Festival de Saintes, convivialità e ascolto intelligente

Non solo musica antica all'Abbaye aux Dames, a Saintes in Acquitania, per il festival che si è chiuso il 21 luglio

La Symphonie du Marais - Festival de Saintes
La Symphonie du Marais (foto di Sébastien Laval)
Recensione
classica
Abbaye aux Dames, Saintes
Festival di Saintes
13 Luglio 2018 - 21 Luglio 2018

Il Festival de Saintes ha una lunga storia che lo caratterizza e lo rende speciale. Basta vivere una delle sue intese giornate per rendersene conto e coglierne il clima gentile e amichevole. È un vero punto d’incontro per gli amanti della musica, che si può ascoltare dalla mattina fino a tarda sera. Oltre ai tre concerti al giorno, e in alcuni casi anche quattro, ci sono le prove aperte al pubblico i cui orari vengono puntualmente segnalati in anticipo da locandine affisse negli spazi della Abbaye aux Dames e in alcuni hotel della piccola cittadina aquitana. Il pubblico può seguirle integralmente o in parte e vedere come si raggiunge il risultato finale dei concerti, e inoltre ha la possibilità di seguire la conferenza quotidiana che consente di approfondire i contenuti del principale appuntamento della giornata.

La capienza della chiesa abbaziale è di seicento posti, ed è raro vedere sedie vuote, sia che si tratti dell’appuntamento a metà giornata, che di quelli del tardo pomeriggio o serali. Non c’è momento in cui non ci sia un ensemble o un’orchestra in attività, ma tutto si svolge nella massima tranquillità nonostante il continuo andirivieni di persone.

La storia del Festival è iniziata nel 1972 quando l’imponente Abbazia femminile consacrata nel 1047 ha ripreso a vivere, dopo innumerevoli vicissitudini e parziali distruzioni e ricostruzioni anche a causa di una serie di incendi nel XVII secolo, grazie alla creazione della manifestazione che ha contribuito ad attivare i processi del restauro completato nel 1988. Nel periodo della gestione del suo fondatore Alain Pacquier, la figura di Jean-Claude Malgoire, scomparso ad aprile, ha avuto un ruolo centrale per la crescita della rassegna e di tutte le attività a essa collegate, e la presente edizione è stata dedicata alla sua memoria. L’ulteriore sviluppo ha coinciso con la direzione artistica di Philippe Herreweghe, dal 1981 al 2002, che è rimasto molto legato a Saintes e ha poi continuato a parteciparvi regolarmente come direttore d’orchestra, quando alla guida del Festival è stato nominato il suo assistente Stephan Maciejewski, che come cantante aveva fatto parte di due prestigiosi ensemble, Les Arts Florissants e La Chappelle Royale.

Herreweghe ha definito il pubblico del Festival di Saintes «esigente e conviviale» attribuendogli la capacità di un «ascolto intelligente» per via dell’interesse nei confronti della musica che prescinde dalla fama dei gruppi e dei solisti che vi partecipano, ed effettivamente le scelte di Maciejewsky sembrano confermare questa tendenza.

Non è scontato infatti che un infrasettimanale concerto serale delle 22 dedicato alle musiche vocali di Frescobaldi, che pochi conoscono, preceduto da due differenti programmi comprendenti musiche pianistiche di Beethoven e orchestrali di Liszt e Verdi, riempia completamente la chiesa abbaziale e venga seguito con tanta attenzione. Merito dell’ensemble Le Banquet Céleste fondato dal controtenore Damien Guillon nel 2009, che ha saputo evocare la tavolozza degli affetti barocchi e gli ardori e i dolori amorosi con le giuste dosi di delicatezza e di intensità, particolarmente evidenti in “Troppo sotto due stelle”, “Oh dolore”, “Vanne o carta amorosa”, “Doloroso mio core”, “Ohimè che fur” e “Ti lascio anima mia”, mostrando l’aspetto meno noto del compositore contemporaneo di Monteverdi. Mentre il programma frescobaldiano è un progetto recente ancora in fase di rodaggio, il gruppo ha presentato un secondo concerto dedicato alle cantante di Bach sulle quali lavora dalla sua fondazione. Sia per la qualità della performance che per la consolidata tradizione del Festival – Bach e le sue cantate sono da sempre  presenti nella programmazione della manifestazione aquitana – il concerto che comprendeva le BWV 62, 64, e 156 ha registrato il tutto esaurito riscuotendo un grande successo.   

Il Festival de Saintes non è dedicato esclusivamente alla musica antica, sebbene questa sembra essere il suo fulcro e uno dei principali attrattori del suo cartellone, ma anche alla musica moderna e contemporanea. L’esempio più interessante è stato quello di due concerti serali consecutivi, l’uno puramente vocale e l’altro pianistico, che hanno segnato quella che si potrebbe considerare la giornata più originale dell’intera rassegna. Il primo eseguito da Voces8 ha abbracciato composizioni di diverse epoche, dando risalto naturalmente alla consolidata tradizione vocale britannica della quale l’ensemble è un ottimo rappresentante. Il programma comprendeva lo splendido mottetto di Byrd “Diliges Dominum”, il delicato “Hymn to the Virgin” di Britten, e i due ‘classici’ contemporanei “In Beauty May I Walk” di Jonathan Dove e “The Lamb” di John Tavener; mentre sono risultati poco convincenti i due spiritual inseriti nella seconda parte della esibizione del compassato ensemble dalla perfetta fusione timbrico-vocale, e dopo il dolente e austero “O vos omnes” di Pablo Casals, e lo splendido “Pie Jesu” di Fauré, il concerto è terminato con la suggestiva esecuzione del “Miserere mei” di Allegri intonato fuori scena e fuori dalla vista del pubblico, con un progressivo effetto di allontanamento quasi a voler svanire nello spazio acustico della chiesa. Nulla di compassato invece nella disinvoltura delle prove aperte al pubblico e nella verve del successivo breve atelier durante il quale i cantanti di Voces8 si sono divertiti a far cantare il pubblico polifonicamente attraverso una elementare chironomia, frutto della loro esperienza di didattica vocale. La buona intonazione dimostrata dalla platea sembrerebbe confermare il giudizio di Herreweghe sulla qualità delle persone che seguono la manifestazione.

La vera sorpresa è arrivata nel concerto seguente, quando il pianista Bruce Brubaker ha eseguito musiche di Philip Glass, Terry Riley e dal Codex Faenza, che è uno dei primi testimoni di composizioni per strumento a tastiera della storia della musica. Con profonda intelligenza interpretativa Brubaker ha messo in risalto la semplice  poesia armonica e il giusto respiro alle geometrie ritmiche di Glass e del suo caleidoscopio eufonico, dando una prospettiva quasi orchestrale allo strumento attraverso l’esaltazione delle combinazioni dei suoni armonici, e con altrettanta capacità ha ridotto le sonorità dello Steinway alla stregua di una piccola tastiera, rivelando la bellezza nascosta delle semplici melodie trecentesche raccolte nel prezioso codice faentino. Giocando con le parole si potrebbe dire che il jazz sia nato allora, anche perché una certa tendenza verso lo stile formulaico appare sia nelle pagine musicali di questa raccolta che nelle composizioni del minimalismo dell’avanguardia americana degli anni Settanta e Ottanta.

La presenza di una particolare giostra sonora nel giardino a fianco la chiesa abbaziale è un richiamo per i bambini che frequentano questa vera e propria cittadella musicale. Il Carrousel Musical è stato inaugurato nell’aprile di quest’anno e consente di sperimentare la combinazione di suoni e timbri agendo su tastiere, corde e percussioni attraverso sistemi elettroacustici e digitali creando ogni volta una “composizione” diversa. Ma questo è solo l’aspetto più appariscente di una attenzione verso il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza, che nel programma del Festival è risaltata nel concerto della Maîtrise de Radio France, lo storico coro giovanile che ha intonato musiche di diversi compositori su filastrocche e versi fiabeschi, e nella divertente e graziosa esibizione del coro di bambini e adolescenti, circa una sessantina, che durante una settimana hanno ascoltato, imparato e provato seguiti da vari insegnanti.

Maitrise radio france (foto di Sébastien Laval)
Maîtrise de Radio France (foto di Sébastien Laval) 

Anche l’esecuzione della suite Water Music di Handel presentata da La Symphonie du Marais, l’orchestra barocca fondata da Hugo Reyne, prevista nei giardini dell’Abbazia ma dirottata nella sua Chiesa a causa delle avverse previsioni metereologiche, sembrava destinata ad una platea giovane. Il direttore si è presentato indossando un cappello da marinaio e ha invitato il pubblico a immaginare di essere all’epoca della creazione di questa musica, su uno dei battelli al seguito di quello reale, con grida di gabbiani e sirene di navi imitate dai suoi orchestrali… Reyne ha ricordato di essere venuto a Saintes per la prima volta a sedici anni per seguire uno stage di musica barocca con i pionieri del movimento della sua riscoperta, e vi è poi tornato più volte a dirigere diversi concerti. Ma a proposito di giovani va sottolineata soprattutto la partecipazione della Festival di Saintes attraverso due concerti, il secondo dei quali dedicato a musiche di E.T.A. Hoffmann, di Beethoven e del compositore praghese Jan Křtitel Václav Kalivoda (1801-1866), con la direzione di Michael Willens. D’altronde nel complesso abbaziale è attivo il Conservatoire Municipal de Musique et de Danse, ed è grazie a una sinergia tra partner pubblici e privati e al circolo virtuoso che si è creato negli anni che l’Abbaye aux Dames di Saintes può fregiarsi del titolo di vero e proprio centro propulsore della Cité musicale.

La penultima giornata del Festival è stata una delle più intense, e ha rappresentato un autentico tour de force, perché prima del concerto della JOA il giovanissimo clavicembalista Justin Taylor ha eseguito Continuum di Gyorgy Ligeti, tra alcune sonate di Domenico Scarlatti e degli estratti da una suite di Jean-Baptiste Forqueray, ricordando che questa originale composizione è stata scritta cinquant’anni fa.

L’intenso programma è proseguito con un confronto tra due mondi operistici radicalmente differenti. L’ensemble Les Surprises, diretto da Louis-Noël Bestion de Camboulas ha presentato in forma di concerto l’interessante "pastorale-héroïque" Issé di André Cardinal Destouches, prima opera dell’avventuroso musicista che entrò nel corpo dei moschettieri del Re Sole, il quale la apprezzò probabilmente per via dell’impronta dello stile di Lully. L’arcadica vicenda a lieto fine del travaglio amoroso della protagonista corteggiata da Apollo sotto le vesti di un pastore, contrappuntata dalle schermaglie tra Doris e Pan, è costruita sullo stile declamatorio tipico del teatro musicale francese intessuto di danze, e non poteva esserci confronto più significativo di quello proposto dal concerto immediatamente seguente eseguito dall’ensemble L’Achéron. Il gruppo diretto dall’eccellente gambista François Joubert-Caillet ha presentato tre cantate di Handel del periodo romano, anche se in versione ridotta a causa dell’indisposizione del giovane soprano Deborah Cachet, che è comunque riuscita a ben rappresentare il virtuosismo vocale della tradizione italiana.

L'Achéron (foto di Sébastien Laval) Festival de Saintes
L'Achéron (foto di Sébastien Laval) 

Prima del concerto di chiusura della manifestazione eseguito dalla Orchestre des Champs-Élysées diretta da Philippe Herreweghe, dedicato ai Wesendonck Lieder di Wagner e alla Quarta Sinfonia di Bruckner, l’ensemble Vox Luminis diretto da Lionel Meunier che nei giorni precedenti aveva proposto alcuni mottetti di Rameau, ha messo a confronto due delle quattro messe brevi bachiane, le cosiddette “messe luterane” perché costituite dai soli Kyrie e Gloria. Dall’ascolto della BWV 234 e della BWV 236, rispettivamente in La maggiore e in Sol maggiore, è emersa la giustapposizione tra stile antico e stile moderno e i legami con il mondo delle sue cantate, presentate in questa edizione anche dall’ensemble Gli Angeli Genève. È questo l’elemento di continuità di questo interessante Festival nato e cresciuto sotto il segno di Bach.

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