Massimo Bogianckino 1922-2009

La scomparsa del musicologo che è stato sovrintendente e sindaco di Firenze

Articolo
classica
"Un intellettuale e uomo di teatro sacrificato sull'altare della politica" (Leonardo Pinzauti), "un uomo di sinistra che però non amava certe espressioni di una sedicente 'cultura di massa'" (Marcello De Angelis), ancor più il carismatico sovrintendente del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (o Teatro Comunale di Firenze come ancora si chiamava allora) che "ha dato la sveglia ai fiorentini sul fatto che il teatro musicale stava cambiando in modo irreversibile, e in un certo senso ne godiamo ancora i frutti" (Giuseppe Rossi): così tre testimoni di buona e lunga memoria della scena musicale fiorentina ricordano Massimo Bogianckino, per due volte, dal 1975 al 1981, e poi dal 1991 al 1994, ai vertici del Comunale e del suo prestigioso festival. La sua morte, avvenuta il 7 dicembre, e annunciata dalla moglie Judith a funerali avvenuti, rilancia più che mai la riflessione sulle sfide, sui rischi e sui pericoli del fare cultura in una capitale della cultura per eccellenza, o per pretesa, o per rendita esigibile nei secoli dei secoli, com'è Firenze, e sugli intrecci con la politica, quando la politica chiama, e si tratta di ripensare, da intellettuale e da politico, l'identità e il disegno di una città. Massimo Bogianckino, nato a Roma nel 1922, cominciò infatti come musicista e musicologo: il diploma di pianista a Santa Cecilia, l'insegnamento della Storia della Musica all'Università di Perugia intrapreso negli anni Sessanta, gli studi musicologici imperniati (a parte un'antica passione per Domenico Scarlatti) sul teatro musicale nei suoi legami con lo spirito del tempo e le sue manifestazioni, soprattutto con le arti visive (si intitola infatti Musica e immagine tra iconografia e mondo dell'opera la raccolta di saggi in onore di Bogianckino per i suoi settant'anni, Firenze 1993 a cura di B. Brumana e G. Ciliberti). Il teatro musicale vivo, da immaginare e realizzare, diventa la sua professione con la direzione o consulenza artistica al Festival dei Due Mondi e alla Scala. Il suo primo mandato fiorentino si colloca in piena era Muti, ed è in questi anni che Bogianckino riesce a concretizzare la sua idea europea di teatro musicale, dell'opera non come museo o spazio dedicato alla melomania, ma come laboratorio di reazione alle provocazioni e all'ermeneutica della contemporaneità, con i grandi spettacoli imperniati sulla triade Muti - Ronconi - Pizzi (Orfeo ed Euridice, Nabucco, Trovatore) che segnarono il debutto di Ronconi nella regìa d'opera; e se oggi questa triade ci fa pensare a splendide celebrazioni sul tipo dell'Europa riconosciuta scaligera di qualche anno fa, possiamo testimoniare che allora la cosa aveva tutt'altro segno. "Tuttavia", ricorda Giuseppe Rossi, "risalgono a quel mandato anche alcuni risultati eccellenti nell'ambito di un'idea più tradizionale di teatro d'opera, come il Werther con Pretre sul podio e la messinscena di Pier Luigi Samaritani". Inoltre, con l'operazione di quel Ring con la messinscena di Ronconi e Pizzi transfuga dalla Scala e ospitato al Maggio Musicale Fiorentino a cavallo tra gli anni Settanta e gli Ottanta, Bogianckino riuscì anche a gestire la difficile eredità del dopo Muti, legando definitivamente al Comunale Zubin Mehta, che ne divenne qualche anno dopo e ne è tuttora il direttore principale. Fra le altre realizzazioni importanti di quelli anni ne ricordiamo un'altra di grande fascino legata direttamente, stavolta, alla musica contemporanea, sempre nel segno dell'attenzione alle arti visive di cui si diceva, il balletto Mirò, l'Uccello di luce di Sylvano Bussotti proposto alla Biennale di Venezia. A Firenze non vogliono sentirselo dire, ma una città di 300.000 abitanti (allora un po' di più) a qualcuno può effettivamente andare stretta. Nel 1981, quando sulla scia di questi esiti brillanti fu chiamato all'Opera di Parigi, Bogianckino accettò. Negli anni parigini ebbe modo di approfondire la sua passione profonda per il mondo della danza e l'amicizia con i suoi mostri sacri: poco dopo la morte di Bogianckino qualcuno ne ha ricordato la presenza ai funerali di Nureyev. Parigi, dunque. Ma poi Firenze lo richiamò, e stavolta, nel 1985, come sindaco. Si trattava di dar vita ad un'alleanza politica nuova, larghissima e laica (comunisti, socialisti e liberali), e il socialista Bogianckino accettò, affermando di voler puntare sulla cultura come risorsa e spina dorsale dell'identità (anche economica) cittadina. Ma non seppe farsi amare, e alla fine sarebbe incappato nell'affare piana di Castello, e cioè nella grande questione del Passaggio a Nord-Ovest con cui tutte le future amministrazioni fiorentine avrebbero dovuto fare i conti, politicamente o per via giudiziaria (ne sa qualcosa chi segue regolarmente Report). Il piano regolatore di sviluppo urbanistico presentato dall'assessore Stefano Bassi venne bloccato pochi giorni dopo essere stato presentato (siamo nel 1989) da una telefonata di Achille Occhetto, leader di un partito che forse ancora non riusciva a digerire se non altro in linea teorica le magnifiche sorti e progressive di quello che si sarebbe chiamato poi "project financing", e le strane alchimie pubblico-privato che ne sono derivate. Per onorare la memoria di Bogianckino, ci si dovrebbe chiedere seriamente se il progetto di allora non fosse magari migliore di tutto quello che è successo dopo e che accadrà nei prossimi anni sul nord-ovest di Firenze. A Bogianckino non restò che dimettersi, e di lì a poco sarebbe tornato come sovrintendente al Comunale. Un secondo mandato che ha ricevuto i giudizi tiepidi che si danno generalmente ai secondi mandati, funestato dall'ostilità di un loggione che oramai manifestava apertamente, a suon di fischi e volantinaggi dall'alto di carbonara memoria, la sua avversione ad un sovrintendente invero assai poco nazional-popolare. Bogianckino dovette affrontare anche altre grane, come la bonifica dell'amianto presente nelle strutture del Comunale che impose un lungo periodo di trasferimento al Teatro Verdi e la rinuncia ad alcune cose importanti già progettate (ma oggi che sugli effetti dell'amianto si sa qualcosa di più, forse benedirebbero quella bonifica anche i molti che allora si arrabbiarono perché non riuscivano ad andare al Verdi in auto). E tuttavia Bogianckino fu saggio a lasciar disegnare qualche bellissimo Maggio da un uomo non meno fine intellettuale, non meno europeo di lui, il direttore artistico Cesare Mazzonis, con alcune realizzazioni eccellenti, in particolare, nell'ambito del contemporaneo: pensiamo al Maggio 1992 con The Fall of the House of Usher di Philip Glass, la prima assoluta di Teorema di Giorgio Battistelli, il concerto dedicato a Ligeti con la prima assoluta di Macabre Collage (la 'suite' da Grand Macabre); al Maggio '93 con le ricche vetrine riservate ai maestri contemporanei (Stockhausen in particolare), al Maggio '94, con il "dittico giapponese" Hanjo - Hagoromo affidato ad una grande firma della regìa, Bob Wilson, e, andando al Novecento storico, l'ottima riuscita (sempre al Maggio '94, Mehta sul podio, in forma di concerto) del Moses und Aron di Schoenberg eseguito per la prima volta da orchestra e coro italiani. E forse, se a Firenze è andata perfettamente a genio e a sangue un'operazione come il Ring fantasy (un'altra svolta nella messinscena wagneriana) che Mehta ha appena fatto con la messinscena della Fura dels Baus, è merito anche della semina fatta da Massimo Bogianckino trent'anni fa.

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