in Uganda con l'amapiano ci sarà in Kenya con Kilele e altre iniziative». 

«Non penserei a nomi in questo momento, ma sì, ci sarà molta più partecipazione nella musica e nella cultura mondiali di nuovi artisti africani e nuovi strumenti africani. E ancora riguardo all'Africa, la mia musica è influenzata dalle tradizioni musicali africane. Quando ho iniziato, vedendo i sintetizzatori, naturalmente la prima musica che ho prodotto su questi strumenti era techno, musica techno. All'inizio, quando cercavo di suonare, se guardi alcuni dei miei primi video su YouTube lo capisci subito, è quella la musica che stavo cercando di imitare».

«Mi sono reso conto che la techno è musica che esiste da decenni e ci sono persone che la producono molto meglio di me. Quindi ho riflettuto su questo e ho pensato: "Ok, come persona africana che si esibisce e crea strumenti musicali, è meglio che rappresenti da dove vengo, proprio come le persone di Chicago e Detroit rappresentavano da dove venivano"».

«Ma poi mi sono reso conto che la techno è musica che esiste da decenni e ci sono persone che la producono molto meglio di me, perché questa musica ha una lunga storia e queste persone la capiscono senz’altro meglio di me. Quindi ho riflettuto su questo e ho pensato: "Ok, come persona africana che si esibisce e crea strumenti musicali, è meglio che rappresenti da dove vengo, proprio come le persone di Chicago e Detroit rappresentavano da dove venivano". Ecco perché nel mio nuovo album, come ho detto, sentirai molti strumenti musicali tradizionali africani con i sintetizzatori. Non so come chiamerei questo stile, ma diciamo che sto anche cercando di rappresentare le mie tradizioni e da dove vengo con la musica che sto facendo».

Siamo arrivati alla domanda finale: ad agosto suoni al Piedicavallo Festival. Cosa deve aspettarsi il pubblico da Afrorack?

«Ok, sto lavorando a un nuovo set. E questo set è nuovo perché, come ho detto, mi sono esibito e ho imparato, sul palco ho avuto successi ma anche fallimenti (apprezzo la sua onestà). In passato ho usato Ableton Live, certo, ma diciamo che avevo il 30% di cose preimpostate e il 70% era improvvisato. Ma poi ho capito che è rischioso, specialmente in situazioni in cui suoni ai festival, dove arrivi dopo un DJ e l'energia è alta, mi hai capito. Quindi sì, con il passare del tempo ho imparato ad andare sul sicuro. Però, ora che ho registrato nuovo materiale, voglio iniziare a testarlo nei miei prossimi spettacoli, quindi suonerò cose dal mio prossimo disco per vedere la reazione della gente, sperando che sia positiva».

«Avrò alcune delle tracce provenienti dalle mie sessioni ma suonerò anche strumenti, compresi quelli africani, dal vivo. Non ho ancora suonato la batteria in nessuno spettacolo, ma credo che se acquisirò sufficiente fiducia prima dello spettacolo, potrei iniziare a farlo. Quindi sì, dipende da come mi sento mentre mi avvicino al concerto e cosa posso portare con me. E mi piace anche costruire cose nuove, nuovi strumenti. Sì, avrò sicuramente materiale dal mio nuovo album a cui sto lavorando. Spero che esca verso la fine di quest’anno o al massimo all'inizio del prossimo: stai certo che ti informerò quando uscirà e sono sicuro che sarà un bel disco».

Afrorack si esibirà a Piedicavallo, un piccolissimo paese piemontese in provincia di Biella, il 22 agosto all’interno di un festival diviso in due parti (Repertorio Classico e Sperimentazioni) anche per quanto riguarda l’aspetto temporale. Qui trovate tutte le informazioni al riguardo.

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