Dove la natura dell’arte risuona
Fucina Arte Sella ha celebrato i suoi 20 anni con un concerto originale, intenso e partecipato
Il concerto che ha visto protagonista un’originale quintetto strumentale formato da Mario Brunello e Giovanni Sollima al violoncello, Andrea Lucchesini al pianoforte, Marco Rizzi al violino e Danilo Rossi alla viola, ha offerto una sorta di rito laico e spontaneo dove i celebranti – vale a dire i musicisti stessi – si sono rivelati viatico di una sorta di ringraziamento collettivo per i 20 anni di Fucina Arte Sella, festival-laboratorio che, edizione dopo edizione, ha posto in dialogo musicisti, attori, poeti e scrittori, immergendoli in un contesto naturale e artistico unico.
Il contesto è quello, appunto, di Arte Sella, realtà avviata in forma sperimentale nel 1986, quando un gruppo di amici residenti a Borgo Valsugana si è ritrovata in Val di Sella, nel giardino di Villa Strobele, immaginando di coniugare arte contemporanea e natura. È iniziato così un percorso costruito attraverso la coltivazione di contatti con differenti interlocutori tra i quali istituzioni culturali e popolazione locale, oltre ad artisti provenienti da diverse nazioni. È in questo primo momento di sviluppo che vengono stabiliti alcuni princìpi cardine che ispirano ancora oggi l’attività di Arte Sella: l’artista non è protagonista assoluto dell’opera d’arte ma accetta che sia la natura a completare il proprio lavoro; la natura va difesa in quanto scrigno della memoria; la natura non viene più solo protetta, ma interpretata anche nella sua assenza (un mutato rapporto con l’ecologia); le opere sono collocate in un hic et nunc e sono costruite privilegiando materiali naturali: esse escono dal paesaggio, per poi far ritorno alla natura.
Princìpi che – come pietre di un rosario secolare o come un mantra laico – sono stati ribaditi da tutti gli operatori che abbiamo incontrato durante la visita di questo museo all’aperto più unico che raro, dove le opere d’arte sono ora le installazioni più o meno durevoli distribuite nei diversi spazi – anch’essi cangianti – ora la vegetazione stessa che abita questa sorta di micro – o macro – cosmo dove risuona la natura e l’arte (o la natura dell’arte).
Così, per esempio, tra le tante opere che abitano questo museo all’aperto, ci siamo ritrovati al centro della costruzione in legno di Aeneas Wilder (Senza titolo 169) la quale – con il suo ritmo verticale di spazi pieni e vuoti e il suo soffitto ritagliato in una sorta di oblò esagonale aperto verso il cielo – ci sorprende con il riverbero naturale che ci riempie le orecchie della nostra stessa voce, mentre gli occhi si riempiono del verde tutt’attorno.
Sensazioni che ci hanno riportato alla mente le parole che Murray Schafer – compositore, scrittore e ambientalista canadese scomparso nell’agosto dello scorso anno – ha affidato al suo fondamentale scritto Il paesaggio sonoro: «Un vero giardino è una festa per tutti i sensi. […] Un parco è un giardino pubblico in cui può trovare posto, se ben progettato, ogni genere di svago collettivo […]».
Bello pensare al concetto di “svago collettivo” – così com’è intriso di una sorta di semplice e positiva leggerezza – per un luogo complesso, articolato e multiforme come Arte Sella. Bello, al tempo stesso, raccogliere in questo contesto le parole di Mario Brunello, una sorta di veterano della declinazione musicale dell’espressione artistica innestata tra le altitudini alpine – poco prima del concerto: «in questo luogo facciamo musica come non si fa altrove, ogni progetto che si presenta qui viene pensato e realizzato come qualcosa di irripetibile e unico, come unico è il luogo che lo accoglie».
Un luogo unico come la “stalla da concerto” - una vera e propria stalla, ristrutturata e adattata a luogo per far musica - che ha accolto i cinque musicisti e un pubblico da tutto esaurito il quale, sotto il rumoreggiare del classico temporale primaverile, ha iniziato a godere delle pagine di Schumann offerte dal pianoforte di Andrea Lucchesini, capace di far danzare i tasti del suo strumento sulle note di Durchhaus phantastisch und leidenschaftlich vorzutragen dalla Fantasia op 17 per pianoforte in contrappunto con le gocce di pioggia sul tetto della sala, seguite dai movimenti Rasch e Langsam, mit melancholischen Ausdruck, da Märchenbilder per viola e pianoforte op. 113, con il suono denso e vibrante della viola di Danilo Rossi che si è affiancata allo Steinway dello stesso Lucchesini.
A seguire, il primo incontro dei due violoncelli di Brunello e di Giovanni Sollima si è consumato grazie agli intarsi seducenti del brano di 8.VI.1810…zum Geburtstag von Robert Schumann del compositore ucraino (scelto non per questo, ma anche per questo…) Valentin Silvestrov, il cui risultato è parso davvero “quasi un violoncello solo” come recita la didascalia alla partitura.
Dopo un’ispirata interpretazione dello Scherzo dalla Sonata F.A.E. di Johannes Brahms, che ha visto impegnato ancora il pianoforte di Lucchesini affiancato questa volta dal brillante violino di Marco Rizzi, è stata la volta del brano, in prima esecuzione assoluta, Quintetto Sospeso, commissionato per questa occasione a Giovanni Sollima da Arte Sella e pensato per un originale quintetto formato, appunto, da violino, viola, due violoncelli e pianoforte. Una composizione strutturata in movimenti che viaggiano nel tempo – tra barocco e panorama contemporaneo – capace di miscelare stilemi stilistici che attingono dal repertorio classico-contemporaneo – anche nordamericano-minimalista – rock e folk, in una miscela assieme strutturalmente articolata e comunicativamente immediata. Una partitura – come tante di Sollima – che necessita di esecutori davvero bravi – sia dal punto di vista tecnico sia interpretativo – per restituirne a pieno l’essenza espressiva.
Un’alchimia che si è confermata anche in questa occasione, grazie all’impegno e al gusto di una compagine di musicisti sicuramente non ordinari, con gli stessi Sollima e Brunello, tra l'altro, impegnati a cavar note tese, sottili e vibranti da due violoncelli di fieno che, da apparente attrazione fine a se stessa, si sono rivelati elementi organici nell’ambito del segno espressivo con il quale è stato tratteggiato il movimento titolato, appunto, Hay-Fieno.
Un concerto originale, intenso e partecipato, insomma, salutato da un convinto successo, anche a giudicare dal calore di un pubblico che, alla fine, ha lasciato il posto agli ascoltatori della seconda e ultima recita con il volto attraversato da un’espressione di serena gratitudine.
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