I canti sacri ortodossi tra i mosaici di Santa Maria Maggiore

Il coro del monastero Danilov di Mosca chiude il Festival di Musica e Arte Sacra di Roma

Il coro del monastero Danilov di Mosca
Il coro del monastero Danilov di Mosca
Recensione
classica
Roma, Basilica di Santa Maria Maggiore
Il coro del monastero Danilov di Mosca
17 Settembre 2019

La diciottesima edizione del Festival di Musica e Arte Sacra era imperniata soprattutto sui classici, ma si è conclusa con un concerto originale, per non dire stravagante, portato a Roma dal Coro Maschile Festivo del Monastero Danilov di Mosca, uno dei monasteri più antichi e prestigiosi della chiesa ortodossa russa, sede del Sinodo del Patriarcato di Mosca. Di conseguenza anche il coro è uno dei più antichi e prestigiosi della Russia, ma la sua storia ha avuto una lunga interruzione, perché fu sciolto durante il periodo sovietico e ricostituito nel 1989. 

Abbiamo detto che si è trattato di un concerto originale, ma l’originalità non stava nel presentare canti sacri ortodossi, perché vari altri cori russi hanno fatto conoscere in Italia la profonda suggestione di tali musiche. L’originalità stava semmai nella piega sorprendente che il concerto ha preso da un certo punto in avanti. Si era iniziato con alcuni dei canti ortodossi più antichi giunti fino a noi, risalenti al sedicesimo secolo e scritti in una particolare notazione di non facile decrittazione. Questi canti semplici e severi, di profonda spiritualità, non sono troppo diversi dal nostro canto gregoriano, sicuramente per la comune derivazione dal canto bizantino ma anche perché provengono dal monastero di Suprasl nella Polonia nord orientale, dove prevale la chiesa cattolica, che col suo canto gregoriano può aver influenzato il canto praticato nei pochi monasteri ortodossi locali. Data l’epoca relativamente avanzata, a quelle antiche monodie si era già sovrapposto un primo, elementare sviluppo polifonico, che ricorda da vicino gli organadell’Europa occidentale di tre secoli prima, quando su lunghissime note tenute dalle voci più gravi, le voci più acute svolgono una fluente e ornata melodia. Grande Il fascino di tali melodie che giungono da un’epoca così remota e la cui origine risale ancora più indietro. 

Poi si è passati a canti del diciottesimo secolo, che abbandonano le melodie e i modi dei canti più antichi e assumono i caratteri melodici e armonici della musica europea di quel tempo, conservando però una schietta semplicità e una profonda spiritualità, anche quando hanno un ritmo leggero, quasi di danza, come in un canto ucraino in lode del Signore. Questi sono ancora canti anonimi, mentre nel Novecento fa irruzione l’Autore, con la sua personalità e le sue idee, cosicché da un brano all’altro si passa dalla freschezza, semplicità e allegria popolaresche ad uno stile severo e arcaicizzante e ad un tono più vibrante e quasi romantico.

Fin qui, niente di particolarmente originale e tantomeno stravagante. Un po’ fuori strada portavano l’Ave verum corpus di Mozart, che è stato gioco forza eseguire con sole voci maschili e senza orchestra, quindi alquanto diverso dall’originale ma sempre bellissimo. Più preoccupante quel “pasticcio” che va sotto il nome di Ave Maria di Schubert, qui affidata ad una voce bianca, mentre le voci maschili facevano le veci del pianoforte: ancora più preoccupante che alla fine sia scattato il primo applauso della serata, ma si può sperare che precedentemente non si sia applaudito soltanto per una forma di doveroso rispetto nei confronti della musica sacra.

Infine arrivava anche lo stravagante. Come primo bis Mamma di Bixio, sì proprio lei, la canzone resa celebre prima da Beniamino Gigli e poi da Claudio Villa: applausi commossi. Poi due canti di montagna italiani, quasi irriconoscibili: peccato che fossimo a Roma e non a Trento e dintorni, perché sarebbe stato bello se tutto il pubblico si fosse unito agli ospiti russi come una allegra comitiva in gita sulle Alpi. Per concludere si tornava a un canto sacro russo di epoca moderna, con un “tropo” – per cercare disperatamente un aggancio con l’antico e autentico canto sacro – sulle parole “Proteggi il popolo russo e il popolo italiano per l’eternità”, in lingua italiana. Insomma una serie di scivoloni, probabilmente con l’ingenuo proposito di accattivarsi gli ascoltatori italiani, semmai fossero rimasti freddi all’ascolto dei bellissimi, profondi, spirituali canti sacri antichi della prima parte.

Ciò non toglie che le quindici voci del coro, diretto da Georgy Safonov, siano splendide per la bellezza e pienezza del timbro, per la coesione, per la perfezione dell’intonazione (tranne in un paio di momenti dei bis, quando si sono fatti prendere troppo dall’entusiasmo).

In definitiva un concerto bellissimo nella prima parte con i canti antichi, altalenante nella parte con i canti ortodossi più recenti. Dell’ultima parte non so proprio cosa dire. 

 

 

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Piace l’allestimento di McVicar, ottimo il mezzosoprano Lea Desandre

classica

A Bologna l’opera di Verdi in un nuovo allestimento di Jacopo Gassman, al debutto nella regia lirica, con la direzione di Daniel Oren

classica

Napoli: il tenore da Cavalli a Provenzale