Il ritorno di David Byrne
In Who Is the Sky? l’artista statunitense va in cerca della Verità, fra Buddha e Avant Garde

Esclusa per l’ennesima volta l’eventualità di ricostituire i Talking Heads (che pare abbiano respinto nel 2023 un’offerta iperbolica di Live Nation: 80 milioni di dollari in cambio di sette/otto concerti), David Byrne pubblica ora un nuovo lavoro da solista, portando il totale a quota nove e superando così gli otto realizzati dai “mezzibusti”.
Sono trascorsi sette anni dal precedente American Utopia, espressione evidente del suo estro multiforme, essendo sfociato nel musical omonimo e poi anche in un lungometraggio firmato da Spike Lee.
Affiancato nell’impresa dalla Ghost Train Orchestra (ensemble newyorkese composto di una quindicina di strumentisti) e affidandosi alla produzione del britannico Kid Harpoon (nel carnet del quale figurano fra i tanti Harry Styles e Miley Cyrus), in Who Is the Sky? Byrne ha voluto inoltre accanto a sé alcuni amici: Tom Skinner e Mauro Refosco (impegnati qui e là alle percussioni), Hayley Williams (cantante nei Paramore), con cui duetta in “What Is the Reason for It?” su tripudio di fiati mariachi, e la prediletta St. Vincent, ai cori in “Everybody Laughs”, riflessione sulla condizione umana a suon di marimba (“Tutti rovistano tra i rifiuti in cerca d’ispirazione, qualcuno la trova fissando il soffitto della stazione della metropolitana”).
È l’ouverture di un disco fresco e snello (una dozzina di canzoni in 37 minuti e mezzo), nel quale il protagonista si mostra ancora giocherellone (i buffi miagolii della voce in “Where We Are Singing”) e naïf (all’epilogo di “A Door Called No”, quando la porta renitente del titolo si apre magicamente dopo un bacio), a tal punto da evocare il candore del coetaneo Jonathan Richman durante “She Explains Things to Me”, peana in onore di una compagna onnisciente.
A 73 anni compiuti, si diverte a gigioneggiare sull’invecchiamento nell’elegante pop cameristico di “Moisturizing Thing”: apologo su una crema “antietà” che provoca un drammatico ringiovanimento. Il tracciato narrativo è punteggiato di trovate accattivanti: dall’amore immobiliare dichiarato in “My Apartment Is My Friend” all’esilarante mistico secolarizzato che incontriamo in “I Met the Buddha at a Downtown Party” (“Il nirvana è proprio qui, dove cantano i gamberetti”), nonché riflessioni sulla propria natura da “cane sciolto” (“I’m an Outsider”) e a proposito dell’habitat elettivo, descritto con orchestrazione coerentemente arzigogolata e tono autoironico nell’eloquente “The Avant Garde (“È ingannevolmente greve, profondamente assurda”).
La sequenza termina con pensosa leggerezza nel nome della verità: “The Truth” prende spunto da una battuta – “La verità, mio caro, è l’ultima cosa che un uomo vuole sentirsi dire” – recitata nel film del 1930 “La divorziata” dall’attrice Norma Shearer, insignita allora del premio Oscar, con cui tuttavia Byrne si permette di dissentire (“La verità non mi può ferire”).
In fin dei conti, la maggiore virtù di Who Is the Sky? sta nella gustosa alternanza di serio e faceto che lo caratterizza: prerogativa verosimilmente trasfusa nello spettacolo dal vivo, in tournée oltreoceano da metà settembre e atteso in Europa all’inizio del 2026, con unica tappa italiana al Teatro degli Arcimboldi di Milano (21 e 22 febbraio).