Suoni angelici nel capolavoro di Borromini

Una messa di Orazio Benevolo riproposta nelle tre cantorie della chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza

Missa Ecce Sacerdos magnus di Orazio Benevolo
Recensione
classica
Chiesa di Sant’Ivo alla Sapienza, Roma
Missa Ecce Sacerdos magnus
17 Marzo 2018

L’evento ha richiesto una laboriosa preparazione, per via della "cinta muraria" di difficoltà che (nel nostro Paese) circonda alcuni dei più significativi gioielli architettonici. È il caso di Sant’Ivo alla Sapienza, oggi all’interno della storica sede dell’Archivio di Stato e per di più adiacente a vari uffici di pertinenza del non lontano Senato. Ma il concerto offerto a un ristretto pubblico romano – rigorosamente su invito – e organizzato per presentare la Missa Ecce Sacerdos magnus di Orazio Benevolo, ha esaltato innanzitutto lo spazio a tre cantorie del capolavoro progettato dal Borromini, inserendosi appieno nell’ambito delle attività per celebrare i 350 anni dalla morte del celebre artista (ne abbiamo parlato qui con il musicologo Luca Della Libera).

Missa Ecce Sacerdos magnus di Orazio Benevolo

D’altro canto la Missa, intorno alla quale ruotava l’intero programma musicale, fu composta nel 1661 molto probabilmente per la consacrazione della Chiesa, in funzione dei tre cori che potevano disporsi al suo interno. Luca Della Libera, alle cui ricerche si deve l’individuazione di Benevolo quale autore della Missa, ha sottolineato come l’intero programma volesse dare anche un rapido sguardo a tutta la produzione sacra nella Roma seicentesca, motivo per il quale il concerto si è aperto col famoso Miserere di Gregorio Allegri. Ma l’esecuzione, avvenuta con gli interpreti davanti all’altare e dunque allo stesso livello del pubblico, è servita soprattutto a far percepire la differenza con l’effetto – l’architetto Paolo Portoghesi, nel suo intervento prima del concerto, lo ha efficacemente definito surround – creato nei successivi brani dalla disposizione sulle tre cantorie, poste in alto, ai vertici di un perfetto triangolo equilatero.

Ecco dunque, nelle parti del lavoro di Benevolo che sono state eseguite, una vocalità quasi angelica che, rifrangendosi nella splendida cupola borrominiana, scendeva sugli ascoltatori avvolgendoli completamente. Effetto di grande fascino, del quale gli interpreti – la Schola Romana Ensemble diretta da Stefano Sabene – si sono giovati proponendo anche in altre pagine di maestri del Seicento romano, tra cui Agostino Agazzari e Giacomo Carissimi.

Pur nella consapevolezza della difficile ripetibilità di un simile evento, rimane l’auspicio che viceversa si comprenda l’importanza della valorizzazione di tutto il patrimonio musicale e architettonico di cui l’Italia e la sua Capitale sono ricchi. E che dunque toccanti esperienze musicali come questa possano diventare – come nel Seicento – parte della vita quotidiana dei cittadini.

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