Ascoltare il silenzio con i Širom
Un nuovo album in arrivo per il trio sloveno Širom: l'intervista
25 settembre 2025 • 7 minuti di lettura
I Širom sono un trio sloveno che suona una musica fragile e potente che loro stessi definiscono imaginary folk: da qualche parte tra folk antichissimo, sperimentazione, ruggini prog, approccio freak, strumenti autocostruiti e chissà cos’altro, in un mix che ha saputo conquistare un seguito non certo massivo ma comunque significativo e sempre più largo, complici anche le loro mesmeriche esibizioni live.
A ottobre esce il nuovo disco della band, In the Wind Of Night, Hard-Fallen Incantation Whisper, come sempre per la tak:til, sussidiaria dell’ottima Glitterbeat.
Il 25 settembre la band tornerà ancora una volta in Italia per una data all’interno della rassegna Genius Loci (24-28 settembre) a Firenze, dove presenterà in anteprima l’album. Abbiamo raggiunto Iztok Koren, Samo Kutin e Ana Kravanja per farci raccontare un po’ di cose.
La vostra musica sembra giungere da un luogo senza tempo: cosa vi spinge a creare un suono di questo tipo in un mondo così rumoroso e accelerato?
Iztok: «Persistenza, identità e la ricerca di un posto di pace. Suono da così tanto tempo che oramai questo è divenuto parte fondante della mia identità. Lo faccio anche quando detesto farlo, perché è una parte di me e l’unica strada tramite la quale approccio il mondo. La musica inoltre mi regala una sorta di santuario in cui ripararmi dagli orrori del mondo fuori».
Samo: «Creo musica perché sono curioso su cosa si possa fare in questo mondo illimitato. Al tempo stesso, voglio condividere, tramite il suono, almeno alcune delle sensazioni che emergono in me quando sono in contatto con la natura selvatica, poiché credo che abbia senso sottolineare il fatto che l’essere umano è pretenzioso ed è necessario essere umili nei confronti del resto del creato».
Ana: «Suono perché l’ho sempre sentito come la cosa più naturale e immediata per esprimere me stessa, il modo per entrare in contatto con gli altri e per stare in equilibrio con sentimenti e pensieri».
Usate strumenti tradizionali, talora dimenticati, autocostruiti. Quanto è importante per voi l’atto fisico e tattile del suonare, in contrasto con l’ambiente intorno, sempre più digitalizzato?
Iztok: «La nostra musica acustica viene dalla terra, quella digitale dall’aria. Non c’è un giudizio in questo, sono solo approcci differenti. Naturalmente anche il prodotto finale è diverso. Suppongo che il cervello stesso lavori in modi diversi se coinvolgi quasi tutto il tuo corpo nella pratica musicale. Più o meno somiglia a quando scrivendo usi carta e penna oppure digiti sul computer. I pensieri prendono forma in un altro modo».
Samo: «Quando ti costruisci uno strumento, sarà sempre speciale suonarlo. Se lo ricevi in regalo, ha la sua storia alle spalle, se lo compri mentre stai viaggiando dall’altro lato del mondo, porterà con sé ancora altri racconti. Maggiore è il contatto fisico con lo strumento, più facile è per me entrarci in connessione».
«Quando ti costruisci uno strumento, sarà sempre speciale suonarlo. Se lo ricevi in regalo, ha la sua storia alle spalle, se lo compri mentre stai viaggiando dall’altro lato del mondo, porterà con sé ancora altri racconti»Samo
Ana: «Mi piace creare con le mani e con gli anni ho realizzato che questa dimensione tattile è essenziale per me, ancor di più nell’era digitale. Tollero poco il lavoro da seduta al computer. Divento nervosa rapidamente e il mio corpo si tende. Devo affondare le mie mani nel suolo e lavorare con piante e animali, con l’argilla, o disegnare su carta, questo mi mette in contatto con la terra. Credo sia naturale per ogni essere umano lavorare con corpo e mani per stare bene mentalmente e fisicamente, come facevano i nostri antenati».
La Slovenia rurale da cui provenite è una presenza potente nei vostri album. Che ruolo gioca l’ambiente nella vostra ricerca? Si tratta di un’eco, di una mappa, di un rituale?
Iztok: «Per me è solo un’eco, perché vivo da qualche tempo oramai in città è l’ambiente rurale ha per me ha che fare con nostalgia, memoria, infanzia, odori dimenticati, persone di ieri, consapevolezza del tempo che passa e della mortalità».
Samo: «Il selvatico, alcune persone che ci vivono immerse in Slovenia e il modo in cui si relazionano con la terra sono alcune tra le mie più grandi ispirazioni in musica. L’ambiente per me ha una dimensione rituale fondamentale».
Ana: «La Slovenia è molto piccola, ma ha paesaggi diversi ed ha molte varietà di dialetti, che cambiano quasi da paese a paese. Io stessa mi rendo conto di cambiare quando cambio regione all’interno del nostro paese; cambia il modo in cui mi sento, il modo in cui parlo. Sono sedimentate molte memorie nei posti dove siamo cresciuti, c’è storia, ci sono sentimenti forti. Il tempo rende più profonde le relazioni e ci radica nel posto dove stiamo. Per me la creazione (musicale o di altro tipo) è un restituire ciò che ricevo dalle forze della vita e dalla natura».
Il vostro nuovo album, in uscita a ottobre, pare promettere nuovi territori. La formula prosegue quanto fatto in passato ma sembra metterlo a fuoco in maniera ancora più nitida. Cosa avete scoperto in fase di ideazione e registrazione?
Iztok: «Concepimento e registrazione del nuovo album hanno coinciso con alcuni importanti cambiamenti nelle nostre vite che inevitabilmente si sono riflessi anche nelle dinamiche interne alla band, quindi abbiamo dovuto fare i conti con questa nuova situazione. Percepisco il nuovo materiale come più scuro del precedente e credo questo dipenda dal mondo che sta andando sostanzialmente sempre più a rotoli. Questa parte buia però non va alla ricerca della disperazione e della resa ma di trasformazione e catarsi».
Samo: «Ho scoperto che voglio porre limiti precisi con alcune persone e che voglio avere più tempo per me e per i miei cari».
Ana: «Mi sono resa conto di essere tutt’uno con la natura. Che tutto è già qui, che tutto siamo connessi».
Mi sono resa conto di essere tutt’uno con la natura. Che tutto è già qui, che tutto siamo connessi.Ana
C’è sempre nelle vostre composizioni una tensione tra libertà e struttura. Come lavorate nell’equilibrio tra forma determinata e invenzione istantanea?
Iztok: «Si tratta di un processo intuitivo, spontaneo. Alcune composizioni ci permettono maggior libertà di movimento al loro interno, altre meno. Seguiamo la musica, cercando però anche di condurre la navigazione: come stessimo portando una barca sul fiume».
Samo: «Senza pensarci».
Ana: «Non vedo questa dinamica come una tensione. Mi pare far parte di un processo naturale che accomuna ogni forma di materia, energia o altro su questo pianeta: prima si raccoglie e organizza in una struttura e il momento dopo cade a pezzi, si rompe in piccoli, caotici pezzi, e talvolta si coagula in un’altra forma. Come vita e morte, contrazione ed espansione, connessione e disconnessione, e poi di nuovo connessione, è solo una questione di tempo».
Le vostre tracce sovente si sviluppano in modo lento, come evitando in modo deliberato la fretta. Si tratta di una scelta politica, estetica, spirituale?
Iztok: «Non la definirei una scelta, è solo il nostro modo di fare musica insieme».
Samo: «Non so darti una risposta. Forse lo può fare la musica».
Ana: «Non lo so, suoniamo nel modo in cui suoniamo, ma so che quando rallenti puoi in effetti vedere e sentire tutto intorno a te in modo più nitido e intenso».
Vi rapportate al silenzio così come al suono, i vostri pezzi sono pieni di spazi vuoti. Qual è il vostro rapporto con l’ascolto?
Iztok: «Ascoltare è un modo di essere presenti, consapevoli e connessi con altre persone. Quando ascolti non ricevi in modo passivo, ma lo fai con il tuo corpo, con la tua mente, carico dei tuoi pregiudizi, delle paure, delle speranze, dei desideri».
Samo: «Qualche settimana fa, in alta montagna, ho avuto modo di stare in un silenzio quasi totale, privo di suoni umani, ma anche quasi senza suoni naturali. Sembrava di essere in un’altra dimensione, lontano dalla necessità di decifrare il tempo e il non necessario flusso dei pensieri. Magico».
Ana: «Ascoltare è percepire, essere nel qui e ora».
In un panorama musicale spesso dominato dalle parole, voi scegliete la dimensione strumentale, o comunque non verbale. In che modo questo approccio può esprimere ciò che le parole non possono?
Iztok: «La musica strumentale è come una tela più ampia, dove chi ascolta può dipingere le sue esperienze, il suo sentire. Credo si tratti anche di un’esperienza che chiede un ruolo più attivo da parte di chi riceve, perché lo spinge ad essere attivo, coinvolto. Chi sta dall’altra parte deve decidere di venire incontro al suono, anche da un punto di vista intimo, personale».
Samo: «Perché rispondere attraverso parole, se le stesse non possono esprimere questo feeling?».
Ana: «Una volta ero a un workshop di canto. Tra i partecipanti non ci siamo presentati nel solito modo, ma ci siamo divisi in coppie, tenendoci la mano, guardandoci negli occhi e cantando senza parole, solo una melodia. Prima uno, poi l’altro, uno per volta. Potevi sentire l’intero universo di una persona in un solo minuto. Così potente, e così incomparabile con quello che potresti dire a parole nello stesso lasso di tempo».
Cosa state ascoltando ora?
Iztok: «Il silenzio».
Samo: «Un cane che abbaia in lontananza».
Ana: «Il pranzo che viene cucinato».
Diteci qualcosa sulla scena slovena, dateci qualche nome da sentire.
Iztok: Moving as a Giant.
Samo: Tomaž Grom, Tititi, Svojat, Olfamož, Oholo, Bregove dere,Kaja Draksler, Nika Prusnik & bratje Poljanec, Irena Tomažin, Bakalina Velika, Liamere.
Ana: Aggiungerei Tea Vidmar e Bogdana Herman.