Tutta la passione di Enrico Onofri

Intervista a Enrico Onofri, da poco nominato direttore della Filarmonica Toscanini di Parma e premiato con il “Diapason d’or"

Enrico Onofri
Enrico Onofri (foto Chico De Luigi)
Articolo
classica

La carriera del ravennate Enrico Onofri nei panni di interprete storicamente informato è iniziata con l’invito di Jordi Savall a ricoprire il ruolo di concertmaster della Capella Real. Successivamente si è trovato a lavorare con gruppi come Concentus Musicus Wien, Ensemble Mosaïques e Concerto Italiano, mentre dal 1987 e per vent'anni è stato concertmaster e violino solista de Il Giardino Armonico.

– Leggi anche: Il ricco 2021 della Toscanini

Onofri, inoltre, inizia il suo percorso come direttore d'orchestra nel 2002, ricevendo inviti da orchestre e festival in Europa, Giappone e Canada. Dal 2004 al 2013 è stato direttore principale del Divino Sospiro di Lisbona e dal 2006 direttore principale ospite dell'Orquesta Barroca de Sevilla. Nel 2019 è stato nominato direttore musicale e direttore principale dell’Academia Montis Regalis e direttore ospite principale della Haydn Philharmonie di Eisenstadt. Qualche mese fa, infine, è stato nominato nuovo direttore principale della Filarmonica Toscanini di Parma, succedendo ad Alpesh Chauhan.

Anche la sua attività discografica vanta un’assidua fecondità, collezionando incisioni con etichette quali, tra le altre, Teldec, Decca, Passacaille, Astrée, Naive, Deutsche Harmonia Mundi/Sony, Nichion, Pentatone, Winter&Winter, Opus111, e raccogliendo diversi premi, tra i quali il recente “Diapason d’or de l’année 2020”.

Attivo anche come docente di violino barocco, prima presso il Conservatorio Scarlatti di Palermo e dal 2020 al conservatorio Rossini di Pesaro, Onofri è regolarmente invitato a tenere seminari e master class in tutta Europa, Canada, USA (presso la Juilliard School di New York) e Giappone.

Una personalità decisamente dinamica, insomma, quella di Onofri, che abbiamo voluto indagare, cercando di scoprire i caratteri che animano la grande passione che traspare dalla sua multiforme attività.

Partiamo dalla sua carriera e dai riconoscimenti che ha raccolto, sia per le diverse incisioni realizzate sia per la sua attività concertistica: Gramophone Award, Grand Prix des Discophiles, Echo-Deutsche Schallplattenpreis, Premio Caecilia, Premio Fondazione Cini of Venice, La Nouvelle Academie du Disque, fino al premio della critica italiana “Franco Abbiati” del 2019 quale miglior solista. Da poco le è stato assegnato anche il “Diapason d’or de l’année 2020”, prestigioso premio della critica giornalistica francese, per Into Nature, il disco che ha realizzato alla guida dell’Imaginarium Ensemble (Passacaille, 2019), lavoro peraltro già vincitore del “Diapason d’or” lo scorso marzo. Cosa rappresenta questo ultimo riconoscimento per lei?

«Se guardo indietro negli anni, l’impressione è che il mio lavoro di musicista sia stato una sorta di distillazione, un lento processo per condensare in una sola sostanza lo studio delle prassi esecutive storiche e la bruciante esigenza di un’espressione la più eloquente e comunicativa possibile».

«Se guardo indietro negli anni, l’impressione è che il mio lavoro di musicista sia stato una sorta di distillazione».

«Ho tentato di dare voce alle indicazioni delle fonti storiche nella convinzione che la musica sia qualcosa di vivo, attuale, che ci coinvolge in modo totalitario e drammatico nel momento in cui la eseguiamo. Per consentire tale processo, negli ultimi quindici anni mi sono sforzato di resistere a molti dei compromessi che la vita concertistica impone, alle standardizzazioni, a certe tendenze e mode del mercato musicale. Un percorso faticoso, angusto, in continuo divenire, che ha reso perciò ancor più grato quest’ultimo riconoscimento».

Enrico Onofri

Dall'incontro con Jordi Savall in poi il suo percorso artistico ha maturato diverse e importanti collaborazioni nell'ambito del panorama ormai variegato rappresentato dall'approccio e dalla prassi storicamente informata. Al di là degli elementi più evidenti – dall'uso di strumenti antichi alla scelta di particolari agogiche e dinamiche, e così via – cosa significa per lei, oggi, essere un interprete, appunto, “storicamente informato”? Quali sono i caratteri fondamentali di questo approccio e come si differenzia da impostazioni più “tradizionali”?

«Le prassi storiche sono per me una fonte di ispirazione insostituibile (non potrebbe essere diversamente: sono cresciuto in una famiglia di antiquari). Esse portano spesso a degli impasse, ma sono proprio i cortocircuiti e i dubbi che generano, che permettono paradossalmente di accendere l’immaginazione e di dare una forma coerente al nostro sentire contemporaneo. Oggi godiamo di un grande privilegio: siamo sulla cima di un alto monte, dal quale ammiriamo il panorama dei secoli grazie a una quantità di informazioni e di mezzi di indagine di cui nessun essere umano ha potuto disporre prima d’ora».

«La consapevolezza e la conoscenza delle prassi esecutive storiche – che si tratti di Monteverdi, Bach, Beethoven o Brahms – sono a mio avviso il più coerente degli approcci possibili alla musica del passato, al di là delle scelte finali che si possono poi operare. Mi pare infatti che persino un’impostazione “tradizionale” in qualche modo sia già un’operazione di tipo storico, dato che segue canoni stilistici e tecnici di metà Novecento, che non tengono conto dello sviluppo di fenomeni successivi quali la historically informed performance. Persino quest’ultima perde coerenza qualora si cristallizzi in standard che ignorino nuovi risultati della ricerca o le molteplici possibili interpretazioni delle fonti».

«Nessun approccio è davvero così contemporaneo come può sembrare, e non possiamo perciò esimerci da una consapevolezza storica di ciò che facciamo».

«Nessun approccio è davvero così contemporaneo come può sembrare, e non possiamo perciò esimerci da una consapevolezza storica di ciò che facciamo. Così, chi oggi si occupa di musica colta europea ha a disposizione un binocolo formidabile col quale osservare in dettaglio il passato dalla cima del monte, e può scegliere di camminare a ritroso verso il futuro, dandogli le spalle».

Enrico Onofri (foto Chico De Luigi)
Enrico Onofri (foto Chico De Luigi)

Nel corso della sua carriera lei ha avuto modo di confrontarsi con differenti compagini orchestrali, anche molto diverse tra loro. Da qualche mese è stato nominato nuovo direttore principale della Filarmonica Toscanini di Parma, che ha avuto modo di dirigere anche in occasione di concerti precedenti. Quali sono le caratteristiche principali di questa orchestra? E quali sono i punti distintivi del progetto che intende sviluppare in qualità di direttore principale?

«È un’orchestra viva, attenta, empatica, con la quale è facile instaurare un dialogo e che ne restituisce con passione i risultati. Sto lavorando sul grande classicismo viennese e più in generale su tutto quel repertorio, dal Settecento al Novecento, che porta con sé i semi della classicità. Occorre quindi un'intesa di tipo cameristico tra musicisti, quale che sia la grandezza della compagine, anche attraverso laboratori che li vede coinvolti al contempo in programmi cameristici atti a supportare e affiancare quelli sinfonici, e in un approfondimento dei dettagli che stanno alla base del successivo lavoro in prova sul repertorio orchestrale. Ritengo infatti che la semplice “dettatura" di indicazioni sia un’operazione in qualche modo sterile, mentre è mio avviso fondamentale che chi le mette in atto ne comprenda il senso e le ragioni, non solo in relazione alla visione generale impressa al brano dal direttore, ma anche dal punto di vista storico. La musica dev’essere condivisione già dal suo interno».

Proprio qualche giorno fa è stato presentato il programma della seconda parte della stagione di concerti della stessa Toscanini. Quali sono i caratteri principali degli appuntamenti che la vedono protagonista?

«Nel prossimo appuntamento, purtroppo ancora in streaming, proporrò un programma tutto dedicato a Haydn che copre l’arco della vita del compositore: dal giovanile e celebre concerto per violoncello in do maggiore, interpretato da Edgar Moreau, passando per la sinfonia dell’opera “Il mondo della luna” e terminando con un capolavoro tardo degli anni londinesi, la grande sinfonia n.96 detta “Il miracolo”. Ancora Haydn per il successivo appuntamento pasquale: le maestose Die sieben letzten Worte unseres Erlösers am Kreuze nella versione sinfonica (un gioiello raramente eseguito in Italia) accompagnate da un più intimo Stabat Mater di Pergolesi con due voci soliste di eccezione, Francesca Aspromonte e Marianna Pizzolato. Seguiranno più tardi programmi dedicati al repertorio sinfonico sette-ottocentesco, che saranno annunciati appena le condizioni sanitarie lo permetteranno, oltre a un Messiah di Handel».

Per le note vicende legate alle misure di contenimento della pandemia, ormai molte realtà hanno optato, appunto, per la trasmissione di concerti in streaming ripresi in teatri e sale prive di pubblico. Cosa ne pensa di queste soluzioni che, seppure adottate in una fase emergenziale, possono condurre a un’abitudine diversa nella fruizione di musica “dal vivo” da parte del pubblico?

«Lo streaming è nostro malgrado l’unica strada percorribile in questa drammatica situazione, e sarebbe davvero uno squallore se una volta superata diventasse una modalità abituale. La fruizione della musica in una sala comporta fisicamente un impatto acustico, visivo, emotivo e sociale che non potrà mai essere sostituito da alcuna piattaforma digitale, sebbene possano rappresentare un importantissimo mezzo di supporto all’attività dal vivo. L’atto di recarsi in una sala da concerto, il condividere lo spettacolo con altri, cambiano radicalmente la percezione della musica da parte di chi la ascolta e influenza persino i risultati artistici di chi la fa. A teatro non si può schiacciare il tasto pause e riprendere quando si vuole: le aspettative dello spettatore e la percezione dello spettacolo che ne consegue sono profondamente diverse, diverso è il rapporto con gli attori di quello spettacolo, che sono lì di fronte, in quel preciso momento, e non un semplice prodotto da consumare sul sofà».

«Mi perdoni l’oscenità del paragone, ma trovo che la musica in streaming stia agli spettacoli dal vivo come la pornografia all’amore».

«Se ancora non abbiamo compreso ciò, non abbiamo dunque compreso la funzione sociale, culturale, educativa – oserei dire sacrale – che il teatro, la danza, la musica e tutte le arti rivestono nella nostra cultura da millenni. Chiunque capisce che una visita online degli Uffizi non equivale minimamente a trovarsi di fronte a un vero Botticelli: perché dovrebbe essere diverso per la musica o per il teatro? Nelle arti immateriali il coinvolgimento totale dei sensi è imprescindibile, la loro reale fruizione è soggetta all’unicità e alla magia del momento, che richiede l’incontro e l’interazione fisica tra corpi, menti, respiri, suoni, immagini e oggetti. Mi perdoni l’oscenità del paragone, ma trovo che la musica in streaming stia agli spettacoli dal vivo come la pornografia all’amore».

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