Monroe una e due
Firenze: il Gamo omaggia Marilyn Monroe
Il Gamo Festival alle Murate si conclude con un progetto di ampio respiro, una produzione che al teatro guarda per un ritratto vivente dell’attrice più famosa, icona pop dalla personalità complessa, Norma Jeane Mortenson, in arte Marilyn Monroe.
È un teatro da camera, genere già caro a Mauro Cardi in precedenti lavori, qui alla prova, più che in una drammaturgia, in un’evocazione: il testo di Paolo Carradori infatti è un impaginato di memorie e pensieri di diario, un flash-collage sulle molte sfaccettature di una creatura sì bionda svampita - la brava attrice Giulia Perelli - sexy ed esteriore, ma anche donna dal talento offuscato da momenti di depressione e debolezza, adolescente in eterna attesa di conferme. La fonte principale dei testi è nei frammenti di diario (“Fragments”, Feltrinelli, 2010), con un appello sul programma di sala a un ideale pasoliniano - poeta nume anche di altre dive - che ben si lega alla figura di Norma Jeane, destinataria di una poesia nel film La rabbia (1963).
La pièce – un prologo, sei scene, un epilogo, con 2 interludi - è costruita attorno a tre voci e a due piani di lettura: pensieri e ‘voci di dentro’, parole su lei proferite dalla società impersonata da giornalisti e tycoon del cinema, e brani poetici della protagonista stessa, interpretati da una voce di soprano, a sublimare in un canto la tensione fra dentro e fuori, restituendo in melos una sorta di autenticità emotiva. Il lavoro di Cardi, date queste premesse, è sapiente e, diremmo, scaltro, con una strumentazione luminescente e ariosa, il toy piano che evoca la diva bambina (“I wanna be loved by you” è il motto che apre e chiude l’intero lavoro), secche poliritmie in ostinato quando Norma Jeane ricorda i costrittivi esercizi di Lee Strasberg all’Actor’s Studio, una danza vagamente tangueira nell’assolo di fisarmonica poi sviluppato in dialogo con fiati e contrabbasso nella terza scena. L’intervallo di seconda minore ritmicamente stretto, il semitono diatonico, ci è sembrato uno dei principali motori-motivi di un pensiero musicale che si fa quasi pervasiva domanda interiore, iterata, spezzettata fra gli strumenti, forse correlativo oggettivo di un’ansia della protagonista.
Cucire i frammenti, sfida non semplice. Ampio spazio era destinato a un melologo fra le voci, mentre l’utilizzo della voce cantata in tre momenti climax suscitava il desiderio di ascoltarne di più e più a lungo, di canto, e forse meno, di parola parlata, ma sono riflessioni e preferenze personali di chi scrive. Si è notato però come sul finire della storia la frammentarietà di segno un po’ si sciolga e la scrittura sembri distendersi in suoni lunghi e fasce armoniche, entrando in empatia con la protagonista, a incarnarne il dramma profondo e dal tragico esito. Arduo anche il lavoro di regia di Barbara Roganti in uno spazio come la Sala Ketty la Rocca, ma riuscito, ci convincono in particolare le sue parole a presentazione del lavoro, al “Non parlate di me quando me ne sarò andata” di Marilyn aggiunge il suo personale: “provate, piuttosto, a suonare di me”.
A suonare di lei, sotto la direzione impeccabile di Francesco Gesualdi, i bravi i musicisti che vanno nominati e applauditi, come d’altronde ha fatto con calore il pubblico che riempiva la sala, erano Giulia
Perelli, attrice e Giulia Zaniboni, soprano - le due Marilyn - Andrea De Luca, voce fuori scena-coro di voci della contemporaneità, Sara Minelli flauto, Marco Facchini violino, Michele Bianchini sassofono, Giacomo Piermatti contrabbasso, Nicola Tommasini fisarmonica, Ilaria Baldaccini toy piano.
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