Gatti "racconta" Beethoven

Trionfo con l’Orchestra Mozart a Bologna su pagine di Prokof’ev, Stravinsky e Beethoven

GD

07 dicembre 2025 • 3 minuti di lettura

Gatti e l'Orchestra Mozart (Foto Marco Caselli Nirmal)
Gatti e l'Orchestra Mozart (Foto Marco Caselli Nirmal)

Auditorium Manzoni, Bologna

Daniele Gatti e l’Orchestra Mozart

04/12/2025 - 04/12/2025

L’Orchestra Mozart, fondata da Claudio Abbado (e da lui diretta per dieci anni) in seno all’Accademia Filarmonica di Bologna nel 2004, ha tenuto il suo secondo concerto del 2025 (il primo – notevolissimo – è stato a gennaio, dedicato alle ultime tre sinfonie mozartiane) proprio nella sua casa madre. Sul podio l’esperto e sempre illuminante Daniele Gatti, impegnato nel ruolo di Direttore musicale dell’ensemble felsineo dal 2019, in un programma intellettualmente molto interessante, che accoppia l’originalità neoclassica di Prokof’ev e Stravinsky con il tardo classicismo di Beethoven sublimante in atmosfere pre-romantiche.

La serata si è aperta con la Sinfonia n. 1 “Classica” di Prokof’ev, di cui Gatti ha regalato un’interpretazione genuinamente travolgente: ogni sortita strumentale scolpiva un particolare emisfero musicale e instaurava un dialogo ininterrotto con la frase precedente e successiva, in un mosaico di suoni appagante per l’intellegibilità delle sue singole tessere. Un’esecuzione pregevole e divertente ricamata sui “diminuendo” e sugli “staccati” degli eccellenti strumentisti della Mozart, a testimonianza del superbo lavoro di Gatti in qualità di esperto e intelligente concertatore. 

A seguire, la Sinfonia in Do Maggiore di Stravinsky, una delle opere sicuramente più intriganti del suo periodo neoclassico. Il direttore italiano è riuscito a restituire il carattere modernamente scomposto e proteiforme della sinfonia, portando alla luce un fil rouge basato sulla corporeità timbrica dei suoni. Il risultato è stata un’esecuzione controllata ed equilibrata, eppure al contempo mai dimentica delle misteriose cupezze che abitano l’opera, a loro volta rifrante sulla melodiosa e inaspettata musicalità scoperta nei passaggi tacitamente più lirici e introspettivi. 

Dopo l’intervallo, Gatti e la compagine bolognese hanno tenuto con il fiato mozzato tutta la sala del Manzoni per una buona mezzora. Il motivo? Un’esecuzione impeccabile e sorprendentemente lucida e doviziosa della Quinta Sinfonia di Beethoven. A colpire è stata la dimensione narrativa racchiusa nell’interpretazione del direttore: ogni sviluppo di dinamica, ogni emersione di una determinata sezione strumentale, ogni variazione ritmica – dalle audaci e infuocate accelerazioni ai sublimi e commoventi rallentamenti – coinvolgevano il fortunato ascoltatore in un viaggio all’interno di un’intera galassia emotiva e sensoriale. L’irruenza vorticosa e incendiaria del tema del Destino nell’Allegro iniziale (condotto con un palpitante “stringendo e allargando”) si è sciolta nella dolce serenità dell’Andante (commovente per la purezza del suo lirismo, dal sapore eminentemente pre-romantico), senza, tuttavia, risparmiarsi dal gettare l’ombra del suo incombente ritorno – e simultanea sconfitta – attraverso un motivo trionfalisticamente regale. Nel terzo movimento il dialogo tra gli archi e i fiati indagava sull’avvenire musicale della sinfonia stessa, bisbigliando sospettosamente la ricomparsa del Fato e il ritorno dell'energia del primo tempo, questa volta vestita dello slancio vitale necessario per contrastare la sua nemesi. Ed ecco che con un colpo di bacchetta, elegante e dirompente insieme, Gatti ha catapultato la sua orchestra nel reame sovraeccitato dell’Allegro finale, che rifulgeva per la corrusca bellezza e per la drammatica intensità della direzione, dal gusto quasi cinematografico per la sua estrema e orgasmica natura cinetica. 

Il magnifico Daniele Gatti ha offerto generalmente una conduzione di notevole umiltà, disponibile nell’evidenziare l’elevata qualità tecnica dei musicisti. Non a caso, la prova dell’Orchestra Mozart è risultata impeccabile in ogni suo reparto, dalla liquida e brillante sonorità degli archi alla perentoria solidità degli intonatissimi ottoni, fino alla dolce musicalità dei legni.

I lunghi e scroscianti applausi finali hanno certificato un trionfo che era già evidente fin dalle prime note elargite da un ensemble e da un direttore di tale calibro.