Maria Chiara Argirò, l’anno della svolta

Fra jazz e pop, un'intervista con la musicista di base a Londra

Maria Chiara Argirò
Articolo
pop

Incomincerei questa chiacchierata chiedendoti un breve bilancio di questo 2024 che sta andando verso la sua conclusione. Un nuovo disco, Closer, molte date, un anno di "raccolta" di quanto fatto o di "svolta"?

«Questo è stato, almeno sino ad ora, un anno molto positivo per me. Direi che questo album rappresenti per me entrambe le cose sia un momento di “raccolta”, sia  di “svolta”, perché sono in costante evoluzione e ricerca. La vera svolta per me è stata la costanza e la dedizione che ho dedicato alla musica».

 Il disco è uscito per l'etichetta americana Innovative Leisure, con cui lavori ormai da anni. Come sei entrata in contatto con loro e che tipo di opportunità ti ha aperto essere nel loro catalogo?

«Ho semplicemente inviato una mail con il mio album del 2022, Forest City, e, incredibile ma vero, hanno letto il messaggio, ascoltato il disco e mi hanno risposto subito. Questa collaborazione mi ha aperto le porte del mercato americano, permettendomi di uscire dai confini della scena jazz/elettronica del Regno Unito ed Europa, ed esplorare nuovi orizzonti, che per me sono stati fondamentali. Inoltre, il mio recente disco Closer sta ottenendo ottimi risultati anche nelle radio statunitensi». 

Spesso parlando del disco e delle canzoni hai fatto riferimento a stati onirici: in questi mesi ti sei fatta un'idea dei modi in cui chi ti ascolta recepisce le tue canzoni?

«Credo profondamente nel potere evocativo della musica e spero che questo sia stato percepito da chi mi ha ascoltato. Il processo compositivo di questo disco è stato un vero e proprio flusso emotivo, quasi come se mi trovassi dentro a un sogno, dando vita a un racconto intimo e personale».

 

Quest'estate hai suonato sia in Italia che all'estero: ci racconti affinità e differenze tra i pubblici che hai notato?

«Sono appena tornata da un breve tour che ha toccato Londra, la Germania e l'Italia, ed è stato davvero interessante osservare le diverse reazioni del pubblico da una città all'altra».

 «A Londra mi sento a casa: il pubblico si lascia andare completamente, partecipando in modo caloroso ed esuberante. A Berlino e ad Amburgo l'atmosfera era molto energica con poche distrazioni come i cellulari e questo, almeno così come l’ho percepito io, li portava a una forte connessione con la musica. In Italia il pubblico ha un atteggiamento, mi sembra, più riflessivo, specialmente quando non conosce ancora bene l'artista, il che lo porta, inizialmente, ad osservare».

Durante il tour hai anche scoperto artiste o artisti che non conoscevi e che ti hanno colpito?

«Una bella scoperta dal vivo è stata Loraine James, che conoscevo soltanto attraverso i suoi album. Si è esibita al We Out Here, nel Dorset. Recentemente ho anche assistito a un concerto davvero ipnotico dei Föllakzoid, all'Indierocket di Pescara».

   

Come cambia dal vivo il tuo approccio al materiale delle canzoni?  

«Nonostante si tratti di musica ampiamente prodotta, ho scelto di abbandonare l'uso di Ableton e del laptop per le performance dal vivo, suonando tutto in tempo reale. È stata una lunga e bellissima ricerca per me nella preparazione del live. Io e i miei musicisti – Riccardo Chiaberta alla batteria e ai synth bass, e Christos Stylianides alla tromba, synth e elettronica – abbiamo tutti una formazione jazz, il che ci ha offerto una maggiore flessibilità durante i concerti. Questo approccio rende l'esperienza molto più viva ed organica, permettendoci di instaurare una connessione diretta con il pubblico, che considero fondamentale per lo spettacolo dal vivo».

Nelle interviste racconti spesso di quanto l'aver studiato a Londra e vivere attivamente alcuni luoghi e tendenze della scena londinese, abbia contribuito a darti uno sguardo artistico particolare. Mi riassumi in tre parole chiave/concetti questa unicità?

«Curiosità, apertura, opportunità».

Parlavi di jazz. Pur provenendo da quel tipo di studi, di approccio, la tua proposta attuale si colloca dentro altre traiettorie, che direi più pop-elettroniche, una tendenza che è comune a artiste e artisti in varie parti d'Europa. Eppure tante volte vieni inserita in playlist, descrizioni, contesti che ti definiscono come "jazz". Ti va una riflessione su questo, senza limiti?

«Sono sempre stata un po' allergica alle etichette di genere. Per fortuna, viviamo in un periodo in cui i confini tra jazz, pop, elettronica e altre sperimentazioni sono sempre meno definiti. La musica è un genere fluido che si nutre di influenze diverse e non ha bisogno di essere incasellata. Ogni artista trae ispirazione da vari stili, e credo che sia proprio questa mescolanza a rendere ogni artista unico. Essere etichettata come "jazz" non mi dispiace, ma è solo una parte di ciò che faccio e di chi sono come artista. La mia musica riflette la mia evoluzione artistica e la mia continua voglia di esplorare nuovi orizzonti senza pormi limiti». 

 

Nel titolo della tua intervista a Rolling Stone è citata questa tua domanda: «Quand’è che certa musica diventerà normale in Italia come a Londra?» e allora te la riformulo io, dopo qualche mese e dopo che sei stata un po' sui nostri palchi: quando? e che suggerimenti ti sentiresti di dare? 

«Ci sono festival davvero straordinari in Italia ed è per me sempre un onore poterci suonare. Molti di questi si impegnano sempre di più per offrire programmi alternativi. È fondamentale per il pubblico di ogni generazione mantenere viva la curiosità e non limitarsi a confezionare i programmi tradizionali, esplorando nuove sonorità e artisti emergenti. Esporsi a nuove esperienze è essenziale».

«Qui nel Regno Unito, ad esempio, abbiamo BBC Radio 6, la cui proposta musicale è straordinaria, e contribuisce ad ampliare enormemente gli orizzonti del pubblico. Anche i piccoli club rivestono un ruolo cruciale, poiché forgiano le comunità musicali. Il senso di comunità è certamente un elemento chiave per noi artisti, per i promoters e per il pubblico. Abbracciare l’ignoto e lasciarsi sorprendere da ciò che non si conosce ancora può portare a scoperte straordinarie. Scoprire nuove esperienze musicali arricchisce non solo l’individuo, ma nutre anche una scena musicale vibrante e in continua evoluzione». 

Mi dici tre artiste o artisti jazz e oltre italiane che secondo te chi ci legge dovrebbe conoscere?

«Ruth Goller, Nicolò Francesco Ricci, Maddalena Ghezzi». 

Quali sono i tuoi prossimi progetti? Stai lavorando a nuova musica?

«Ultimamente ho collaborato a diversi progetti e produzioni. Al momento desidero concentrarmi sul portare il live in giro sempre di più».

Cosa ascolta Maria Chiara Argirò in queste settimane?

«Ultimamente sta ascoltando Homeshake, Floating Points, Sega Bodega ed Astrid Sonne».

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