Haydn tra i contadini

Grande successo per Die Jahreszeiten (Le Stagioni) con Marc Minkowski sul podio dell’orchestra e del coro del Maggio Musicale Fiorentino, con il trio vocale Ana Maria Labin, Kieran Carrel e Samuel Hasselhorn

ET

21 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura

Mark Minkowski
Mark Minkowski

Firenze Teatro del Maggio Musicale Fiorentino

Die Jahreszeiten

18/10/2025 - 18/10/2025

L’entusiasmo di un eccellente direttore per una partitura può compiere l’impresa di capovolgere l’idea che se ne ha dai precedenti ascolti e da ciò che se ne sa. Quel che si sa, e che era riassunto nel programma di sala nel bel saggio di Giuseppe Rossi, è che dopo il successo dell’oratorio La Creazione Haydn si sentiva esaurito quanto a capacità di invenzione musicale, e che solo l’appello del potente Gottfried van Swieten, figura centrale nel mondo musicale e culturale della Vienna fra Settecento e Ottocento, lo convinse a cercare di bissare il successo della Creazione con un nuovo lavoro dalla stessa tipologia di oratorio, laico in questo caso, e sempre su libretto di Van Swieten; sappiamo anche che Haydn non fece mistero con amici e confidenti di questa sua difficoltà; che il successo delle prime esecuzioni, nella primavera del 1801, fu più che altro di stima per “papà Haydn”; che Haydn, scrivendo all’amico e suo biografo Giuseppe Carpani, riconosceva di essere il primo a capire, della sua nuova fatica, che “dessa non è la Creazione. Lo sento io, e dovete sentirlo ancor voi; ma eccovene il perché: in quella i personaggi erano angioli, nelle Quattro Stagioni sono contadini”. Haydn, tra l’altro, non era contento del libretto che Van Swieten gli aveva imposto, e a ragione, trattandosi di un testo imperniato su un’immagine idilliaca della vita di questi contadini felici, operosi e assai devoti, i cui lavori, le cui gioie e i cui impegni e crucci si dipanano sul filo delle stagioni, in una sintesi che si pretende “illuminata” e che riesce invece pretenziosa e stucchevole.

La creatività di Haydn, ciò che ci fa amare questo compositore, è fatta dalla fusione di elementi ed esperienze differenti (stile galante e Sturm und Drang, teatro comico italiano e invenzione delle strategie compositive del sonatismo nelle sinfonie e nei quartetti, arcaismi e stile popolare) in una sintesi stilistica geniale che lascia molte tracce di sé anche nelle Stagioni, ad esempio in certe filigrane di disegni intrecciati di certi accompagnamenti, degni del grande quartettista che Haydn è stato. Ma questa creatività sembra ripiegata su se stessa nella Primavera, come se il repertorio di immagini della “musica della natura” consolidatissimo dai tempi delle Quattro Stagioni vivaldiane, non suggerisse niente di nuovo al vecchio compositore, se non una serie di quadretti abbastanza manierati di operosi contadini, fioriture, fanciulle danzanti: casomai, qui e anche nelle parti successive, colpisce in certe arie la tipologia da Lied popolare diffusa nel Singspiel, forse filtrata attraverso il Flauto Magico mozartiano di cui sembra di cogliere qualche reminiscenza, ma senza particolare originalità.

Ma poi le cose cambiano già con l’Estate. E qui certamente la differenza, oltre che la musica di Haydn in sé, la fa anche Minkowski. Questo direttore è nato nella musica antica, il repertorio francese del Sei-Settecento con memorabili esecuzioni alla testa del complesso da lui fondato, Les Musiciens du Louvre, anche se poi ha molto esteso il suo repertorio. Minkowski ha un talento tutto particolare per dar vita, spirito e forte capacità di impatto a partiture che sarebbero sembrate riservate agli interessi dei musicologi e storici della musica, o alla passiva ammirazione di eccellenze riconosciute più che ad un reale coinvolgimento emozionale, come queste Stagioni. Per fare solo qualche esempio, nell’Estate, con la complicità del soprano, Ana Maria Labin, dalla fisionomia vocale e scenica di elegante mozartiana, ecco che nell’aria destinata a cantare il sollievo dello stare in un refrigerante boschetto (Welche Labung fuer die Sinne !), al riparo dalla calura, si insinua una sorta di malizioso e suadente inno al piacere, e non è stato il solo momento, in questa esecuzione, in cui la semplice e virtuosa contadinella Hanne di Van Swieten ha assunto tratti più maliziosi e spavaldi. Magnifica poi, soprattutto nell’Autunno e nell’Inverno, le due sezioni migliori e più ricche d’invenzione della partitura, la gestione del coro, ad esempio nella grande scena della caccia dell’Autunno e nella scena del vino spillato dell’Inverno, in cui Minkowski, che ha sempre impresso andature piuttosto gagliarde e volumi ben nutriti, ha spinto l’esecuzione ad una sorta di esaltazione dionisiaca davvero coinvolgente. L’inverno, dedicato alla riflessione, al raccoglimento, alle opere al chiuso, ci riserva una bella introduzione di nubi e nebbie, il delizioso numero di Hanne con le filatrici, la storiella, sempre affidata a Hanne, della contadinella che si fa beffe di un gran signore, e la riflessione sulla caducità della vita nell’intensa aria di Simon Erblicke hier, betoerter Mensch. Ed è come se questa stagione in particolare risvegliasse più profondamente l’invenzione di Haydn, in una sorta di riflesso autobiografico.

Successo magnifico per tutti, orchestra e coro (stavolta istruito da Donato Sivo), i tre valenti solisti, la Labin di cui si è già detto, il tenore Kieran Carrel che era Lukas, il giovane contadino e fidanzato di Hanne, il basso Samuel Hasselhorn, l’anziano e meditativo Simon, ma in particolare per Marc Minkowski, che al culmine delle ovazioni ha preso dal suo leggio la partitura e l’ha baciata.