La riscoperta di una ‘mock opera’ del Settecento

Il mito di Piramo e Tisbe rivisto in chiave satirica, prendendo di mira l’opera italiana del tardo periodo barocco

MM

27 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura

Piramo e Tisbe (foto  Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
Piramo e Tisbe (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)

Roma, Teatro dell’Opera, Museo Montemartini

Piramo e Tisbe

25/10/2025 - 29/10/2025

L’Opera di Roma attraversa un periodo di iperattivismo, che in questi giorni la vede impegnata sui palcoscenici istituzionali del Teatro Costanzi e del Teatro Nazionale, nella Chiesa di Santa Maria in Aracoeli e - ed è di questo che ci occupiamo ora - nella Sala Macchine di una vecchia centrale elettrica, messa a disposizione dal Museo Centrale Montemartini: il nome non lascia sospettare la bellezza di questo spazio, dove mastodontici impianti di archeologia industriale accolgono una selezione di antiche statue romane a grandezza più che naturale. Su uno dei lati corti della sala è collocato il frontone del tempio di Apollo Sosiano (per quel che ne resta) e ai suoi piedi è stata sistemata una piccola pedana, che funge da palcoscenico per un’opera altrettanto piccola, Piramo e Tisbe, messa in musica nel 1745 da John Frederick Lampe. Il libretto, probabilmente scritto dal compositore stesso, riprende il mito o piuttosto la favola del tragico amore tra Piramo e Tisbe, di origine babilonese, poi cantato da Ovidio e ripreso innumerevoli volte. Anche da Dante lo cita e Shakespeare lo ha volto in farsa nel finale del “Sogno d’una notte di mezza estate”. A Shakespeare si riallaccia questo ‘comic masque’ di Lampe, che oggi è un’assoluta rarità ma a suo tempo deve avere avuto una discreta circolazione, come fa supporre il fatto che sia stato stampato da un editore importante come Walsh. Ora il musicologo Lorenzo Tozzi l’ha riscoperto, favorendone questa prima esecuzione italiana.

Piramo e Tisbe (foto  Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
Piramo e Tisbe (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)

Il compositore stesso l’ha definita ‘mock opera’. L’oggetto della derisione è l’opera italiana, ma si tratta in realtà di un’ironia all’acqua di rose, forse perché l’autore non se la sentiva d’infierire sull’opera italiana, dato che vi era personalmente coinvolto come fagottista nell’orchestra dei teatri d’opera londinesi. Quest’ironia è affidata soprattutto a due gentiluomini inglesi, che assistono allo spettacolo - dunque siamo di fronte a un caso di metateatro - e commentano quel che vedono e ascoltano con un umorismo garbato e molto british, tanto che si può supporre che in fondo apprezzino lo spettacolo. Più popolaresca e graffiante è la satira che nasce dalle sciocchezze che dicono e fanno alcuni personaggi appartenenti al mondo dell’opera, indicati come “Maestro suggeritore”, “Semibreve” e “Prologo-Epilogo”. Questi personaggi parlano e non cantano.

Cantano invece i due protagonisti Piramo e Tisbe e le tre personificazioni del muro, della luna e del leone, un’assurdità che viene da Shakespeare e che serve a rendere più comico lo spettacolo. A loro Lampe non affida arie nello stile italiano dell’epoca (quindi non ci sono le ornamentazioni virtuosistiche né le lunghe ripetizioni dell’aria col da capo) ma song dalla melodia gradevole e naturale e dalla forma semplice. Talvolta sono piuttosto pallidi, talvolta più vivi e incisivi, particolarmente nel caso del Leone, a cui Lampe attribuisce melodie più robuste e talvolta letteralmente ruggenti. Non è molto, ma abbastanza per trascorrere un’oretta gradevole e per togliersi la curiosità di conoscere un esemplare tipico (oltre alla più nota Beggar’s Opera, che però è un caso eccezionale sotto diversi aspetti) di quelle semi-opere inglesi che venivano rappresentate nei teatri minori con grande sebbene effimero successo: The Dragon of Wantley, un’altra ‘mock opera’ di Lampe, ebbe sessantanove repliche consecutive a Londra.

Piramo e Tisbe (foto  Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
Piramo e Tisbe (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)

Quest’edizione romana - che prevede recite per il pubblico ‘normale’ e per le scuole e sarà visibile sui canali social del Teatro dell’Opera - era affidata a giovani interpreti, guidati e indirizzati dall’esperienza di Lorenzo Tozzi (consulente musicale) e Cesare Scarton (regista), che insieme hanno realizzato anche l’adattamento e la drammaturgia, senza inventare nulla di estraneo all’originale ma traducendo in italiano le parti recitate e lasciando in inglese quelle cantate: una scelta saggia. Scarton ha anche realizzato la messa in scena, che era semplice, gradevole, ironica, perfettamente calibrata sulla misura di quest’operina. Antonio Maria Pergolizzi sedeva alle tastiere (che rimpiazzavano la piccola orchestra originale) e guidava i giovani cantanti con la sua grande esperienza di maestro collaboratore.

Giovani tutti gli altri artefici dello spettacolo: i collaboratori all’allestimento scenico e i cantanti erano artisti di “Fabbrica” Young Artist Program del Teatro dell’Opera di Roma, mentre dal corso di perfezionamento del Teatro di Roma provenivano gli attori.

Alla scenografia dava un importante contributo la spettacolarità della sala stessa e Sofia Sciamanna non ha dovuto aggiungere che pochi elementi scenici, tra cui spiccavano alcuni busti in stile antico però con divertenti acconciatore barocche. Virginia Blini ha disegnato i costumi (particolarmente originali e spiritosi quelli del Leone e della Luna) e Zofia Pinkiewicz le luci.

Piramo e Tisbe (foto  Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)
Piramo e Tisbe (foto Fabrizio Sansoni-Opera di Roma)

Tra i cinque cantanti Jessica Ricci (Tisbe) e Alejo Alvarez Castillo (Leone) hanno dimostrato una maturità stilistica, tecnica e interpretativa che presto consentirà loro di affrontare prove più impegnative. Gli altri tre hanno ancora un po’ di strada da fare, a cominciare dalla pronuncia sia italiana che inglese: erano Guangwei Yao (Piramo), Dayu Xu (Luna) e Jiacheng Fan (Muro). Bravi, briosi e disinvolti i cinque giovani attori: Federico Gariglio, Giacomo Cremaschi, Andrei Cuciuc, Emanuele Baldoni e Niccolç Massi. Per tutti gli applausi del pubblico che gremiva la sala.