Systema Naturae a Reggio Emilia
Mdi ensemble e un'orchestra di oggetti per il lavoro di Mauro Lanza e Andrea Valle
La disposizione del mdi ensemble (tentetto con quattro fiati, tre archi, chitarra, pianoforte e percussioni) è a isole, con gli archi che cominciano in cerchio dopo un accenno di un suono come di campanello di bicicletta e gli archetti che sfregano le corde, facendo scintillare punti di domande: che cosa ascolteremo?
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L’allestimento sul palco è molto interessante: la scena è colma di cose, phon modificati con tubi, radiosveglie, oggetti vari. Questi marchingegni elettromeccanici, azionati da computer, si riveleranno poi la parte più interessante dell’opera di Mauro Lanza e Andrea Valle.
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Il click di accensione di una lampadina (ci torna in mente La cellule d’intervention Metamkine, vista sullo stesso palco molti anni fa), una sorta di glitch delle cose; il pulsare della luce come il frinire di un insetto a fungere da beat sghembo, il suono degli interstizi o il soul algido di una discarica: non mancano gli spunti di interesse, ma la musicalità latita. Cenni e abbozzi che non prendono una direzione precisa: apparizioni, ombre, false partenze, tutto improntato a un riduzionismo zen che talvolta suona un po’ troppo austero.
Poi un movimento che fa pensare a uno Steve Reich al parco giochi, alle prese con strumenti sdentati, e a seguire una sorta di marcetta da circo o da teatro dei burattini. Sono lampi, brevi frangenti che increspano l’acqua di un flusso continuo e incostante.
L’impressione talora è di un prologo perenne al quale poi viene poi sottratto il racconto. Idee ritmiche interessanti animano una sorta di drum’n’bass tibetana, dall’aria stranita e straniante: spunti luminosi in una nebbia di intenzioni dove – potrebbe dipendere da noi – non riusciamo a cogliere il fuoco dell’invenzione. Se certi suoni fanno venire in mente l’avant-jazz (ad esempio un Cory Smythe) che flirta con la contemporanea, in altri frangenti le cose si fanno più movimentate e l’incedere serrato ricorda addirittura il post-metal dei Meshuggah.
Poi l’immagine che torna è quella del moto browniano, o di un flipper rotto, oppure di un brulicare di insetti metallici. L’interazione tra parte acustica e parte elettromeccanica è la parte più curiosa del lavoro: a un certo punto poi si apre finalmente uno sbocco con un fluire di un’aria enigmatica, chirurgica, esatta. A seguire una parte solo ritmica di “cose”, quasi free-elettronica vagamente alla Autechre.
In generale alla fine del concerto resta l’impressione di un lavoro denso di potenzialità e stimoli che avrebbero meritato un diverso approfondimento. Il festival Aperto prosegue fino a oltre metà novembre, per tutti i dettagli sul ricchissimo calendario date un’occhiata qui.
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