Dulce Pontes e l'applausometro

La cantante portoghese al Teatro La Fenice di Venezia

Foto Roberto Rosa
Foto Roberto Rosa
Recensione
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Gran Teatro La Fenice Venezia
20 Dicembre 2016

I virtuosi si possono dividere, in modo generico, in tre grandi categorie: quelli che esplorano il proprio virtuosismo (li si trova solitamente nei contesti più sperimentali, un Demetrio Stratos, un Colin Stetson, tanto per dirne due), quelli che mettono il proprio virtuosisimo al servizio di un repertorio (ne troviamo i migliori esempi nelle più rilevanti figure di interpreti classici, ad esempio) e quelli che invece mettono un repertorio a servizio delle proprie abilità. Credo che Dulce Pontes appartenga a quest’ultima categoria, in fondo la meno interessante per quanto mi riguarda, come ha dimostrato nell’acclamato concerto, unica data italiana, organizzato da Veneto Jazz al Teatro la Fenice di Venezia. Sgombriamo il campo da equivoci: la Pontes ha mezzi fuori dal comune e una consumata teatralità che ha subito conquistato la platea veneziana, che l’ha ricambiata con caloroso affetto. Ma è una formula che rischia di soddisfare solo gli aspetti più evidenti e superficiali dell’idea musicale che si persegue. Proiettata ormai stabilmente in quella sorta di “limbo” globalizzato in cui convivono senza troppa profondità la "Maria de Buenos Aires" di Piazzolla e il Concierto de Aranjuez, l’Aznavour di "La Bohéme" e trovatori trecenteschi, per giungere al finale dell’immancabile "Canção Do Mar". Sorretta da arrangiamenti senza sbavature né guizzi e ben resi dalla band di supporto. Con più di qualche concessione a piccole e grandi gigionerie e un po’ di noia per chi non si accontenta dello stupore di fronte alle possibilità tecniche della Pontes. L’applausometro di quanti, legittimamente e sinceramente, si sono più che accontentati, sembra darle comunque ragione.

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