Al Teatro La Fenice applausi per Levit
Il pianista tedesco seduce il pubblico veneziano con un viaggio nell’Ottocento pianistico tra Beethoven e Chopin passando per Schumann
07 ottobre 2025 • 3 minuti di lettura
Gran Teatro La Fenice Venezia
Igor Levit
04/10/2025 - 04/10/2025Nel recital al Teatro La Fenice, nell’ambito del programma di Musikàmera, Igor Levit ha confermato la sua originale cifra di interprete capace di fondere rigore intellettuale e intensità emotiva. Il programma, un viaggio nell’Ottocento pianistico da Beethoven a Chopin, con una tappa centrale dedicata all’universo poetico di Schumann. Interprete fra i più significativi della sua generazione, il trentottenne pianista tedesco di origine russa ha dato un saggio della sua capacità di coniugare lucidità analitica e slancio poetico in una sintesi inconsueta, sebbene talora l’esibizione dell’impeccabile solida tecnica tenda a prevalere sull’espressione.
La serata si è aperta con la Sonata in sol maggiore op. 14 n. 2 di Beethoven, pagina spesso considerata minore rispetto ai grandi cicli sonatistici del compositore, ma in realtà ricca di invenzioni formali e di una leggerezza sottilmente teatrale. Levit ne ha messo in luce il carattere di conversazione, con un fraseggio limpido e un’articolazione attentissima al gioco contrappuntistico. Il tono è stato volutamente misurato, quasi cameristico, restituendo quella dimensione di intimità che fa della Sonata un piccolo gioiello nascosto. Piuttosto diverso l’approccio nella successiva Sonata op. 31 n. 2 in re minore, detta “La Tempesta”, nella quale il pianista ha esaltato i contrasti dinamici in modo talvolta eccessivo, più per slancio virtuosistico che per profonda adesione alla poetica beethoveniana. L’incipit, con i suoi accordi sospesi e le pause cariche di silenzio, è stato reso da Levit con una teatralità asciutta ma penetrante, evitando ogni eccesso retorico. Nel secondo movimento, l’Adagio, ha prevalso una cantabilità quasi vocale, resa con un suono levigato e una sensibilità agogica quasi espressionistica. Il finale, invece, ha mostrato il Levit più dinamico e incalzante: il moto perpetuo che chiude la Sonata è apparso come un vortice inarrestabile anche in virtù di una scelta di tempo vorticosa anche se mai a discapito di una chiarezza nel declamato.
Dopo la pausa, con i Nachtstücke op. 23 di Robert Schumann, Levit ha affrontato un territorio espressivo di inquieta ambiguità, dove il romanticismo si vela di ombre e visioni, sospeso tra sogno e inquietudine. La sua interpretazione ha privilegiato la chiarezza del disegno e il controllo del suono, restituendo una lettura di impressionante dominio tecnico, anche se forse un po’ distante da quel mondo febbrile e perturbato che abita la scrittura schumanniana, specie quella del periodo tormentato nella vita del compositore. Più che a un paesaggio notturno sognante, i titoli dei quattro brani — Trauerzug (Corteo funebre), Kuriose Versammlung (Riunione curiosa), Nächtliches Gelage (Festa notturna) e Rundgesang mit Solostimmen (Canto circolare con voci soliste) — rimandano a un universo di incubi, maschere e apparizioni, che Levit ha reso con precisione tecnica più che con abbandono visionario. Ne scaturisce un affresco lucido, talora glaciale, in cui la logica della forma prevale sull’ebbrezza del sogno. Tuttavia, proprio in questa distanza emotiva si rivela la coerenza del suo approccio: anche nel cuore più oscuro e inquietante del romanticismo, Levit resta un interprete che mette soprattutto la forma al servizio dell’intelligenza musicale, dando invece meno rilievo alla pregnanza emotiva.
Il recital si è chiuso con una pagina di grande impatto: la monumentale Sonata n. 3 in si minore op. 58 di Chopin, opera di vasto respiro e di estrema complessità formale. In questa pagina Levit ha offerto forse il momento più ispirato della serata veneziana, grazie alla felice fusione tra la cura del dettaglio e il senso architettonico dell’insieme. L’Allegro maestoso iniziale lo ha affrontato con energia controllata, dove il virtuosismo è parte integrante della struttura drammatica della composizione. Nello Scherzo Levit ha mostrato il lato più brillante e giocoso dell’interprete, mentre il Largo centrale si è imposto come il cuore lirico della Sonata: Levit lo ha reso con una cantabilità ampia e nobile, senza cedimenti a leziosi sentimentalismi. Nel finale, che sollecita all’interprete doti tecniche non comuni, il pianista ha fatto sfoggio di una grande forza, trasformando la tastiera in un organismo pulsante di energia sonora.
Il pubblico, che gremiva ogni ordine della sala grande della Fenice, ha accolto l’artista con entusiasmo, ricompensato da un bis chopiniano di intensa partecipazione.