La sfida del bianco e del sangue

Firenze: la Passione secondo Matteo di Johann Sebastian Bach con Kent Nagano sul podio e la messinscena di Romeo Castellucci

ET

08 dicembre 2025 • 7 minuti di lettura

Passione secondo Matteo (Foto Michele Monasta)
Passione secondo Matteo (Foto Michele Monasta)

Firenze Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Passione secondo Matteo

06/12/2025 - 07/12/2025

La messinscena della più nota passione bachiana fa parte di una sorta di sfida all’impossibile che è nel DNA della regìa d’autore: pensiamo agli schizzi a cui lavorò per anni, a partire dal 1900, uno dei fondatori dell’idea stessa del teatro di regìa, Edward Gordon Craig, per un allestimento peraltro mai realizzato. Chi ha raccolto oggi questa sfida è stato Romeo Castellucci, con la drammaturgia di Piersandra Di Matteo, per il progetto più ambizioso dell’intero 2025 del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino, che ha così avviato a conclusione, in una chiave di più rischiosa ricerca, un periodo di successi, con le sale sempre piene e buoni risultati al botteghino; del resto il sovrintendente Carlo Fuortes l’aveva detto in una conferenza stampa: il teatro  deve saper essere anche  “frattura e forse azzardo”. A sottolineare l’importanza di questo evento, c’è stata la scelta di affidare il podio a Kent Nagano, direttore di grande prestigio che a Firenze non era mai stato; e ancora, come racconteremo più in dettaglio, il coinvolgimento di  soggetti diversi della società  fiorentina e toscana, come a voler trasformare questa Passione in una sorta di rito civile collettivo e laico: ma l’aggettivo  laico ci sembra insufficiente per raccontare il crescere graduale d’intensità a cui abbiamo assistito con emozione, conducendoci dalle perplessità della  prima parte alla sempre più profonda attenzione della seconda, e al notevole successo finale, in cui per una volta in questo teatro il regista è stato applaudito e non fischiato se non da pochissimi e isolati contestatori.

   In questa conquista, in questo crescendo, musica e scena  hanno proceduto di pari passo. Kent Nagano è noto per la sua propensione al repertorio otto-novecentesco in cui spiccano i capolavori del XX secolo ma anche alcune importantissime prime esecuzioni assolute (fra cui L’amour de loin di  Kaija Saariaho e le Tre sorelle di Peter Eötvös). Non gli conoscevamo nessun exploit nella musica antica, e infatti  il suo è apparso, all’inizio, un Bach prudente, smussato e in punta di forchetta, francamente un po’ sbiadito, con qualche problema di tenuta d’insieme, e ha lasciato alquanto sottotono, per deficienze sue e del cast, alcuni apici drammatici decisivi come quanto segue alla cattura, con il duetto soprano-contralto con coro So ist mein Jesus nun gefangen e poi il potente coro Sind Blitze, sind Donner che invoca lampi e fulmini sul traditore. C’era infatti un cast che in questa prima parte (che nel testo corrisponde agli eventi narrati da Matteo fino alla cattura) sembrava non meno intimidito, forse in difficoltà in una sala così  grande, che certo non è l’ideale per la musica antica. In questo cast c’era un Evangelista che sulla carta era di lusso, Ian Bostridge, ma decisamente  non in serata e costantemente in difficoltà sulle note alte, gli altri erano Anna El-Khashem, Suji Kwon, soprani, Iurii Iushkevich, contralto, Krystian Adam, tenore, Edwin Crossley-Mercer, Cristo, Thomas Tatzl, Gonzalo Godoy-Sepulveda, bassi. Dal canto suo Castellucci iniziava in questa prima parte la sua personalissima rilettura in una chiave che voleva richiamare l’eterna attualità e universalità della sofferenza e del sangue, scandito in una sequenza di diciannove situazioni, illustrate in un libretto messo a disposizione dei presenti in sala in cui questa rilettura veniva esplicitata. Il rosso del sangue emergeva nel bianco totale del doppio coro e della doppia orchestra in buca, della scena, dei camici e degli strumenti di tecnici e operatori - di cui nel prosieguo racconteremo le funzioni espletate - come a voler contenere in una cornice apparentemente ascetica o addirittura asettica l’eternità del soffrire e sanguinare di nascita e morte. Ma in questa prima parte i legami di natura simbolica ci sono sembrati troppo sfuggenti o difficili per essere del tutto operanti, mentre era già presente e interessante il coinvolgimento di persone,  situazioni e anche oggetti scenici e no che mai avremmo immaginato di vedere coinvolti in una passione bachiana. Ad esempio i riti di abluzione della Pasqua e dell’agnello  immaginati da Castellucci erano proposti in scena da due operatori (Marco Piazzesi e Massimo Cantini) di  un’impresa di sanificazione, intenti alla pulitura di una tassidermia di agnello; un’intensa aria del tenore, ben eseguita da  Krystian Adam, era commentata in scena da un round di lotta greco-romana affidato  ai due atleti Massimo Aresti e Giancarlo Di Fusco; la preghiera di Gesù al Padre, il sonno dei discepoli, il tradimento e l’arresto erano accompagnati dalla  pulitura dai rami di un grande abete proveniente dalla montagna pistoiese. Non era sempre facile capire questi legami: che forse, e sottolineiamo forse, quella tassonomia d’agnello citava il polittico dell’Agnello Mistico di Jan van Eyck a Gand; che forse l’allacciamento dei corpi dei lottatori voleva rappresentare proprio quell’intimo desiderio di unione  espresso dall’aria; che certamente un grande albero veniva spogliato per diventare una croce, e infatti un agente della polizia municipale di Firenze vi legava poi un giglio bianco.

   Tutto ciò che ci ha lasciato perplessi nella prima parte veniva molto meglio sciolto ed esplicitato nella seconda. Intanto è andato meglio Kent Nagano, forse perché la seconda parte gli piaceva di più (nel complesso,  e a dispetto di quanto narrato,  è meno drammatica,  più spiritualizzata),  forse  perché era stata provata meglio, e soprattutto è cresciuto il cast, più sicuro, sciolto e intenso pur in un’interpretazione complessivamente contenuta e quasi compunta, e  segnaliamo almeno il giovane controtenore Iurii Iushkevich nella celebre “aria del perdono”  Erbarme dich, mein Gott  con il violino obbligato di Salvatore Quaranta. E anche le invenzioni di Castellucci si facevano più pregnanti, e talvolta anche più rischiose. Anche qui ci limitiamo a pochi esempi. Nell’episodio numerato da Castellucci come XII e intitolata “Il prezzo del sangue”, il pentimento di Giuda per il  tradimento che è costato il sangue a Gesù era commentato dall’esposizione, anzi, diremmo, dall’ostensione, di quattro piccoli lenzuoli insanguinati che avevano accolto quattro bambini da poco partoriti, lenzuolini forniti da una locale associazione di ostetriche, e ci sono apparsi come quattro piccolissime Sindoni; nella scena della croce quattordici volontari dagli otto ai settantuno anni, uno per uno, si sono appesi per un tempo variabile a seconda delle proprie forze ad una trave orizzontale calata dall’alto, e molti di loro hanno incrociato i piedi e inclinato il capo nella posa che ci è ben nota dall’iconografia; ed è qui che l’attenzione e crediamo la comprensione del pubblico, già molto cresciuta, è divenuta assoluta e profonda; nella scena sul Calvario, il bianco asettico e il sangue si sono letteralmente incrociati, quando nei modernissimi tubi di plexiglass il preparato chimico ivi contenuto ha virato al rosso e i due tubi hanno formato una croce. Il congedo, culminante nel coro finale, vedeva in scena un uomo, Maurizio Vignoli, amputato di tutte e due le gambe ma che con le protesi riesce nuovamente a camminare, a indicare la forza dell’apostolo (così era chiamato questo episodio), che non si ferma.

    Si sarà capito che questo è teatro che osa molto, moltissimo, secondo una linea di pensiero che non riusciamo a definire completamente ma che è  certamente imperniata sul teatro come specchio della sofferenza ma anche del suo conforto, come era già nella tragedia antica. Precisiamo che lo spettacolo - evidentemente preceduto da una lunghissima fase preparatoria per definirne la drammaturgia e i contenuti e realizzare i contatti necessari - secondo l’idea di Castellucci avrebbe dovuto tenersi nel retropalco e poi si è deciso per un normale allestimento in sala. Ma con tutti questi problemi, il successo finale è stato vivo per tutti, direttore, regista, cantanti solisti, coro e orchestra, che suonava su strumenti moderni ma con fraseggi che ci sono sembrati  fedeli allo spirito se non alla lettera; ovviamente si sono aggiunti, di necessità, strumentisti specialisti fra cui segnaliamo almeno il gambista Mario Filippini per le arie in cui la viola da gamba è strumento obbligato, come l’aria del basso Komm, süsses Kreuz. Ultima nota, di cronaca, questa: questo spettacolo avrebbe dovuto avere tre rappresentazioni, 4, 6, 7 dicembre, ma la prima del 4 è saltata per sciopero. Gli stipendi sono infatti bloccati dal 2014, cioè da quando furono decurtati in uno dei diversi e vani “piani di risanamento” che si sono susseguiti per quasi un decennio, e di cui abbiamo dato a suo tempo notizia sul GdM. Ed è stato uno sciopero dalla compattezza mai vista.