Sufferah, una vita salvata dal reggae

Sufferah. Memoir of a Brixton Reggae Head è l'emozionante autobiografia dello scrittore londinese di origini giamaicane Alex Wheatle

Alex Wheatle
Alex Wheatle
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Sufferah. Memoir of a Brixton Reggae Head (Arcadia) è il dodicesimo libro dello scrittore londinese di origini giamaicane Alex Wheatle. Come preannuncia il sottotitolo, ci troviamo di fronte all’autobiografia (parziale) dell’autore, focalizzata sugli anni trascorsi in un orfanotrofio da incubo nell’estrema periferia londinese in cui è stato vittima di abusi di ogni tipo, sul periodo trascorso a Brixton, con conseguente scoperta del reggae e partecipazione agli scontri del 1981 in seguito ai quali ha dovuto trascorrere diversi mesi in carcere, e, dopo aver messo su famiglia, sul suo viaggio in Giamaica alla scoperta delle radici famigliari.

Sufferah

Tra i suoi scrittori preferiti Wheatle ama citare – oltre ad alcuni classici della letteratura nera quali James Baldwin, Richard Wright, Toni Morrison e il dub poet Linton Kwesi Johnson – Charles Dickens, e proprio a quest’ultimo s’ispira questo libro che potrei definire un Oliver Twist in versione saltfish and ackee. Una storia di riscatto umano, quella di Alex, che è stata rappresentata dal regista già vincitore di Oscar Steve McQueen in una puntata della bellissima serie Small Axe.

Chi è Alex Wheatle? Scopriamolo dalle sue parole: «Sono nato il 3 gennaio del 1963 e ho trascorso la maggior parte della mia infanzia nel tristemente famoso orfanotrofio di Shirley Oaks, poche miglia a est di Croydon. Ho passato molte ore in solitudine a leggere fumetti come The Beano, Whizzer and Chips e Shoot!. Per uno strano caso ho raccolto un annuario di calcio abbandonato. Crescendo i miei eroi erano Pelé, Muhammad Ali, Viv Richards e Bruce Lee».

«Sono un grandissimo fan della musica reggae e intorno ai 15 anni sono stato un membro fondatore del Crucial Rocker sound system, per cui ho scritto testi per esibizioni in community hall, circoli giovanili, feste in casa e blues dance. I miei artisti reggae preferiti sono Dennis Brown, Sugar Minott, Gregory Isaacs, Johnny Osbourne, Barrington Levy, The Mighty Diamonds, The Chantells, Wailing Souls, Dennis Bovell, Brown Sugar e molti altri ancora».

La maggior parte dei personaggi dei suoi racconti sono dei sufferah, quelli nati svantaggiati, outsider costretti ad affrontare un mondo ostile e a combattere contro la repressione e la solitudine.

Questo commovente memoir ci consente di entrare nella sofferenza dell’autore: la prima parte della sua vita in affidamento, il bullismo e gli abusi patiti, la brutalità della polizia. Ma Sufferah documenta anche il suo amore per il reggae, la gioia per la scoperta del ramo paterno della sua famiglia e il suo percorso per diventare uno scrittore vincitore di numerosi premi. Il reggae ha aiutato Wheatle a trovare una definizione di se stesso, offrendogli sollievo durante i tempi bui e ispirando la sua creatività.

Come suggerisce la scrittrice e drammaturga Vanessa Walters nell’introduzione del libro, «questi inni hanno fornito il contesto e la compagnia durante la sua lotta». Volete sapere quale è stata la canzone che ha fatto scoppiare l’incendio che 50 anni dopo non si è ancora spento? Eccola, è la micidiale “Ire Feelings/Feeling High” di Rupie Edwards, con quell’inizio skanga, skanga, skanga, e poi la batteria, il basso, la chitarra e quella nuvola di ganja mentre i cursori del mixer vanno su e giù come impazziti: 1974, ma potrebbe tranquillamente essere 2074.

«Il reggae mi ha appassionato fin dall’inizio, è stata una storia d’amore che non mi ha mai deluso. Se io avessi potuto sedermi per un esame di maturità in reggae, sono convinto che l’avrei passato e sarei andato all’università del reggae» - Alex Wheatle

Almira, residente per un breve periodo in UK senza suo marito e i suoi bambini, ha una storia sentimentale con Alfred, originario della Giamaica, e rimane incinta; dopo aver dato alla luce Alex, Almira fa ritorno alla sua famiglia in Giamaica, lasciando il bambino in custodia ad Alfred, ma il peso delle cure è giudicato troppo gravoso dal giovane falegname che nel 1966 decide di affidare suo figlio all’orfanotrofio di Shirley Oaks e poi sparire.

Comincia una serie di soggiorni dickensiani in orfanotrofi e ostelli dei servizi sociali fino al raggiungimento della maggior età. 

«Per quanto io posso ricordare, hanno sempre cercato di farmi sentire inferiore per il colore della mia pelle» - Alex Wheatle

Come già detto, il sollievo principale è fornito a Wheatle dal reggae, che lo aiuta a tenere lontana la costante solitudine, aumentata dal fatto di non sapere nulla della sua discendenza giamaicana – provate a immaginare di essere un ragazzino completamente solo, senza uno straccio di parente nell’intero Universo: ecco, potremmo definire quella situazione come la solitudine cosmica.

La vita continua a essere dura, i pasti regolari restano un miraggio, ma l’arrivo a Brixton gli permette di conoscere altri reggae head come lui e frequentare le serate dove sono presenti i sound system, e in breve tempo riesce a lavorare in quel mondo per lui magico.

Brixton è ganja, Brixton è musica, Brixton è reggae!

Dopo essere finito in galera per aver partecipato agli scontri razziali di Brixton dell’aprile 1981 – conseguenza della mancanza di indagini dopo l’incendio di New Cross in cui tre mesi prima erano periti 13 ragazzini neri –, Wheatle è incoraggiato dal suo compagno di cella Simeon – uno che, insieme al reggae, ha contribuito a salvargli la vita – a scoprire chi è, dove collocarsi nella lotta e, in ultima analisi, a cercare di rintracciare la propria famiglia.

In quei lunghi giorni dietro le sbarre una sola canzone rimbomba nella sua testa: è “Burnin’ and Lootin’” dei Wailers.

Mi fermo qui, non svelo la parte finale di questo viaggio da orfano a narratore dotato di autocontrollo, a turno coinvolgente e straziante. Al momento esiste solo la versione inglese, dove il patois giamaicano è usato solo quando strettamente necessario; Sufferah è un libro molto bello, uno di quelli che lasciano il segno: potete fidarvi, ve lo dice un Torino reggae head.

«Sono onorata che Alex mi abbia chiesto di scrivere l’introduzione al suo libro e non vedo l’ora che il mondo lo legga. Non è necessario che siate dei reggae head per apprezzarlo – è un promemoria per affermare che l’arte che noi creiamo in tutte le sue forme può aprire una porta in modo tale che altre persone possano evadere dalle loro prigioni» - Vanessa Walters

 

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