Riccardo Muti e la Cherubini alla Fenice

A Venezia il grande direttore e la sua orchestra giovanile in un concerto fuori stagione con tre grandi composizioni del classicismo viennese

SN

10 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura

Muti alla Fenice (Foto Michele Crosera)
Muti alla Fenice (Foto Michele Crosera)

Gran Teatro La Fenice Venezia

Muti alla Fenice

09/10/2025 - 09/10/2025

Più di qualcuno si aspettava che Riccardo Muti dal podio della sala particolarmente gremita del Teatro La Fenice si sarebbe espresso sulle vicende che stanno provocando grandi tensioni fra le maestranze del teatro veneziano. Aspettative destinate ad andare deluse: Muti ha fatto parlare la musica della sua orchestra e questa è probabilmente il messaggio più importante da uno degli ultimi giganti del podio che, con umiltà, si dedica con amore ai suoi giovani orchestrali che lui stesso, dal podio, chiama “il nostro futuro”. 

Muti mancava da diversi anni in questo teatro, al quale lo unisce un legame profondo. È qui che, nell’estate del 1970, il giovane direttore — allora poco più che trentenne — debuttò alla guida dell’Orchestra del Teatro e del Coro Filarmonico di Praga, interpretando Bach e Beethoven. Da allora, in oltre mezzo secolo, Muti è tornato in laguna in molte occasioni decisive: dalle apparizioni degli anni Settanta, tra Beethoven, Čajkovskij e Prokof’ev, fino allo storico concerto del 14 dicembre 2003, quando fu proprio lui a dirigere l’orchestra del teatro nella serata che sancì la riapertura della Fenice dopo la ricostruzione. Una storia densa di momenti simbolici, proseguita nel 2021 con l’Orchestra Giovanile Luigi Cherubini — fondata dallo stesso Muti — in un concerto celebrativo dei cinquant’anni dal suo debutto veneziano. Tornare oggi su quello stesso podio, ancora con i giovani della Cherubini, ha dunque il sapore di un ritorno alle origini e – chissà? - di una promessa di continuità. 

Al Teatro La Fenice, colmo di un pubblico fin troppo partecipe, Muti è tornato sul podio della Cherubini per un concerto fuori stagione che ha unito due vertici del classicismo viennese: Beethoven e Mozart. In programma, l’Ouverture Coriolano op. 62, il Concerto per flauto n. 2 in re maggiore KV 314 di Mozart con il solista Karl-Heinz Schütz, primo flauto dei Wiener Philharmoniker, orchestra alla quale Muti è legatissimo da decenni, e la Sinfonia n. 7 in la maggiore op. 92 di Beethoven. Tre pagine che, insieme, raccontano la tensione drammatica, la grazia e l’energia vitale del tardo Settecento. 

Fin dai primi accordi di Coriolano, Muti ha imposto la sua cifra: controllo ferreo delle dinamiche, chiarezza di disegno, tensione interiore senza teatralità esteriore. La Cherubini ha risposto con precisione e intensità, anche se gli archi hanno attenuato la violenta spigolosità del folgorante tema iniziale per indulgere piuttosto al dolente lirismo del tema secondario. In Mozart, il suono dell’orchestra alleggerita si è fatto più terso e luminoso nell’accompagnamento del solista Karl-Heinz Schütz, impegnato in una prova all’insegna dell’eleganza e della sobrietà: il suono è chiaro, senza eccessi di vibrato, e molto naturale il fraseggio, capace di fondere grazia e precisione. Muti, sempre attentissimo al respiro orchestrale, ha guidato i giovani strumentisti con discrezione quasi cameristica, dando risalto al dialogo fluido tra solista e orchestra. L’Adagio del secondo movimento è reso con una cantabilità quasi vocale, mentre il Rondeau finale, giocoso ma mai superficiale, ha mostrato il Mozart più giovane e spensierato, pieno di luce. Dopo l’applauso caloroso del pubblico, Schütz ha ringraziato con un le trasparenze impressionistiche dell’etereo Piece pour flûte seule di Jacques Ibert. 

La seconda parte, interamente consacrata alla Settima Sinfonia di Beethoven, è stata un autentico viaggio nel ritmo e nella forma. Muti ha guidato la Cherubini con un gesto asciutto e perentorio, costruendo un arco coerente e teso. L’Allegretto, reso con una sobria gravità, ha mantenuto la sua natura di processione misteriosa, mentre i movimenti estremi hanno sprigionato una forza ritmica irresistibile, soprattutto l’ultimo nonostante Muti non punti mai su tempi incalzanti. La retorica monumentalistica è bandita in favore di un’energia controllata, una precisione e cura del dettaglio. Grande prova dell’orchestra grazie a un suono vigoroso e trasparente, che sorprendente per maturità nonostante la giovane età dei suoi musicisti, molti dei quali sono ancora in formazione. Applausi scroscianti che Muti, giù dal podio, regala tutti ai suoi giovani orchestrali e ribadisce il messaggio: “loro sono il nostro futuro”. Ma poiché il futuro ha radici antiche, non può mancare la firma più sincera di Muti. Il primo bis con la Cherubini al gran completo è infatti dedicato a Verdi, omaggiato con una folgorante Sinfonia dal Nabucco i cui tempi trascinanti fanno ritrovare il Muti degli inizi, come se l’orologio del tempo scorresse vorticosamente all’incontrario. E come finalissimo un omaggio alla memoria di una sua antica esibizione veneziana: la Sinfonia di Norma dallo slancio travolgente, mossa da furori bellici che, sotto le ferite, rivela l’estasi poetica. Entusiasmo alle stelle, ma Muti, con un sorriso sardonico, manda tutti a nanna. 

A ottantaquattro anni, Riccardo Muti conferma di essere non solo un leone del podio, ma un paziente costruttore di futuro: la Cherubini è il laboratorio nel quale trasmettere ai giovani la sua idea etica della musica. E questo è certamente il messaggio migliore che il vecchio maestro poteva mandare dal podio del Teatro La Fenice.