I misteri insoluti di Marissa Nadler

Ambientazioni noir nel nuovo album della cantautrice statunitense Marissa Nadler

Marissa Nadler
Disco
pop
Marissa Nadler
The Path of the Clouds
Bella Union
2021

Non ancora ambientata a Nashville, dove si era appena trasferita, Marissa Nadler ha subito gli effetti del lockdown. Durante l’isolamento si è immersa nella serie dal taglio documentaristico The Unsolved  Mysteries, rielaborazione targata Netflix di un format in auge nel tardo Novecento, quando lei – ragazzina – ne era avida consumatrice, e ha imparato a suonare il pianoforte.

L’eco di tali esperienze si riverbera nel nuovo lavoro, sia in senso musicale – per la prima volta in vita sua non ha creato canzoni alla chitarra – sia in termini narrativi. Quest’ultimo aspetto, in particolare, conferisce identità al disco, fin dal brano da cui esso prende titolo: ispirato all’inverosimile vicenda di D.B. Cooper, che il 24 novembre 1971 dirottò un Boeing 727, intascò a terra un riscatto di 200mila dollari e – ripreso il volo – si paracadutò dal velivolo scomparendo nel nulla con il malloppo.

L’iniziale “Bessie, Did You Make It?” rievoca viceversa – aggiungendovi un sottotesto noir – la sparizione di Glen e Bessie Hyde: freschi sposi avventuratisi in canoa nelle rapide del Colorado dentro il Grand Canyon nel novembre 1928 e mai più avvistati.

Chiude il trittico dei “misteri insoluti” quello posto al centro di “Well Sometimes You Just Can’t Stay”, che si apre così: “Era il giugno del 1966, l’ultima volta sei stato visto con le tue ali d’acqua, sei annegato nell’oceano o hai inscenato la tua grande fuga?”, alludendo alla leggendaria – e unica riuscita – evasione dal carcere di Alcatraz (in verità datata 1962).

Completa il quadro “From Vapor to Stardust”, che descrivendo il cerimoniale di un addio (“Ho cercato di non guardare indietro, tu stavi là salutando con la mano, mentre io iniziavo a fare i bagagli”) arriva a citare Robert Stack, l’attore incaricato di condurre la versione originaria dello sceneggiato televisivo.

Di una relazione agli sgoccioli parla pure “Elegy” (“Rendimi nemica, rendimi malvagia, cosicché tu debba andartene, sanguinavamo già dall’inizio, non c’è laccio emostatico che tenga”, per concludere in modo categorico: “È sempre mezzanotte nel mio cuore”), uno degli episodi in cui la trama sonora intessuta con sintetizzatore, arpa e fiati rende evidente l’enfasi maggiore sugli arrangiamenti rispetto agli album precedenti, testimoniata del resto dai numerosi collaboratori coinvolti, generalmente in remoto: dall’arpista Mary Lattimore al pluristrumentista Jesse Chandler, suo mentore al piano, e all’ex Cocteau Twins Simon Raymonde, altresì titolare del marchio Bella Union impresso sul disco in Europa e Regno Unito (oltreoceano è invece Sacred Bones).

Ha caratteristiche analoghe l’affascinante “If I Could Breathe Underwater”, dalle pieghe del quale fa capolino – come accade anche in “Turned Into Air” – la figura fantasy del Mutaforma.

Siamo perciò distanti dal folk essenziale del passato, benché il suo approccio a quel canone classico fosse stato deviato via via dall’inclinazione verso il metal gotico (denunciato nel 2019 dall’esperimento chiamato Droneflower) e da una vaga vocazione avant-garde (si veda il recente duetto con John Cale nel singolo “Poison”).

Un’analogia plausibile sono certe murder ballads alla Nick Cave, cui lei infonde però timbro personale modulando voce soave da mezzosoprano, ad esempio in “Couldn’t Have Done the Killing”, dove la si ascolta cantare: “Non avrei potuto commettere l’omicidio, sono solo crollata, dammi la parte del cattivo, se hai bisogno di un nuovo inizio”.

Al tempo stesso densa di argomenti e suggestiva nell’umore autunnale che la pervade, The Path of the Clouds appare dunque opera di compiuta maturità espressiva: varcata da sei mesi la soglia dei 40 anni, Marissa Nadler ha raggiunto lo zenit del suo ventennale percorso artistico.

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