Walter Prati, una Parade Électronique per riflettere sul suono

Apre il 10 ottobre a Milano la nuova stagione musicale e performativa di MMT Creative Lab (Musica Musicisti Tecnologie): l'intervista a Walter Prati

NC

06 ottobre 2025 • 6 minuti di lettura

Walter Prati (foto Giovanni Daniotti)
Walter Prati (foto Giovanni Daniotti)

MMT Creative Lab (Musica Musicisti Tecnologie) è un’associazione che si occupa di ricerca, sviluppo della cultura musicale e dell’applicazione di tecnologie innovative a musica e nuovi media. L’unicità della sua opera sta  nel suo modo di intendere la musica, in tutte le sue applicazioni, come elemento fondante per il benessere di ogni persona e per una crescita più armonica della società intera.

La convinzione, che ci sentiamo di condividere in toto, è che che ascolto e pratica del suono, dei suoni, possano portare ad una migliore qualità della vita, sta alla base di tutte le iniziative dell’associazione, tra le quali, con inizio il 10 ottobre a Milano, segnaliamo senz’altro Parade Èlectronique, la nuova stagione musicale e performativa.

Ne abbiamo parlato con Walter Prati, musicista, didatta e presidente di MMT

Nova tempora / Omnes mudo". Un titolo che sembra uscito da un trattato di Agamben su tecnologia e destino. Cosa vedi davvero in questa “nuova era”? L’occhio di chi ascolta, o l’orecchio di chi guarda?

«Vorrei che l'occhio continuasse a guardare e le orecchie migliorassero la loro capacità di ascoltare; nel suono sono presenti molti significati che il singolo ascoltatore deve/può scoprire. L'ascolto è la chiave che apre le porte alla capacità di interpretare il tempo universale che la tecnologia, oggi, permette di condividere in un mondo senza tempo nel quale rischiano di perdersi le condizioni di orientamento condivise fino a questo momento».

35 anni di MMT: in tutto questo tempo avete costruito una casa per la musica che non si accontenta di esistere. Ma oggi, che senso ha ancora parlare di “musica di ricerca” in un mondo che archivia tutto in tempo reale?

«È l'annosa questione della ricerca artistica, un campo non definito e troppo spesso riferito esclusivamente alla personalità dell'artista che, in quanto tale, ricerca; tuttavia la ricerca personale non necessariamente è in relazione con l'ambito decisamente più ampio del contesto generale».

«La ricerca musicale può svilupparsi in ambiti tecnologici (che non vuol dire usare un riverbero e qualche altro plug in su uno strumento), in campo musicologico o in comparti legati alla sociologia della musica. Certamente non ci riferiamo agli epigoni delle estetiche del secondo Novecento, sia accademico che non».

Il festival ospita progetti che spaziano dalla musica acusmatica all'improvvisazione algoritmica. In che modo curate il dialogo tra linguaggi musicali così diversi?

«Diciamo che è la caratteristica di Parade, una parata di musiche che hanno il proprio cuore nella tecnologia, vecchia o nuova che sia. Ci sono rassegne o festival di musica elettroacustica, computer music, di ambient, di contemporanea accademica, di improvvisazione; Parade Électronique raccoglie e mette a confronto. Oggi le etichette vanno di moda e Parade è fuori moda, decisamente».

Con la borsa di dottorato co-finanziata da MMT presso il Conservatorio di Como, si sottolinea l’importanza della ricerca. Che ruolo gioca la formazione accademica nella scena musicale contemporanea?

«Diciamo che l'introduzione delle borse di dottorato nel comparto AFAM portano necessariamente un'attitudine differente nel rapporto tra Accademia e il mondo musicale contemporaneo. Da un lato è d'obbligo progettare percorsi di ricerca che non abbiano esclusiva valenza personalistica del dottorando ma evidenzino dei contenuti oggettivamente innovativi, dall'altro obbligano a esplorare dei processi creativi non convenzionali; questo almeno per quanto riguarda i dottorati che abbiamo a Como che si relazionano in modo diretto alle tecnologia».

“Ornythorincus live Somewhere” è la ripresa di un'opera del 1985. Cosa significa , oggi, rimettere in scena quel progetto in un contesto tecnologico e culturale totalmente cambiato?

«Originariamente il titolo dell'opera (oggi si direbbe multimodale poiché comprendeva musica, visual e danza) era “Ornythorincus live in Bauhaus"  e cercava di creare un rapporto tra le stranezze di questo animale unico nel panorama faunistico del pianeta e le peculiarità della scuola Bauhaus. Dell'originario gruppo di allora siamo rimasti in attività Giancarlo Schiaffini ed io. Ma, soprattutto i tempi sono cambiati: quaranta anni dopo abbiamo a che fare con tematiche drammaticamente differenti e pure l'Ornythorincus vive momenti complicati benché sia la materializzazione perfetta di un possibile individuo che raccoglie differenze provenienti da molte specie differenti».

«Per quanto riguarda la tecnologia il discorso è simile ma, nel nostro caso, abbiamo un elemento che arriva direttamente dal passato, infatti verranno utilizzati parti di registrazioni, allora usate come "basi", che dialogheranno con gli strumenti (trombone e fagotto) dal vivo. Questo dialogo verrà gestito attraverso algoritmi di autoapprendimento appositamente programmati».

Riaprire il cassetto e tirare fuori “Ornythorincus” del 1985, oggi, con l’AI al posto della danza. È un atto nostalgico o una dichiarazione politica su cosa voglia dire archiviare, aggiornare, resuscitare?

«È dichiarazione politica che inneggia al recupero, al ripensamento e alla proiezione verso un futuro ignoto...ignoto fino a un certo punto visto la determinazione con la quale "i matti del mondo" perseguono i loro ignobili obiettivi».

Nell'evento “L’intelligenza del contrabbasso” si parla di un “terzo incomodo” intelligente che interagisce nella performance. Che tipo di riflessione artistica e tecnica si cela dietro questa definizione?

«In questo caso si mette in scena una riflessione in divenire. Si fanno tentativi, si ascolta, si discute, si elimina.  Certamente nella performance dal vivo verrà portato un "distillato" sonoro proveniente dalla pratica, dalle possibilità di interlocuzione tra strumento, musicista e il terzo incomodo che, nel caso specifico dell'improvvisazione, avrà una istruzione propria».

Cosa significa oggi lavorare a una “trasmissione generazionale” senza finire in uno sterile pedagogismo culturale?

«Credo che la questione sia come far ascoltare e comprendere la musica del passato (tutta la musica del passato) non come valore nostalgico confortevole (che in effetti per me lo è) ma come spunto creativo da superare. Forse così finiremo di sbalordirci per la scoperta della ruota o dell'acqua calda: WOW!».

Il suono è riflessione, sempre.
Walter Prati

L’Acusmonium, il fagotto con l’elettronica, il contrabbasso che risponde a un algoritmo. È tutto molto fisico eppure tutto fortemente astratto. Cosa ci dice questa ambivalenza sul nostro modo di vivere – o perdere – il corpo nella musica?

«La musica e il suono sono fenomeni astratti, non sono oggetti vendibili in quanto tali. Necessitano della fisicità dello strumento e del musicista. La tecnologia mette in crisi questo rapporto e obbliga a un ripensamento sui ruoli, certamente non mettendosi un passamontagna in testa o una tutina sberluccicante...».

Il programma parla di “gestione responsabile” dell’intelligenza artificiale in ambito musicale. Una frase che sembra uscita da un trattato ONU. Ma davvero è possibile un’etica della creatività algoritmica?

«Sì e no: è possibile un'etica del web? si, ma c'è sempre qualcuno che non la rispetta. Il risultato finale lo definisce la maggioranza. La questione etica è legata alla formazione delle coscienza, ma se tutti gli strumenti formativi vengono annientati l'etica rimane patrimonio di chi ha avuto modo, nel corso della sua esistenza, di formarla e alimentarla: trasferire questa formazione è un compito, oggi, veramente underground. E soprattutto: a chi compete? I "gestori" stabiliscono delle regole che, molto spesso, sono da loro ignorate. La coscienza collettiva, attualmente poco attiva in ambito culturale, dovrebbe arginare le balordaggini degli algoritmi; il compito è affidato a ciascuno di noi, ciascuno di noi deve farsene carico».

Come si tiene insieme tutto questo: improvvisazione, scrittura, architettura del suono, generi che collassano. Non teme che il tutto diventi solo un mosaico estetico, una “playlist colta”?

«L'identità di ciascun musicista, operatore culturale, insegnante è la chiave per mantenere ordine nel caos. Se si manifesterà solo un mosaico estetico sarà lo specchio di chi lo compone e lo alimenta. È necessario essere chiari con se stessi, sulle proprie sensibilità, sui propri obiettivi. In Parade Électronique convivono pensieri musicali molto differenti, che hanno una propria identità chiara; invitiamo chi partecipa ai nostri appuntamenti a scegliere e capire cosa lo riverbera, cosa lo incuriosisce e cosa lo allontana».

L'identità di ciascun musicista, operatore culturale, insegnante è la chiave per mantenere ordine nel caos.
Walter Prati

C’è ancora un pensiero critico dietro il suono?

«Il suono è riflessione, sempre».

Il pubblico: chi lo forma, chi lo sfida, chi lo educa. Questo festival non sembra volersi piegare al facile consumo. Ma allora qual è il vostro patto con l’ascoltatore? È un incontro, uno scontro o una scommessa?

«Senz’altro un incontro spesso tra sconosciuti, e gli incontri sono sempre scommesse».

Lavori tra istituzioni  e laboratori underground. È ancora possibile far dialogare queste due dimensioni? O oggi bisogna scegliere da che parte stare della barricata?

«Nel 90% dei casi le istituzioni non hanno la più pallida idea di quali contenuti veicoliamo attraverso i bandi, strada maestra da percorrere per reperire  per le risorse economiche necessarie. In un certo senso è meglio così, ci sono maggiori libertà; tutta l'attenzione è concentrata sulle tematiche relative all'inclusione sociale e, in generale, dell'ambito sociale. Dipende quanto bravo è l'operatore nel far coincidere il contenuto musicale e le problematiche sociali. Non c'è un luogo dove attestarsi: bisogna stare ovunque».