Quel killer dubbioso nel cubo rotante

Venezia: il "ludodramma" di Claudio Ambrosini, da uno spunto di Daniel Pennac

Recensione
classica
Gran Teatro La Fenice Venezia
Claudio Ambrosini
10 Dicembre 2010
La Fenice chiude il 2010 con un nuovo sovrintendente (Cristiano Chiarot, cui vanno i nostri auguri di buon lavoro in un periodo davvero difficile) e una premiére di Claudio Ambrosini, che da uno spunto pensato insieme allo scrittore Daniel Pennac, ha dato vita a un "ludodramma" in due atti sulla figura di un "killer" – alquanto dubbioso – incaricato di eliminare le parole desuete dal dizionario per sostituirle con quelle nuove. Nel primo atto, con la scena dominata da un grande cubo rotante, suggestivo quanto scomodo per i cantanti, il nostro killer deve tenere testa alle incursioni di una moglie che alle parole preferisce decisamente i numeri, di un collega infido e di una parola da lui eliminata che viene a tormentarlo. Nel secondo – dopo un intervallo lunghissimo dovuto alla complessità del cambio di scenografia – è uno spazio assai più spoglio, ma altrettanto efficace, a fare da sfondo alle testimonianze degli ultimi parlanti di lingue morenti, fino al colpo di scena finale. Compositore e librettista ricco di fantasia e di colori, Ambrosini costruisce un lavoro spesso divertente, ben assecondato dai cantanti (su tutti il killer stesso, un ottimo Roberto Abbondanza) e dalla direzione di Andrea Molino. Il tutto funziona molto bene dal punto di vista orchestrale – curatissimo – e nelle belle parti corali; quelle cantate convincono meno, specialmente nei passaggi di dialogo più articolato, mentre le sezioni affidate agli ultimi parlanti di lingue inventate sono spesso fantasiose e divertenti. Quanto alla regia, i punti critici sono un po’ quelli di molto teatro musicale contemporaneo, con una staticità di fondo che nessuna trovata, pur fascinosa come quella del cubo rotante, riesce a smuovere definitivamente. Il pubblico ha applaudito tutti con calore.

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