A Lione un Boris Godunov tra giochi di potere e d’infanzia
La stagione 2025-2026 dell’Opéra de Lyon inaugurata con un ambizioso nuovo allestimento dell’opera di Musorgskij
25 ottobre 2025 • 4 minuti di lettura
Opéra National, Lione
Boris Godounov
13/10/2025 - 25/10/2025Un cast d’alto livello, di prevalenza russo, per una messa in scena che rispecchia, più che la Russia storica, l’Occidente contemporaneo. La stagione 2025-2026 dell’Opéra de Lyon è stata inaugurata con un ambizioso nuovo allestimento del Boris Godunov di Musorgskij, in coproduzione con la Monnaie di Bruxelles e l’Abu Dhabi Festival, invitando per la prima volta il regista russo Vasilij Barkhatov, già molto lodato in Germania e nell'Europa orientale, e chiamando sul podio il giovane, ma già affermato, maestro bielorusso Vitalij Alekseenok, primo premio al Concorso Toscanini nel 2021 e oggi direttore musicale dell'Opera di Düsseldorf. Nel ruolo titolo inoltre c’è l’acclamato basso russo Dmitri Ulyanov, noto per il suo carisma ma anche per la sua capacità di ben esprimere tormento interiore. Se quindi della vecchia Russia visivamente non c’è più nulla, se non un richiamo nelle classiche tuniche nere dei monaci e per le campane in scena, per il resto lo stile dei nobili è quello della giacca e cravatta d’oggi, l’ostessa della locanda è in giallo come l’insegna di MacDonalds e i bambini si divertono in uno di quegli spazi dedicati ai più piccoli con palline, percorsi a tubi e scivoli, con i giochi riposti in contenitori impilabili di plastica trasparente, come quelli dell’Ikea. Una contemporaneità visuale che sembra accentuare ancora di più la modernità della partitura di Musorgskij, aspra, dalle tonalità scure e dai suoni stridenti. Si è scelto infatti di suonare la prima partitura scritta da Musorgskij, quella del 1869, inizialmente considerata ‘brutta” dai suoi contemporanei, invece poi giudicata la più originale e avanguardistica, più compatta ed efficace teatralmente. E la direzione precisa, secca, dal ritmo serrato, di Vitalij Alekseenok della brava Orchestra dell’Opéra di Lione ne fa esprimere bene tutta la carica espressiva di un dramma che è insieme racconto di intrighi politici ma, sopratutto, di una enorme pressione psicologia tanto pesante da sopportare da sprofondare il protagonista sino alla morte.
La sorpresa è già all’apertura del sipario: il popolo e i ruoli principali sono presentati tutti seduti, su tavoli disposti a più livelli. All’inizio non se ne capisce bene il senso, nemmeno dei giochi che alcuni stanno facendo, ma il colpo d’occhio è d’effetto, anche bello a vedersi, e pure in linea con la sala moderna dell’Opera di Lione. Il coro si rivela subito molto ben curato, il suo maestro è Benedict Kearns, molto belli i commenti del popolo quasi sussurrati e bravi anche tutti i bambini della Maitrise dell’Opera di Lione. Uno ad uno si fanno apprezzare tutti i protagonisti, nessuno escluso, sia vocalmente che per l’interpretazione. Citiamo solo il tenore russo Sergey Polyakov nel ruolo dell’intrigante principe boiardo Shuisky; il baritono olandese Alexander de Jong da spessore alla parte di Andrej Ščelkalov, il segretario della Duma; il basso russo Maxim Kuzmin-Karavaev è il monaco cronachista Pimène e il tenore russo Mihails Culpajevs è il falso pretendente Grigori. I due figli di Boris sono poi interpretati da Eva Langeland Gjerde, una adolescente Xénia qui dall’aspetto un po’ troppo infantile e che viene fatta impiccare in scena, macabramente, in fila con le campane, mentre il fratello è Iurii Iushkevich che incarna un Féodor quasi autistico.
Meritato successo di pubblico anche per la coppia dei due ex monaci vagabondi Varlaam e Misail, rispettivamente il basso americano David Leigh, che strappa un applauso a scena aperta per la sua interpretazione di “Questo accadde nella città di Kazan”, e il tenore estone Filipp Varik, che si farà invece poi notare come l’Innocente per la bellissima voce dal timbro celestiale, un Innocente qui presentato nella sala giochi come un giovane dall’aspetto che richiama quello di Parsifal. Le due scenografie principali, quella dei tavoli e quella della sala giochi, alla fine si sovrappongono mettendo ben in evidenza come il piano degli avvenimenti esteriori ed interiori, i giochi di potere degli adulti e l’innocenza infantile, inevitabilmente infine si compenetrano in una lettura psicologica degli eventi che abbandona tutti i riferimenti storici per assumere quelli atemporali dei giochi di ruolo che si intrecciano. Le scene sono di Zinovy Margolin, supportate dalle buone luci di Alexander Sivaev, mentre i realistici costumi sono di Olga Shaishmelashvili. L’acme della tragedia si raggiunge infine grazie all’intensità interpretativa di Dmitri Ulyanov, all’altezza della sua fama, un crescendo di sfumature sotto la pressione del potere e del rimorso, che scava inarrestabile con la voce la sua perdita.