I 25 anni di Transart
Tra bilanci e progetti futuri, il Direttore artistico Peter Paul Kainrath illustra gli artisti dell’edizione 2025 del festival multidisciplinare che spazia dalla musica alla danza, dalle arti figurative alla performance.
03 settembre 2025 • 5 minuti di lettura
In collaborazione con Transart

Dall'11 a 21 settembre si terrà il Festival Transart, che quest'anno festeggia un quarto di secolo con un’edizione partecipativa, ricca di prime assolute, anteprime nazionali e ritorni di artisti iconici. Un’edizione che diventa un omaggio alla comunità che, negli anni, ha reso il festival un organismo vivo: un pubblico curioso, aperto, disposto a lasciarsi spiazzare da linguaggi nuovi e visioni radicali.
In vista dell'evento inaugurale, abbiamo intervistato il direttore artistico Peter Paul Kainrath.
La Rassegna Transart quest'anno celebra “25 anni di audacia e ricerca artistica contemporanea”: quali sono le caratteristiche della ricerca condotta dalla rassegna?
«Credo già l'approccio interdisciplinare, questo far dialogare le varie discipline artistiche davanti a un pubblico che è la somma di vari pubblici tradizionalmente legati a delle discipline specifiche. Da sempre pensiamo che, chiunque si interessi del contemporaneo, è aperto a qualsiasi forma ed espressione del nuovo, in qualsiasi disciplina. Pensare di raccogliere tutte le varie discipline per presentarle insieme a un pubblico che di per sé rappresenta tutte le generazioni, tutti i gruppi, tutte le esperienze che un pubblico si porta dietro come bagaglio, e aprire lo sguardo verso la qualità della ricerca del nuovo: in tutto ciò risiede l’audacia dell’operazione di Transart.
Quando parlo con persone che arrivano soprattutto dalla musica classica, chiedo quanto avrebbero dato per essere stati presenti alla prima esecuzione della Quinta di Beethoven. Un festival come Transart offre la possibilità di essere testimone di qualcosa che sviluppa il suo valore alle porte del futuro. E credo che il concetto di cultura abbia a che fare tantissimo anche con una percezione del tempo, dove siamo collocati oggi, dove stai guardando, e cosa succede quanto da questa esperienza si riesce a formulare le prime forme di quello che finora non è mai stato immaginato. In questo modo il pubblico partecipa all'esplorazione dell'artista, in qualche modo si accolla lo stesso rischio, e questo apre a un'esperienza culturale del tutto particolare».

Si tratta dunque di una rassegna che vuole mettere al centro il pubblico.
«Assolutamente sì. Transart vuole collocare il pubblico al centro dell’esperienza. È un invito ad abbandonarsi a qualcosa che non si conosce, e far propria questa esperienza di qualcosa mai immaginato prima. Pur in un contesto di assoluta eccellenza, credo non sia importante conoscere i singoli artisti invitati al festival. Trovo invece essenziale che il pubblico si fidi del progetto, esponendo sé stesso a qualcosa che non conosce».
In questi anni che tipo di pubblico ha visto Transart?
«All’inizio siamo partiti a Bolzano Sud, all’interno di alcuni capannoni, con un pubblico molto curioso che ha sperimentato per la primissima volta una forma di cultura nei luoghi di produzione industriale o artigianale. Da quel momento siamo riusciti a conquistare altri posti della città, comunicando con tutti i tre gruppi linguistici, tutte le generazioni, i vari interessi artistici, affinché Transart diventi uno spazio, un luogo di libertà».
Qual è il bilancio generale di questa Rassegna in questi 25 anni?
«Potrei quasi dire che siamo solo all'inizio: con ogni edizione stiamo sperimentando approcci nuovi. Ad esempio, quest'anno il festival presenta una delle edizioni più condensate. Essendo una realtà territoriale presente in vari luoghi, possiamo presentare in contemporanea diversi progetti. Una possibilità che abbraccia un certo livello di sostenibilità, divenendo anche più interessante per gli artisti coinvolti. Il tutto produce un'attenzione e un'energia che presenta il festival sotto un’altra luce.
L’anniversario potrebbe indurre la rassegna a riproporre le esperienze più riuscite delle scorse edizioni. Invece abbiamo deciso di sfruttare l'anniversario per questo nuovo esperimento».
L’inaugurazione è prevista per l’11 settembre.
«Ci saranno ben quattro appuntamenti: il pubblico sarà invitato a entrare al NOI Techpark di Bolzano che, da progetto ideato dal regime fascista, è diventato oggi la piattaforma di innovazione ed eccellenza dell'Alto Adige. Qui si potrà esplorare le diverse pratiche artistiche, dissolvendo i confini disciplinari per lasciare emergere la forza poetica del corpo.
Artisti e interpreti internazionali offrono esperienze complementari: la scultura coreografica composta da 60 performer di Martin Messier, l’installazione performativa di Romeo Castellucci, la durational performance dell’artista sudcoreana Geumhyung Jeong e l’installazione curata da Moradavaga, oltre ai CocoRosie, il duo culto della scena alternativa internazionale che si esibirà con alcuni brani».
Che tipo di progetto li coinvolge?
«Convinto che questa coppia di artisti riesca ad accendere una luce particolare negli occhi degli ascoltatori, CocoRosie svilupperà per noi un progetto in prima mondiale. Non c’è dubbio che si tratti di una delle sfide più audaci, insieme al progetto dell’islandese Ragnar Kjartansson a conclusione della rassegna. Durante la pandemia, CocoRosie ha prodotto a New York un primo trailer di 8 minuti, sperimentando cosa succede con la loro estetica quando entrano in uno spazio, praticamente come se fosse un concetto di installazione.
E da questa esperienza hanno sviluppato questo progetto, La Mort de la Mer , novità assoluta all’interno del loro catalogo».
Quali sono gli altri artisti coinvolti?
«Avremo Marina Abramovic con A talk from remote , una performance che l’artista ha sviluppato per Transat in esclusiva nel 2002, mai più ripresa, e che tornerà a rivivere a distanza di vent’anni. È l'unico lavoro anche che lega Marina Abramovic alla musica contemporanea, su composizioni del compositore cubano Jorge Lopez. Tra le orchestre, ci sarà il Klangforum Wien, con la quale Transart torna all’Ex-Masten di Bolzano con la prima italiana di AMOPERA , “meta-opera” estrema che rielabora cento anni di storia operistica in forma di concerto, attraverso un linguaggio radicalmente contemporaneo (17 settembre).
Ci sarà inoltre la prima italiana di Land of No Return , una lettura performativa firmata dalla celebre artista russa Marina Davydova, in esilio volontario dopo l’invasione dell’Ucraina. Un’opera intima e politica che riflette sulla memoria, l’identità e la responsabilità dell’artista nel presente (13 settembre)».

Transart riserva anche uno spazio per le famiglie
«I bambini rappresentano il pubblico più curioso, augurandoci potrà seguirci negli anni. Instaurare un rapporto naturale tra genitori e i loro figli, con delle offerte pensate su misura, è cruciale per un festival culturale a tutto tondo».
Qual è l'augurio che lei da direttore artistico fa a Transart per il futuro?
«Che non stia mai fermo e che abbia sempre la capacità di interrogarsi molto. Che possa compiere delle scelte coraggiose in ambito artistico, e soprattuto in modo positivo e pieno di energia. Perché l'esperienza di energia a prescindere dei contenuti è quella dimensione che ci fa andare avanti».