Thurston Moore: la coscienza del rock’n’roll.

Il picco individuale dell’ex chitarrista e cantante dei Sonic Youth.

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Thurston Moore Rock n Roll Consciousness Caroline

Facendo i conti, dall’esordio dei Sonic Youth – con l’EP omonimo – sono trascorsi esattamente 35 anni. Eppure l’ipnotico crescendo intessuto sulle corde delle chitarre in “Exalted”, brano che apre la nuova prova da solista di Thurston Moore (quinta a suo nome, senza considerare il fitto archivio di esperimenti vari, registrazioni dal vivo e derive collaterali), sembra rievocare il fascino enigmatico di “I Dreamed I Dream”, episodio chiave in quel disco di debutto.

Ovviamente tutto questo tempo non è trascorso invano e frattanto la storia della band più influente nel sottobosco rock statunitense di fine Novecento è terminata ormai da sei anni. Il percorso individuale di Moore è stato in seguito avvincente ma zigzagante, come se il chitarrista e cantante newyorkese non riuscisse a mettere bene a fuoco il senso della propria musica. Cosa che in questa circostanza, viceversa, avviene in maniera evidente. Possibile sia dipeso dall’assestamento della sua vita a Londra, dove si è trasferito nel 2013. Ne sono riverberi alcuni dettagli significativi: responsabile della produzione è Paul Epworth (uno che ha messo la firma su lavori di artisti tipo Adele, Coldplay e U2), mentre alla scrittura di tre pezzi dei cinque qui inclusi ha partecipato – conferendovi un tono insieme visionario e vagamente mistico – il poeta transgender locale Radieux Radio, già avvistato nel precedente The Best Day.

Confermata al completo anche la formazione impiegata allora: l’altro chitarrista James Sedwards, la bassista Debbie Googe (nota per l’esperienza nei My Bloody Valentine) e il batterista Steve Shelley, a sua volta reduce dall’avventura della Gioventù Sonica. A dispetto delle analogie e nonostante la reputazione mainstream di Epworth, rispetto a quell’album Rock n Roll Consciousness è molto più arcigno sul piano musicale: “Cusp”, ad esempio, aggredisce l’ascoltatore con irruenza ciclonica. E se il ritmo diventa meno incalzante, come accade nella riflessiva “Smoke of Dreams”, affine a certe cose del migliore Neil Young “elettrico”, l’effetto non è affatto conciliante.

Si tratta dei due brani più concisi del repertorio, protratti comunque oltre la soglia dei sei minuti, quando il citato pezzo d’apertura e “Turn On” veleggiano al di là dei dieci: indizi della vocazione da jam session che deve aver aleggiato sulle sedute di registrazione, rappresentata in modo eloquente dallo sviluppo free form della conclusiva “Aphrodite”. Risultato: l’opera più convincente realizzata finora dal cinquantottenne Thurston Moore.

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