Steven Feld, il romanzo dell'ascolto

Esce in italiano Jazz cosmopolita ad Accra di Steven Feld, affascinante viaggio nel cosmopolitismo musicale

Feld Jazz cosmopolita ad Accra Saggiatore
Accra Trane Station (foto Steven Feld)
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Se la ragione d'essere di un campo di studio si misura anche dalla sua capacità di innovarsi e ripensarsi, e soprattutto di ripensare il suo stesso senso nel mondo, allora la musicologia deve molto a Steven Feld. Il suo Suono e sentimento (del 1982, pubblicato in italiano da il Saggiatore nel 2009), dedicato all’ascolto “profondo” del paesaggio sonoro dei kaluli della Papua-Nuova Guinea, rimane un testo epifanico per almeno due generazioni di studiosi, e ha contribuito negli ultimi quarant’anni a spostare progressivamente il focus dell’etnomusicologia in una diversa direzione, alla sua progressiva decolonizzazione, fino al tentativo di superare l’idea stessa di “etnomusicologia”.

(È tra l'altro recentissima anche la pubblicazione di Il mondo sonoro dei Bosavi. Espressioni musicali, legami sociali e natura nella foresta pluviale della Papua Nuova Guinea, a cura di Sergio Bonanzinga, Edizioni Museo Pasqualino 2021, che riprende alcuni contributi di Feld successivi a Suono e sentimento).

«Come ha potuto una disciplina che ha come oggetto la differenza musicale diventare così complice nella banalizzazione della differenza musicale stessa?», si è chiesto Feld in una raccolta di saggi pubblicata nel 2017 da Nota (Ethnomusicology or Transcultural Musicology?, a cura di Francesco Giannattasio e Giovanni Giuriati). Si può così passare dall’etnomusicologia all’antropologia del suono (che Feld sviluppa dall’antropologia della musica del suo maestro Alan Merriam), e ancora all’acustemologia in quanto unione di acustica ed epistemologia, con l’obiettivo di «interrogare il suono come modalità di conoscenza».

Steven Feld
Steven Feld

Jazz cosmopolita ad Accra, pubblicato nel 2012 e ora infine disponibile in un’edizione italiana curata dal “feldologo” Carlo Serra (il Saggiatore, 366 pp., 40€), è imbevuto di questi concetti, che risuonano sullo sfondo delle vicende musicali dell’autore nel cuore del Ghana. Feld è stato nel Paese africano continuativamente dal 2005 al 2009, e ancora negli anni successivi, producendo più di una dozzina di cd e cinque dvd nel ruolo sia di musicista a fianco di colleghi ghanesi, sia di documentarista e produttore.

Jazz cosmopolita ad Accra nasce come versione estesa delle liner notes di quei primi dischi e film (lo ammette lo stesso autore), ma sarebbe ingiusto nei confronti del libro limitarlo a questo.

Jazz cosmopolita ad Accra

Scrive Feld nella prefazione all’edizione italiana che la sua vita in Ghana lo ha spinto a «disimparare, quindi imparare daccapo una musica che ero certo di conoscere bene, quel jazz che ha accompagnato la mia vita fin dall’adolescenza e che lì, davanti ai miei occhi, davanti alle mie orecchie, veniva decostruito e ricostruito in interazione con voci e orecchie dell’Africa». «Il libro – continua – pretende dai lettori ciò che io per primo ho preteso da me stesso: imparare a pensare criticamente oltre le categorie storiche, antropologiche ed estetiche ricevute, oltre le etichette binarie come “coloniale”, “postcoloniale”, “tradizionale”, “popolare”, “moderno”, “nazionale”, “globale”, “locale”», verso un «riconoscimento di cosmopoliti» agli artisti del Ghana che ne popolano le pagine.

C’è Guy Warren alias Ghanaba, figura di per sé romanzesca: spia per l’OSS negli anni che seguono la Seconda guerra mondiale, musicista negli Usa e collaboratore di jazzisti durante i cinquanta, autore di album fondativi per un’estetica dell’afro-jazz come Africa Speaks, America Answers, e ancora ispiratore dell’afro-beat, Ghanaba si fa portavoce di un ribaltamento profondo delle idee sull’africanità del jazz, liquidando l’atteggiamento dei suoi colleghi neri americani come interessato solo alla patina esotica dell’Africa… fino a farsi riprendere da Feld nella sua performance dell’Hallelujah di Händel ripensato per tamburi e voci.

C’è Nii Noi Nortey, sassofonista, artista, intellettuale, liutaio sviluppatore degli “afrifoni”, che incontra Feld nel segno di una comune devozione per John Coltrane, e lo include nel suo progetto Accra Trane Station con il batterista Nii Otoo Annan. C’è lo stesso Nii Otoo Annan, con cui Feld sviluppa il progetto Bufo variations, dove l’onnipresente soundscape dei rospi del Ghana diventa spunto per parlare di come si ascolta, come si pensa la musica, e per una serie di variazioni strumentali sul modello delle Goldberg.

C’è il Por Por Group del sindacato autisti della città di La, che ha sviluppato una sua musica a partire dai vecchi clacson a soffietto dei camion portati dagli americani dopo l’indipendenza del Ghana, che nei funerali dei membri risuona e riecheggia i riti di New Orleans, senza alcuna apparente connessione (musica peraltro irresistibile: consigliatissimo recuperare il disco, pubblicato da Smithsonian Folkways).

C’è Feld stesso, più che osservatore partecipante personaggio in tutto e per tutto – con il nome di “Prof”, attribuitogli dagli amici ghanesi – delle incredibili storie che attraversano Jazz cosmopolita ad Accra. I capitoli del libro si articolano introno a questi diversi incontri, profondamente intersecati, e non è una scelta leziosa quella di intitolare le diverse sezioni come se ci trovassimo in un brano jazz: “Vamp”, “Primo chorus”… Il libro è di fatto un richiamarsi di temi e idee.

Freedom Float (foto di Steven Feld) - Jazz cosmopolita in Ghana
Freedom Float (foto di Steven Feld)

Lontano da ogni regola e convenzione su come si scrive un libro di antropologia o di musicologia, Jazz cosmopolita ad Accra è un oggetto bizzarro, un po’ romanzo – si legge come un romanzo – un po’ etnografia, un po’, naturalmente, saggio critico – anche se Feld sceglie (intelligentemente) di spostare nelle note le riflessioni e i collegamenti teorici più ostici per il lettore non iniziato.

Anche per questo, è un libro consigliatissimo per chi poco o nulla sa di questioni acustemologiche e di dibattiti accademici. Le idee di Feld, per quanto raffinate e complesse, configurano innanzitutto un modo diverso di ascoltare i suoni che ci circondano e di riflettere su di essi. Questa “visione del mondo” (e il termine “visione” è errato, e riassume benissimo come la preponderanza del visuale sull’acustico sia ben radicata anche nel linguaggio) emerge dalla voce del Feld narratore poco a poco nel corso del libro, appassionandoci, stupendoci, costringendoci a fermarci per recuperare un ascolto su YouTube o per pensare.

Chi voglia una guida per entrare più nel profondo dei concetti che Feld attraversa – su tutti quello, incredibilmente affascinante, di “intimità diasporica” per parlare di come si sviluppi un nuovo cosmopolitismo nel mondo contemporaneo – troverà un valido aiuto nella bella introduzione del curatore Carlo Serra. Che potrebbe anche – o forse dovrebbe – essere letta dopo aver letto il libro, per metterne a fuoco (ancora il domino del visivo…) i punti salienti e ricucire i pezzi di un incredibile romanzo – il romanzo dell’ascolto.

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