Rigoletto, un originale fumetto in bianco e nero

Successo per la nuova produzione dell’opera verdiana realizzata dall’Orchestra Senzaspine

"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)
"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)
Recensione
classica
Bologna, Teatro Duse
Rigoletto
26 Aprile 2022 - 28 Aprile 2022

L’Orchestra Senzaspine è una realtà forse ancor poco conosciuta al di fuori di Bologna. Il nome nasce storicamente nove anni fa come bizzarra traduzione dell’inglese unplugged: un’orchestra senza spine elettriche, nata dal basso, per comune volontà di giovani diplomati di conservatorio trovatisi a costruire insieme un futuro professionale nella musica classica, così come farebbe una band rock coi suoi strumenti elettrici. Nel tempo, quelle ‘spine’ abrogate hanno tuttavia assunto una valenza etica, individuando attività educative sparse sul territorio cittadino all’insegna dell’accessibilità sociale e dell’inclusività nei confronti di varie emarginazioni e disabilità. La sede: il capannone di un ex mercato rionale, l’ormai celebre Mercato Sonato, riconvertito a sala da concerto informale, circondata da piccoli spazi adibiti a loro volta ad aule di lezione per dar vita a una scuola di musica popolare, i cui primi frutti siedono già in orchestra. Sotto la guida della diarchia Tommaso Ussardi e Matteo Parmeggiani (spesso i due direttori fondatori si passano la bacchetta nel corso del medesimo concerto), l’orchestra ha raggiunto rapidamente un buon livello artistico, ai concerti in sede si sono affiancati quelli nelle sale da mille e più posti, al repertorio sinfonico sempre più ambizioso (fino a Mahler e Šostakóvič) si è aggiunta la programmazione operistica ospitata in quel Teatro Duse oggi votato agli spettacoli di prosa, ma che propose anche importanti spettacoli di lirica fino a metà Novecento (è l’unico teatro bolognese dove abbia cantato Maria Callas). Il pubblico, sempre generosissimo di applausi, è al 95% differente da quello che frequenta opere e concerti del Teatro Comunale, in un’azione di democratizzazione della musica classica senza precedenti in città.

"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)
"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)

Ebbene, dopo Il barbiere di Siviglia (2018), Le nozze di Figaro (2019) e Don Giovanni (2021), è giunto quest’anno il turno di Rigoletto, punto culminante di una serie di laboratori cittadini sul capolavoro verdiano e di una festa popolare – il VerdiFest dello scorso week-end – organizzata per giocare con il mondo dell’opera a tutti i livelli. Tre recite con doppia compagnia vocale, costituita per tradizione da giovani cantanti – talvolta fin debuttanti in palcoscenico – riuniti attorno a un artista di comprovata esperienza. A far da padrino/madrina, dopo Bruno Praticò, Cinzia Forte e Simone Alberghini è stata quest’anno la volta del soprano bolognese Scilla Cristiano, che di Rigoletto ha fatto ormai un suo cavallo di battaglia (quasi 200 recite in pochi anni sparse per mezza Europa): la corporatura minuta la rende ideale per delineare una Gilda adolescenziale, e la voce – sempre meno ‘leggera’ e sempre più ‘lirica’ – rende al meglio il rapido passaggio da bambina a donna cui i tragici eventi la costringono. Duca spavaldo è quello di Alessandro Fantoni, il quale, superate alcune piccole incertezze vocali, potrà ambire a una solida carriera tenorile. Vero trionfatore è stato Ettore Chi Hoon Lee, baritono d’impostazione chiara nella salita agli acuti (vivaddio!), ma padrone di tutto lo spessore necessario nella discesa al grave, espressivo nei toni patetici, di buona presenza scenica: da seguire con vero interesse negli anni a venire.

L’eccellenza artistica è venuta comunque dall’Orchestra Senzaspine (un plauso particolare al primo oboe), che si esprime in una compattezza di suono frutto di prolungata consuetudine (è cosa recente la sua nomina a ‘orchestra in residence’ dell’Accademia Musicale Chigiana, per supportare il corso di perfezionamento in direzione d’orchestra tenuto da Daniele Gatti). Il livello generale è notevolmente superiore a quello delle orchestre che in Italia usano accompagnare l’opera al di fuori dei circuiti operistici ufficiali. Matteo Parmeggiani l’ha diretta con sicurezza, senza subire gli effetti di un insolito rapporto col palcoscenico dovuto alla mancanza in teatro di una buca: l’orchestra era dunque posizionata al livello della platea (come all’epoca di Verdi, peraltro); ma per quanto il suono uscisse forte o fortissimo, non copriva mai le voci. Nella sua concertazione, Parmeggiani ha recuperato quasi tutte le microsezioni di partitura che la tradizione novecentesca tagliava, eliminando nel contempo alcuni degli acuti non scritti e sin la famigerata cadenza della «Donna è mobile», sperimentando infine stacchi di tempo più vicini ai metronomi indicati negli spartiti ottocenteschi (segnatamente per «Questa o quella» e per la stretta del primo quadro): insomma, una lettura tutt’altro che ovvia e scontata.

"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)
"Rigoletto" (foto Note Fotografiche)

Da ultimo ma non ultimo, l’aspetto visivo dell’intero progetto, che cominciava dalle centinaia di manifesti diffusi per le strade della città ed entrava in teatro attraverso il libro di sala distribuito all’ingresso: a corredo di una trama scritta in modo comprensibile alla prima lettura (l’accessibilità di cui si diceva) e con un carattere di grandezza tale da sopperire anche alla ipovisione (una delle disabilità coinvolte nell’iniziativa sociale), ad ogni pagina la grafica è quella di un graphic novel che si dipana attraverso i disegni potenti di Andrea Niccolai, cominciando dalla presentazione friendly dei singoli personaggi, con le loro caratteristiche umane e psicologiche. Il medesimo stile si ritroverà poi ad apertura di sipario, sul fondale in cui vengono proiettati i disegni in bianco e nero di un fumettone dark che interagisce con l’azione, e i cui balloons ospitano i dialoghi dell’intero libretto dell’opera, non più proiettati come ‘sopratitoli’ sull’arco scenico, ma inglobati nell’azione drammatica, divenuti cioè parte integrante della scenografia stessa (ci aveva provato Luca Ronconi nel lontano 1995, per il Fierrabras schubertiano al Maggio Musicale Fiorentino, quando la proiezione dei sopratitoli era ancora di là da venire – Ronconi stava sempre una generazione avanti agli altri – ma dall’epoca non mi era più capitato di vedere realizzata una tale soluzione scenografica). L’idea, assolutamente vincente, è venuta al regista Giovanni Dispenza, che ha potuto così limitare l’allestimento scenico concreto a un paio di elementi geometrici quasi ininfluenti. Ne ha sofferto un po’ l’azione, penalizzata soprattutto dall’inesperienza in palcoscenico dei cantanti, del coro (il giovane Colsper di Parma) e soprattutto delle comparse; ma l’esperimento in sé pare riuscito.

Successo entusiastico per tutti; il che ti fa pensare seriamente quanto sarebbe facile portare l’opera, con mezzi poveri ma efficaci, anche a pubblici nuovi ed in teatri e città dove non si vede un Rigoletto da mezzo secolo e più...

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