Bad Plus + Craig Taborn = Stranger Things

Golden Valley Is Now (Intakt) del trio Reid Anderson, Dave King e Craig Taborn è un omaggio vintage agli anni Ottanta

Reid Anderson / Dave King / Craig Taborn
Disco
jazz
Reid Anderson / Dave King / Craig Taborn
Golden Valley Is Now
Intakt
2019

Il bassista Reid Anderson e il batterista Dave King (i due terzi invariabili dei Bad Plus) condividono con il pianista/tastierista Craig Taborn l’età e la geografia di provenienza: tutti e tre nati nel 1970 a Golden Valley, sobborgo di Minneapolis, si sono poi affermati tra le voci più originali della scena jazz dei nostri tempi, musicisti in grado di assorbire e restituire con personalità le più svariate influenze.

Come è cambiata la musica dei Bad Plus?

Proviamo a immaginarceli allora, agli inizi degli anni Ottanta – allora si sono conosciuti – ragazzini forse un po’ nerd, che corrono sui marciapiedi con le bici BMX, uno è afroamericano con i ricci chiari, ha appena ricevuto in regalo un sintetizzatore, chissà cosa si raccontano… Sì sto romanzando un po’ (ma non troppo) e se questa immagine vi ricorda la serie Stranger Things vuol dire che vi sto portando nella direzione giusta.

Craig Taborn, il più incredibile pianista in circolazione

Perché i tre quegli anni se li sono portati addosso, magari nascosti nel cassetto con la maglietta di allora, e ora che si sono uniti per questo disco della Intakt, Golden Valley Is Now, è come se venissero risucchiati nel tempo.

Il progetto è in realtà non recentissimo (in rete si può trovare un estratto dal loro primo concerto, nel 2010) e li vede impegnati a esplorare il formato della canzone elettronica strumentale, un reame synth-pop in cui lo spazio lasciato all’improvvisazione è pochissimo e dove invece il fuoco è sugli aspetti timbrico/ritmico/melodici.

Ogni pezzo ha un suo carattere preciso, esplicitato sin dalle primissime note e poi elaborato come in una sorta di fusion asciutta e sfrondata di autocompiacimento. Sono paesaggi che ultimamente affascinano i musicisti jazz un po’ a ogni angolo del globo, consentendo loro di coagulare e idee in forme più immediate e riconoscibili (una riconoscibilità che poggia salde le zampe sull’effetto vintage e sulla minor vicinanza con i “riti” tipici del mondo jazz, dagli ascoltatori più giovani evitati con una certa costanza).

I dieci pezzi del disco (composti prevalentemente da Anderson) scorrono con una plasticità liquida e sempre cangiante, profumano di Tortoise, di pop e fantascienza a 8bit, riportano in auge alcuni suoni che sembrano oggi sorprendenti battiti d’ali di un pavone alieno e altri che invece invecchieranno presto come erano invecchiati presto allora, facendoli tutti crocchiare come pop-corn sul drumming surriscaldato di King.  

Farsi allegramente risucchiare dall’effetto “Sottosopra” (in Stranger Things popolato di mostri, qui in fondo di nemici da sconfiggere c’è solo un po’ di prevedibilità) o passare a altro è decisione che lascio a ascoltatrici e ascoltatori.

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

jazz

Il flauto magico di Shabaka

Nel nuovo album Shabaka Hutchings abbandona il sassofono per dedicarsi allo shakuhachi

Alberto Campo
jazz

Moor Mother, il prezzo della schiavitù

The Great Bailout, nuovo lavoro della statunitense Camae Ayewa, illumina un risvolto del colonialismo britannico 

Alberto Campo
jazz

Le donne di Maria Pia De Vito

This Woman’s Work è il nuovo album della cantante napoletana

Guido Festinese