Follia tropicale in salsa donizettiana

Con qualche felice riscoperta, al Donizetti Opera di Bergamo si apre un nuovo corso ma la formula resta immutata

SN

26 novembre 2025 • 3 minuti di lettura

Il furioso nell'isola di San Domingo ( Foto Studio U.V.)
Il furioso nell'isola di San Domingo ( Foto Studio U.V.)

Teatro Donizetti, Bergamo

Il furioso nell'isola di San Domingo

16/11/2025 - 29/11/2025

Cambia la direzione artistica al Festival Donizetti Opera, ma la formula resta immutata. Francesco Micheli passa il testimone a Riccardo Frizza, già direttore musicale di sette delle prime dieci edizioni del festival, e si confermano così le linee di una manifestazione che si è imposta sempre più anche a livello internazionale come punto di riferimento per l’interpretazione delle opere del compositore bergamasco, tutte presentate in edizione critica e senza i consueti tagli della tradizione. Anche per l’edizione 2025 rimangono tre le produzioni liriche proposte tra Teatro Donizetti e Teatro Sociale, nella città alta.

Opera di rarissimo ascolto, Il furioso nell’isola di San Domingo torna a Bergamo dopo una decina d’anni nella nuova edizione critica curata da Eleonora Di Cintio, che riapre molti tagli tradizionali e offre una visione drammaturgicamente più equilibrata del lavoro. Composta nel 1833 su libretto di Jacopo Ferretti, l’opera appartiene al filone semiserio, in equilibrio tra dramma e ironia, tanto in voga nei primi decenni dell’Ottocento. Il soggetto, molto liberamente tratto da un episodio del Don Chisciotte, offre al compositore l’occasione di esplorare la follia non come mero espediente teatrale, ma come autentico scandaglio psicologico. Il “furioso” è Cardenio che, come Orlando prima di lui, perde il senno per i tradimenti — veri più che presunti — della consorte Eleonora. La sua follia d’amore lo conduce sull’isola di Santo Domingo, dove vive in preda al delirio e sceglie come vittima privilegiata delle sue violenze il servo nero Kaidamà. Un naufragio fortuito porta sull’isola il fratello Fernando e la stessa Eleonora, riaprendo ferite e speranze, finché il riconoscimento finale — più efficace di un elettroshock dei tempi andati — restituisce il senno al protagonista, che perdona la moglie per i passati misfatti.

Nella nuova produzione presentata al Teatro Donizetti, il regista Manuel Renga sceglie la chiave, efficace benché non del tutto risolta, del flashback: un Cardenio anziano e tutt’altro che rinsavito, forse vittima di demenza senile (triste destino degli esseri umani). Nella casa di cura che lo ospita, l’isola caraibica si trasforma in un territorio della memoria, dove oggetti e personaggi emergono come frammenti di un passato lontano, rendendo la dimensione psicologica più forte di quella realistica. Le agili scene di Aurelio Colombo, sospese tra suggestioni tropicali — come la carta da parati floreale che ricopre la grande parete di fondo — e pochi oggetti simbolici, così come le mobilissime luci di Emanuele Agliati, che ridefiniscono lo spazio come paesaggio interiore, contribuiscono a una lettura poetica che non rinuncia alle numerose parentesi leggere del libretto di Ferretti.

Sul piano musicale, la direzione di Alessandro Palumbo si distingue per equilibrio e raffinata teatralità. La scelta di tempi generalmente distesi e la ricerca di una sonorità trasparente — inclusa la sinfonia originale recuperata nell’edizione critica — risultano funzionali a mantenere un equilibrio tra la componente comica, dominante nella tradizione interpretativa, e quella malinconica, se non apertamente drammatica, di questa singolare partitura. L’Orchestra Donizetti Opera accompagna con duttilità e ricchezza di colori, mentre il Coro dell’Accademia Teatro alla Scala ben preparato da Salvo Sgrò sostiene l’azione con brio e vivacità.

Impegnato in una prova importante il cast vocale, che vede Paolo Bordogna protagonista nel ruolo di Cardenio: purtroppo colpito da un malessere nella seconda recita — esploso nel secondo atto con una precipitosa uscita di scena per qualche minuto — il baritono porta comunque a termine l’opera. Nonostante non sia al pieno delle sue possibilità, Bordogna evita saggiamente la caricatura farsesca e delinea una follia credibile, fatta di smarrimenti e lampi improvvisi di lucidità, sempre sostenuta da un fraseggio molto curato. Nino Machaidze, un’Eleonora di forte personalità, sfoggia una linea vocale luminosa con acuti solidi. Bruno Taddia è un Kaidamà tutt’altro che comico, quasi un Pierrot triste, distante dal facile stereotipo del servo buffonesco. Solida la prova di Santiago Ballerini, un Fernando particolarmente appassionato, e molto riuscite quelle di Valerio Morelli e Giulia Mazzola, rispettivamente Bartolomeo e Marcella, entrambi freschi e musicalissimi.

Una riscoperta che non ha il sapore della rarità per soli specialisti, ma la naturalezza di un’opera che attendeva solo l’occasione giusta per tornare a parlare al pubblico, che a Bergamo ha risposto con calore alla stimolante proposta.