Sospiri di Yorke

Le musiche del cantante dei Radiohead per il remake di Suspiria firmato da Luca Guadagnino

Suspiria Thom Yorke Guadagnino
Disco
pop
Thom Yorke
Suspiria
XL
2018

A differenza del socio Jonny Greenwood, che ha inanellato ormai numerose colonne sonore di produzioni rilevanti, collaborando con autori quali Paul Thomas Anderson (Il petroliere, The Master, Vizio di forma e Il filo nascosto) e Lynne Ramsay (…E ora parliamo di Kevin, You Were Never Really Here), Thom Yorke non si era cimentato ancora su scala cinematografica. A convincerlo è stato Luca Guadagnino, di suo sensibile alle storie di musica (si dice voglia tradurre sul grande schermo l’album Blood on the Tracks di Dylan, prossimamente), che gli ha chiesto di creare il corredo sonoro per la sua rielaborazione del classico di Dario Argento Suspiria.

Per giudicare il film, che presentato in anteprima alla Mostra del Cinema di Venezia ha diviso la critica (“Spaventoso, splendido e rigoroso” per Vulture, filiale del “New York Magazine”, ovvero “Banale, macabro, noioso e insulso”, secondo Time), basterà attendere il 26 ottobre: qui possiamo esprimere intanto alcune considerazioni a proposito delle musiche, condensate in un doppio disco edito in contemporanea all’uscita in sala dell’opera del regista palermitano.

Quest’ultimo, com’è noto, ha voluto distanziarsi dall’originale in termini filologici, lavorando sull’evocazione anziché sul tracciato narrativo, e lo stesso ha fatto Yorke, evitando di misurarsi con le registrazioni d’epoca dei Goblin. Hanno natura diversa le fonti d’ispirazione da lui dichiarate: il kraut rock di Can e Faust, l’elettronica informale del connazionale James Holden e la musique concrète di Pierre Henry, mentre nell’ambito specifico ha citato l’ineludibile Morricone e il Vangelis di Blade Runner. Sovente si tratta di sketch assai brevi, tipo interludi, tutt’al più suggestivi (il sinfonismo dolente di “Klemperer Walks”, l’eloquente “Synhtesizer Speaks”), anche se in certi casi l’ampiezza delle composizioni sorprende, come nel thrilling ambient di “A Choir of One”, protratto per quasi un quarto d’ora, e nel “Suspirium Finale”, che – immaginiamo – scorre all’epilogo, quando lo speculare “Suspirium” è posto viceversa in apertura. Durante entrambi si ascolta la sua voce – inconfondibilmente carica di spleen – adagiarsi su accordi di pianoforte neoclassico modello Michael Nyman con effetto ammaliante.

Accade in altre due circostanze che canti: con tono melò sul groove funereo di “Has Ended” e in chiave intimista su un astratto arpeggio di chitarra in “Open Again”.

Sono quei brani a costituire il motivo d’attrazione principale per gli appassionati dei Radiohead o dello Yorke solista, evidentemente, ma meriterebbero attenzione pure gli episodi in cui sale al proscenio il coro della London Contemporary Orchestra, schierata al gran completo: “Sabbath Incantation” trasferisce nella contemporaneità lo stile gregoriano e nell’elegiaca “The Conjuring of Anke” si riverbera il carattere eminentemente femminile dell’intera messinscena.

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