Tutte le chitarre di Pat Metheny
Pat Metheny è sempre lui: lo abbiamo ascoltato dal vivo a Madrid
È indubbio che lo stile di un musicista come Pat Metheny sia uno di quelli che si fanno riconoscere in qualsiasi contesto, qualsiasi sia il tipo di brano che si trovi ad interpretare. Anche quando il chitarrista americano voglia cercare di marcare differenti approcci interpretativi e stilistici, l’impronta "metheniana", si fa sentire sempre prepotentemente, con i suoi codici che in qualche modo uniformano tutto quello che toccano, probabilmente per le scelte armoniche ed i colori timbrici che egli sa dare con il suo caratteristico tocco di chitarra.
E ciò si è in qualche modo confermato in quello che abbiamo avuto modo di sentire nel lunghissimo e coinvolgente recital in solitario che Metheny ha tenuto in un gremito Auditorio Nacional di Madrid, ospite del Festival JazzMadid 2024, per la rassegna “Villanos del jazz”, dove tra le altre cose ha presentato brani dagli album, Dream Box e MoonDial.
Raccolte che rappresentano approcci nei quali Metheny si è liberamente lasciato andare, come raccontano le note biografiche, nei momenti liberi, dei viaggi, nelle tournées, nelle stanze d’albergo, con standard, canzoni a cui è particolarmente legato e suoi brani nuovi, privilegiando un carattere essenzialmente autoriflessivo e intimista.
Inizia con con la chitarra acustica con temi di brani che si intrecciano senza soluzione di continuità, come un continuum di associazioni di idee musicali per le quali una frase, un armonia di un brano si intrecciano con quelli del successivo, con temi, come quelli di "Minuano" (da Still Life dell’87), "Waltz for Ruth" fino a Nuovo cinema Paradiso di Morricone.
Quindi i suoni da "arpa birmana" delle 42 corde dell’incredibile chitarra Pikasso in un travolgente "Into the dream" per poi lacerare lo spazio sonoro con un’improvvisa parentesi fatta di crude dissonanze, corde sfregate brutalmente, ad evocare l’estetica tra l’avanguardista e il punk di Zero tollerante for silence degli anni ’90.
Si torna quindi alle atmosfere soft con la chitarra acustica, dispiegando cammei, in quella sorta di continuum di brani concatenati, tra escursioni armoniche e delicati stacchi ritmici, con "Alfie" di Bacharach, "La garota de Ipanema", poi ancora evocazioni da Still life, con "So may it secretly begin", continuando a filtrare sensibilità e tocco classico, con approcci tra il pop e il jazzistico; proseguendo quindi con "That’s Just the Way I Always Heard It Should Be" di Paul Simon fino al delicato beatlesiano "Here There and Everywhere".
Dopo aver cambiato numerosi tipi di chitarre Metheny inizia come a "giocare" - affiorano temi come "Black Orpheus" o "I Fall in Love too Easily" - scoprendo di volta in volta una serie di chitarre disposte su dei cavalletti coperte da dei teloni ed infine un’apparato diabolico, il cosiddetto Orchestrion, un set di strumenti meccanici, percussivi estremamente articolato, che circonda l’esecuzione di una densa base ritmica: mette in mostra tutti i suoi gioielli, giocando con i loop, sovrapponendo di volta in volta i vari strati, in un crescendo entusiasmante.
Ad un approccio alla Wes Montgomery si susseguono modalità pop ed un gusto neo minimalista, per chiudere dopo l’ennesimo bis con una delicata interpretazione di "And I Love Her" dei Beatles: pubblico di aficionados in totale visibilio.
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