Vossajazz, cinquant’anni e non sentirli

Reportage dal Vossajazz, da mezzo secolo festival fondamentale della scena jazz norvegese

Vossa Jazz
Foto di Luca Vitali
Recensione
jazz
Voss, Norvegia
Vossajazz 2023

Quest’anno Vossajazz – uno dei festival che più ha contribuito, negli anni, all’originalità e alla creatività della scena jazzistica norvegese – celebrava un anniversario importante: l’edizione numero 50. 

Nato il 19 dicembre del 1973 con una forte vocazione folk, dal 1986 si tiene nel weekend delle Palme e dal 1978 si caratterizza per il Tingingsverk, ossia la tradizionale commissione di musica originale affidata di volta in volta a un artista ritenuto in quel momento in particolare stato di grazia.

Il primo, nel 1978, fu il pianista Dag Arnesen, cui negli anni sono seguiti numerosi altri, messi in tal modo nella condizione di creare autentiche pietre miliari del jazz norvegese: Nils Petter Molvær con Labyrinter, Terje Rypdal con Vossabrygg, Jon Balke con Il cenone, Arild Andersen con Sagn, Tore Brunborg con Tid e Egil Kapstad con Bill Evans in memoriam.

Quest’anno, in occasione del giubileo, la direttrice artistica Trude Sturheim ha deciso di celebrare due degli eroi delle passate edizioni, aprendo il venerdì con Labyrinter (1996) di Nils Petter Molvær e chiudendo la domenica con Sagn (1990) di Arild Andersen.

Labyrinter, del 1997, è poi diventato un album grazie all’etichetta tedesca ECM e con il titolo Khmer campione di vendite (250.000 copie) e autentica pietra miliare del Nu Jazz – oltre che iniziatore della seconda età dell’oro del jazz norvegese.

Sagn di Arild Andersen (con Kirsten Braaten Berg) fu pubblicato, sempre da ECM, appena un anno dopo l'innovativo Rosensfole di Jan Garbarek e Agnes Buen Garnas, e rappresenta un po’ il culmine di quel particolare tipo di sperimentazione che fonda le radici nella tradizione folk norvegese. A Sagn seguirà poi Arv, nel ’93 e sempre per ECM, ma questa è un’altra storia. 

Ma veniamo alla programmazione di questa edizione del festival, ricca di concerti (e forse fin troppo densa, almeno al venerdì!) e con una qualità e varietà indubbie.

L’apertura: Nils Petter Molvær “Labyrinter”

Il giubileo è stata l’occasione per riaprire l’Idrettshall, il palasport in cui Nils Petter Molvær aveva presentato Labyrinter nel 1996. C’era grande attesa per rivedere all’opera quel manipolo di musicisti, pur se con qualche piccolo aggiornamento: la chitarra di Morten Mølster, che ci ha lasciati nel 2013, è stata infatti rimpiazzata da quella di Eivind Aarset, senza dubbio il sostituto naturale; per il resto è tutto come allora: Jan Bang (campionamenti live), DJ Strangefruit (DJ), Audun Erlien (basso) e le due batterie di Rune Arnesen e Per Lindvall. Come allora, inoltre, a curare il suono c’è Sven Persson e alle luci Tord Knudsen.

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C’è febbrile eccitazione nell’aria e lo si percepisce. I primi a salire sul palco sono DJ Strangefruit e Jan Bang con un preludio dal carattere aereo e leggero, ma al sopraggiungere del resto della band è il pulsare potente delle batterie di “Song of Sands II” a prendere il sopravvento. Una band ancora affiatata a quasi trent’anni di distanza è sul palco, e quando è la musica a prendere il sopravvento è pura poesia. Il pubblico avrebbe potuto cantare a squarciagola assieme alla tromba...

Una riedizione brillante, un po’ datata nelle sonorità, con le due batterie a fare da locomotiva in perfetto sincro e il suono magnetico di Molvaer alla tromba: un fantastico narratore come sempre. La sequenza dei brani è quella delle origini e gli attori pure, a mancare forse è stata una attualizzazione delle sonorità che potesse rievocare la freschezza e la novità di fine anni Novanta, ma senza dubbio è stata un’apertura emozionante!

La commissione: Oddrun Lilja

Per questa edizione speciale la direzione artistica ha affidato la commissione alla giovane compositrice e chitarrista Oddrun Lilja Jonsdottir (già componente della riedizione della band New Conception of Jazz di Bugge Wesseltoft e della nuova band di Paal Nilssen-Love – Circus, co-leader del trio Moksha) e leader del nuovo album Mirage in uscita nelle prossime settimane per la Jazzland di Sten Nilsen e Bugge Wesseltoft.

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L’ aspettativa era alta, ma Lilja non è riuscita nell’impresa di dar vita a un concept narrativo di adeguata consistenza. Dopo un paio di composizioni particolarmente dense e dai forti riferimenti folk, la narrazione si è fatta via via più debole e inconsistente. Peccato, perché aveva a disposizione una band di autentici fuoriclasse – Anders Røine (chitarra, voce, eccetera), la regina del soul Beate S. Lech (voce), Helga Myhr (violino e voce), Helge Norbakken (percussioni) e Jo Skaansar (basso) – e un suono pazzesco, grazie ad Asle Karstad (ingegnere del suono alla sua diciassettesima commissione a Voss).

Pur con tutto ciò, la narrazione ha virato verso atmosfere soul sempre più leggere, e l’effetto ha finito col risultare stagnante. Particolarmente interessante la giovane Helga Myhr – autrice del recente Andsyning per la Heilo - di cui penso sentiremo parlare ancora, in futuro.

Scoperte e conferme

Brunvoll-Sturheim e trio Moskus

Tra le cose migliori sentite al festival c’è un altro progetto commissionato, in questo caso al duo di Mari Kvien Brunvoll & Stein Urheim e al trio Moskus (Anja Lauvdal, Fredrik Luhr Dietrichson e Hans Hulbækmo) che hanno dato vita, con il sound designer Thorolf Thuestad alla console, a Branches & Limits: una suite in dieci parti con una struttura piena di idee e intuizioni. È sempre difficile classificare la musica di questi artisti, alfieri dell’autorevole etichetta Hubro, melting pot che fonde generi diversi tenuti insieme da una cifra stilistica originale e divertente/divertita. C’è da augurarsi che come spesso accade a Voss, ne nasca un disco.

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Angrusori

Un’autentica sorpresa (per chi scrive) è stato l’ensemble Angrusori (“anello” o “circolo” in Rom slovacco), risultato dell’incontro tra il compositore e organista norvegese Nils Henrik Asheim, leader della Kitchen Orchestra, la celebre violinista avant-garde ceca (con origini magiare e rom) Iva Bittová, e un ensemble di musicisti rom slovacchi.

Il risultato è una musica ricca di colori e di stati d'animo, che sa andare oltre i confini e le radici nazionali e dar vita a un racconto che attraversa molte delle tradizioni musicali Rom: le antiche ballate raccolte dalla musicologa Jana Belišová sono state rivisitate con grande maturità e consapevolezza, e la musica da ballo, le marce funebri e la musica tradizionale finiscono con lo sposarsi alla perfezione con il jazz stralunato della Kitchen Orchestra. A brillare in modo particolare è stata Iva Bittová, autentica trascinatrice sia alla voce che al violino. Un progetto nato nel 2017 con la registrazione dal vivo nell’omonimo locale di Stavanger dell’album di debutto Live at Tou pubblicato nel 2021 (Hudson Records).

Per Jorgensen e Berit Opheim

Un’autentica perla che la direzione del festival ha voluto regalare agli ospiti internazionali arrivati per l’occasione. Un breve ma intenso set al museo di Voss – che ospitava una mostra dedicata al festival stesso con immagini, oggetti e memorie che vanno dalle origini ai giorni nostri. Berit Opheim, una delle massime esponenti del canto folk tradizionale norvegese, e Per Jørgensen, autentico folletto dalla musicalità infinita, hanno dato vita a una performance particolarmente poetica. Opheim, come sempre composta e concentrata alla voce, e Jørgensen alla piccolo trumpet con sordina, alla voce e con un armamentario di piccoli oggetti (un palloncino, una lattina di sardine con elastici, campanelli…) hanno interagito improvvisando come pochi sanno fare (trio Jøkleba docet).

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Non “solo” folk a Vozzajazz: Roberto Ottaviano - Eternal Love e Team Hegdal

In mezzo ai territori folk e a cavallo tra i generi del festival ha saputo distinguersi anche Roberto Ottaviano con il suo mai troppo celebrato Eternal Love. Musica jazz nel senso più stretto del termine, ben salda alle radici afroamericane come pure a quelle sudafricane di Abdullah Ibrahim, e dal livello davvero alto. 

Una band costituita da alcune eccellenze della scena italiana (Marco Colonna ai clarinetti, Giovanni Maier al contrabbasso e Zeno De Rossi alla batteria), affiancati dal talentuoso pianista inglese Alexander Hawkins e guidati dal torrenziale sassofonista pugliese Roberto Ottaviano, che ha entusiasmato il pubblico del Jazzklubben a tarda ora. Un ulteriore tassello di qualità a coronamento della programmazione del festival.

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Poco prima, al mitico Grillen (oggi Café Stationen) – locale in cui nel 1977 si esibirono Dexter Gordon e Joe Henderson – con un concerto all’insegna dell'ultimo album Vol. 5 si era esibita un’altra band norvegese in sintonia con il quartetto di Ottaviano: Team Hegdal! Un quartetto capitanato dal sassofonista Eirik Hegdal (con base a Trodheim) costituito da quattro eccellenti virtuosi (André Roligheten – sax e clarino basso, Ole Morten Vågan – contrabbasso, Gard Nilssen - batteria) capaci di grande interazione.

Come sempre non è facile seguire la programmazione… 

Come spesso accade in Norvegia, molti concerti si sovrappongono e sono dislocati in spazi diversi e a volte distanti, il che obbliga a scelte e, spesso, a non poter assistere a un concerto per intero. Alcuni progetti che sono risultati interessanti, almeno a un primo breve ascolto: la vocalist svedese Mariam Wallentin in compagnia del Vestnorsk Jazzensemble, come pure Hamid Drake con Turiya: Honoring Alice Coltrane.

Ma anche band già viste in passato come il progetto Large Unit EthioBraz di Paal Nilssen-Love, il quartetto The Source (Øyvind Brække, Trygve Seim, Mats Eilertsen e Per Oddvar Johansen), e i tellurici Bushman’s Revenge (Even Helte Hermansen, Rune Nergaard e Gard Nilssen).

Peccato non aver potuto assistere ad alcuni concerti di sicuro interesse, come The End (Sofia Jernberg, Kjetil Møster, Mats Gustafsson, Anders Hana e Børge Fjordheim), il trio danese Kjærgaard / Bruun/ Westergaard, della band Significant Time (Signe Irene Time, Øyvind Dale, Fredrik Luhr Dietrichson, Raymond S. Lavik, Marius Klovning, Ida Løvli Hidle).

Una chiusura perfetta: Sagn - Arild Andersen e Kirsten Braaten Berg 

Quando Sagn fu presentato in anteprima al VossaJazz nel 1990 era da poco stato pubblicato l’album Rosensfole di Agnes Buen Garnås e Jan Garbarek: era l'inizio di un periodo molto importante per il jazz norvegese (che nei vent’ anni successivi avrebbe lasciato un segno indelebile nella scena jazz europea), e Arild Andersen, insieme a Garbarek, Christensen e Rypdal, è senza dubbio uno dei pilastri di quella prima età dell’oro.

E così domenica pomeriggio, sempre all’Idrettshall (lo stesso dell’apertura con Labyrinter), si è tornato ad avvertire lo stesso fermento e a respirare la stessa emozione per la riproposizione di quest’ulteriore pietra miliare della storia del festival e in generale della musica norvegese.

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La formazione è quella della prima assoluta di trentatré anni fa, al netto del percussionista brasiliano Nanà Vasconcelos (mancato anche lui, nel 2016) sostituito per l’occasione da un colorito Thomas Strønen; oltre al leader al contrabbasso, ci sono la voce della celebre narratrice Kirsten Bråthen Berg, Bugge Wesseltoft al piano e tastiere, Frode Alnes alle chitarre e Bendik Hofset al sax tenore.

Un palazzetto gremito di pubblico ha accolto con calore ed entusiasmo i musicisti sul palco fin dalle prime note – da brividi – dell’omonimo brano “Sagn” (“leggenda” in norvegese): senza dubbio uno dei momenti più alti del festival. A oltre 30 anni di distanza la musica mantiene la sua freschezza, pur con qualche eccezione per i passaggi più elettrici di Alnes che, insieme a Hofset, sembra rimasto ancorato a sonorità d’altri tempi.

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Anche se in contemporanea e a seguire ci sono stati altri concerti, s’è trattato della degna conclusione per il giubileo del festival: un’edizione bella, dalla connotazione folk di queste e altre latitudini e caratterizzata dalla celebrazione di eroi del passato e con numerose nuove proposte.

Un festival che, a 50 anni, si conferma autentico punto di riferimento per la scena nazionale e che continua ad alimentarne la creatività grazie all’annuale commissione “Tingingsverk”. 

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