Il ritorno di Grouper

A distanza di quattro anni dal precedente RuinsGrid Of Points segna il ritorno discografico di Grouper

Grouper, Grid of points
Disco
oltre
Grouper
Grid of Points
Kranky
2018

Da qualche parte intorno alla baia di San Francisco c’è un comune chiamato Fourth Way, i cui abitanti, anni fa, avevano adottato uno stile di vita ispirato dal pensiero di George Gurdjieff, un filosofo mistico di origine armena. La comunità era conosciuta come The Group e tra di loro i ragazzini si chiamavano grouper.

In questo ambiente la oggi trentottenne Liz Harris – alias Grouper – trascorre i primi vent’anni della sua vita e da qui mutua il suo moniker. Ho già scritto di Liz, descrivendo con toni elogiativi la sua performance al Barbican Center con un nuovo alias, NIVHEK; quest’artista ha una decina di lavori al suo attivo, definiti di volta in volta minimalisti oppure ambient, influenzati, in alcuni casi, dalle produzioni dell’etichetta britannica 4AD, quella degli eterei Cocteau Twins, e dalla musica rinascimentale.

Il precedente Ruins fu inciso in larga parte ad Aljezur, in Portogallo, nel 2011, mentre le sette canzoni che compongono questo lavoro sono state registrate nel 2014 a Ucross, Wyoming. Il progetto originario avrebbe dovuto essere diverso ma un’improvvisa malattia ne ha interrotto le registrazioni: Liz la ha interpretata come un segno del destino, come una volontà superiore che le stesse dicendo che il disco andava bene così, malgrado la sua brevità (soltanto ventidue minuti).

Come ha detto la Harris in una delle sue rare interviste, «l’intimità e la compressione di questa musica alludono all’essenza di cui i testi delle canzoni parlano più direttamente». I testi dunque, se solo fossero comprensibili: armonie vocali che sfociano nell’indefinitezza, anche quando non sono accompagnate da altri strumenti, ancora più sfumate che in passato, le parole come suoni attutiti dalla nebbia. Diventa veramente difficile estrapolare qualche brano dalla raccolta, fatta com’è di episodi che si fondono l’uno con l’altro, uniti dalla loro fragilità; spesso le canzoni finiscono improvvisamente, cadendo in una sorta di “nulla sonoro”, oppure cominciano a sfumare ben prima della fine (“Thanksgiving Song”) e proprio l’alternanza tra musica, quasi sempre essenziale, e silenzio è la caratteristica principale di quest’album. I due minuti finali di “Breathing”, occupati dal rumore di un treno in avvicinamento, ci svegliano dal sogno, ci riportano bruscamente alla realtà dopo esserci persi nei suoni eleganti e malinconici di Grouper.

Vale davvero la pena unire i punti di questo reticolo: l’immagine risultante è di una bellezza impalpabile, commovente, vera.

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