black midi effetto Rorschach

Schlagenheim è l’album d’esordio dei black midi, chiacchieratissimo quartetto londinese (in Italia li vedremo a Club to Club)

Black Midi
Black Midi
Disco
pop
black midi
Schlagenheim
Rough Trade
2019

Possiamo immaginare che lo scopo sia quello espresso in tedesco nel titolo: “Colpire nel segno”. Il giovanissimo quartetto londinese black midi parte con il vento in poppa, del resto: dopo la gavetta nel sottobosco della capitale, con una crescente reputazione alimentata dal passaparola, è diventato uno dei nomi più chiacchierati nel circuito indipendente in virtù della recente esibizione al South By Southwest di Austin.

Una fama che ha aperto la strada all’album d’esordio, nel quale sono esposte le qualità non comuni della band, chiamata black midi citando il fenomeno musicale nato in Giappone a inizio decennio, riferito a composizioni dalla densità paradossale create per mezzo di rielaborazioni di file MIDI dai cosiddetti “blackers”. Questo rivela qualcosa di loro, insieme alla provenienza dai banchi della Brit School di Croydon (dove furono allevati i talenti di Adele e Amy Winehouse) e a un’inopinata inclinazione per autori classici tipo Bela Bartók e Alfred Schnittke.

In che modo suonano, allora, i black midi? Con perizia tecnica ammirevole, considerata l’età (intorno ai 20 anni), ed energica esuberanza. Simili a chi? Bella domanda. Il cantante e chitarrista Geordie Greep sostiene: “Siamo come un test Rorschach”. Dunque ciascuno ci può vedere cose diverse. Personalmente direi i danesi Iceage (per l’attitudine psicotica di alcuni brani: “Near DT, MI” o “Years Ago”) e i newyorkesi Battles (badando all’arzigogolata complessità formale dell’iniziale “953”), ma vengono in mente anche i King Crimson matematici di Larks’ Tongues in Aspic (ascoltare “Of Schlagenheim” per credere) o i Pere Ubu (il timbro di voce di Greep ricorda da vicino le lunatiche acrobazie di David Thomas: valga a tale proposito la conclusiva “Ducter”).

Quanto agli interessati, tempo fa avevano pubblicato una canzone intitolata “Talking Heads”, che in verità richiamava molto relativamente lo stile del gruppo di David Byrne.

Se si cerca un approccio semplificato, conviene soffermarsi piuttosto su “BmBmBm”, singolo con cui debuttarono lo scorso anno, dall’andamento marziale e la declamazione nevrotica, oppure considerare “Speedway”: ballata post punk dalla tensione latente.

Certo è che non passeranno inosservati. Già sono ghiottoneria da “hipsters”, per altro: lo dimostra il contesto della prima apparizione in Italia, ossia la prossima edizione di “Club To Club”.

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