Caterina regina di spade (e di bisturi)
Al Donizetti Opera di Bergamo convince poco il nuovo allestimento di “Caterina Cornaro” molto contestato alla prima
26 novembre 2025 • 4 minuti di lettura
Teatro Donizetti, Bergamo
Caterina Cornaro
14/11/2025 - 30/11/2025Di isole e di matrimoni non proprio felici si discetta anche nella produzione di punta del Donizetti Opera 2025, Caterina Cornaro. Se nel Furioso nell’isola di San Domingo il matrimonio è fonte di follia, per l’aristocratica veneziana il vincolo nuziale è nodo di un intreccio politico in cui i sentimenti non trovano quasi spazio. Caterina, figlia del nobile Andrea Cornaro, è in procinto a sposare l’amatissimo Gerardo, quando Mocenigo comunica al padre che il Consiglio dei Dieci la vuole sposa di Lusignano, re di Cipro. Per salvare lo sposo mancato, Caterina lo respinge dicendogli di non amarlo ma, a Cipro, Mocenigo trama per eliminarlo e soprattutto per avvelenare il sovrano legittimo, portando così l’isola sotto il dominio veneziano. Salvato proprio da Lusignano, Gerardo si unisce a lui per contrastare i piani golpisti dei veneziani. Benché ancora innamorata di Gerardo, Caterina dichiara fedeltà al consorte, che, come Gerardo, cade nella battaglia contro Venezia e affida il proprio regno alla consorte, acclamata nuova regina di Cipro.
Commissionata per Vienna nel 1842, Caterina Cornaro arriva sulle scene solo nel 1844 ma a Napoli e in forma edulcorata, censurata e soprattutto senza la presenza di Donizetti, che poté fare poco per evitare un insuccesso annunciato (“Attendo con ansietà le nuove del fiasco di Caterina Cornaro a Napoli. La Goldberg per primadonna è la mia prima rovina senza saperlo. Scrissi per un soprano, mi danno un mezzo! Dio sa se Coletti, se Fraschini intendono le parti come le intesi io; Dio sa se la censura qual macello ha fatto”, scrisse al cognato). Donizetti rimise mano all’opera dandole un nuovo finale che andò in scena a Parma nel 1845. In linea con lo spirito del festival, al Teatro Donizetti si è ascoltato il finale originariamente concepito dal compositore, finora mai rappresentato, nemmeno nell’allestimento visto a Bergamo trent’anni fa con il grande Gianandrea Gavazzeni sul podio. Un ritorno celebrato da diversi eventi e da una piccola mostra, “Caterina Cornaro Experience”, che illustra l’iconica figura della regina di Cipro nella Venezia del Cinquecento e la sua trasfigurazione nell’Ottocento romantico e presenta immagini e bozzetti custodite presso l’archivio iconografico della Fondazione Teatro Donizetti e qualche storico costume.
Se per questo ritorno sul piano musicale si è puntato all’autenticità, il nuovo allestimento coprodotto con il Teatro Réal di Madrid e firmato dal regista Francesco Micheli tratta piuttosto liberamente il libretto di Giacomo Sacchero, immaginando un doppio livello narrativo: la vicenda della Cornaro dell’opera donizettiana viene immaginata come una sorta di delirio fra memoria e fantasia di una donna, Caterina, che, in una sala d’attesa ospedaliera, assiste all’agonia del marito, affetto da una grave malattia. Il gioco di doppi aggiunge complessità a una trama già di per sé molto articolata e finisce per imbrogliare le carte senza un vero motivo drammaturgico. Aiutano poco e tantomeno danno spessore poetico alla messa in scena le esternazioni del tormento interiore della Caterina contemporanea, proiettate sulle superfici della mobilissima scenografia “binaria” di Matteo Paoletti Franzato – l’asettico spazio ospedaliero e la facciata di un palazzo cinquecentesco – che finiscono per accentuare l’artificiosità dell’intera operazione, che, contraddicendo il senso dell’operazione che si vorrebbe all’insegna del nuovo, ripropone triti cliché del melodramma nazionale nella rappresentazione della Caterina donizettiana, a partire dai costumi, firmati da Alessio Rosati, un’esuberante rivisitazione romantica di una immaginaria Venezia quattrocentesca. A poco valgono gli stranianti movimenti imposti soprattutto al mefistofelico Mocenigo, quasi una personificazione della morte come da codici medievali, e al coro, che nel passaggio finale della riscossa cipriota propone un’improbabile danza dei bisturi, speculare al bisturi del chirurgo Gerardo che, invano, tenta, di salvare la vita al consorte della Caterina contemporanea ma lui stesso muore “sotto ai ferri” nella battaglia contro la malattia e non contro i veneziani come il suo alter ego donizettiano.
Le stravaganze registiche non intaccano fortunatamente la qualitativamente notevole sostanza musicale di questa Caterina Cornaro affidata alla bacchetta di Riccardo Frizza che guida l’Orchestra del Donizetti Opera con mano ferma e slancio quarantottesco soprattutto nell’atto finale. La sua è una direzione di certezze più che di sorprese: fraseggio controllato ma mai privo di tensione, equilibrio fra la dimensione lirica e quella drammatica, estrema cura nel restituire spessore alla scrittura orchestrale donizettiana anche nei passaggi più convenzionali. E ovviamente grande rilievo al canto, che trova in Carmela Remigio una Caterina profondamente teatrale e di attenta eleganza nella linea vocale. Accanto a lei, Enea Scala dona a Gerardo fuoco e tormento con ampia varietà d’accento, e Vito Priante si conferma un Lusignano autorevole nell’espressione e nobile. Bene il Mocenigo di Riccardo Fassi specialmente sul piano vocale nonostante un’enfasi registica esagerata sul piano attorale. Completano il cast con precisione e musicalità Fulvio Valenti (Andrea Cornaro), Francesco Lucii (Strozzi e Cavaliere) e Vittoria Vimercati (Matilde) come anche il Coro dell’Accademia del Teatro alla Scala.
Pubblico numeroso e fin troppo esuberante alla seconda recita che, assente il team registico molto contestato alla prima, risponde con grande entusiasmo a questo ritorno.