Marc Monnet, la musica non ha epoca

Intervista a Marc Monnet, direttore artistico del festival Printemps des Arts di Monaco

Marc Monnet, direttore artistico del festival Printemps des Arts di Monaco
Foto di Olivier Roller
Articolo
classica

Il festival monegasco Printemps des Arts, che si svolge a Montecarlo ininterrottamente da più di trent'anni (unica eccezione il 2005, anno della morte del principe Ranieri) dal 2003 è guidato dalla direzione artistica di Marc Monnet

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L’impronta che il compositore francese ha dato al festival, fin dai suoi esordi, si è voluta caratterizzare per un’apertura e un confronto tra produzioni musicali di tutte le epoche, con una forte presenza della musica contemporanea, cercando di aprire a nuovi pubblici, specialmente quello dei giovani.

Senza dubbio stupisce questa apertura per chi si immagina un Principato, enclave mondiale del privilegio e della ricchezza, ultra conservatore e paludato in stantii rituali ottocenteschi: a tutti i livelli si avverte una forte presenza e un interesse nei confronti dell’arte contemporanea (anche perché ottima merce per proficui investimenti) e, di conseguenza, anche la musica del nostro tempo sembra aver iniziato far capolino tra gli interessi del pubblico di Monaco e di quello proveniente dalle zone vicine della Costa Azzurra, che frequenta gli spazi del Printemps des Arts. Anche la scelta di Marc Monnet come direttore artistico è probabilmente il segno di questa apertura sul piano culturale esistente a Monaco.  

La figura di Marc Monnet (classe 1947), come compositore, si colloca al di fuori degli orientamenti della musica contemporanea francese, con scelte estetiche aperte più al teatro, al cinema e alle arti, evitando di accodarsi a criteri univoci o prefissati delle varie "scuole".

Nella sua musica lo shock, lo stupore e la sorpresa sembrano voler essere elementi per esplorare prospettive estetiche aperte, non fondate su a priori linguistici e stilistici. Nelle sue programmazioni possiamo trovare accostate Sequenze di Berio, Bernstein, abbozzi di composizioni incompiute di Mozart, grandi classici, performance con giocolieri e improvvisazioni all’aria aperta, rigorosi percorsi monografici su autori specifici – quest’anno Charles Ives – e sulla letteratura di determinati strumenti – quest’anno il clarinetto – la musica popolare, antica, medievale, rinascimentale, barocca: si avverte forte l’attitudine a voler stupire lo spettatore, come analogamente avviene nel suo lavoro musicale.

Decisamente informale nei modi, nell’intervenire in prima persona a presentare i concerti e a confrontarsi con il pubblico – lontano mille miglia dagli atteggiamenti di certi nostri direttori artistici superstar – incontriamo Monnet in un momento di pausa, un po’ di fretta, al Museo Cocteau di Menton, prima di una conferenza su Le jeu de Robin et Marion di Adam de la Halle (che andrà in scena subito dopo), accomodati alla bell’e meglio in fondo alla sala, tra i preparativi vari, le conversazioni che si incrociano…

L’inizio della sua collaborazione con il festival Printemps des Arts risale al 2003. A cosa è dovuta questa longevità: una buona relazione con il pubblico, con la casa regnante del Principato?

«La collaborazione con il governo di Montecarlo ci ha dato la possibilità di fare un ottimo lavoro, con una grande libertà: e questo per me è molto importante».

A cosa pensa sia dovuta questa apertura?

«È che a Monaco abbiamo un clima culturale eccezionale. Abbiamo un teatro d’opera, una buona orchestra, una compagnia di danza, un museo d’arte contemporanea, per una popolazione di trentamila abitanti: una situazione sicuramente eccezionale!».

I punti qualificanti, per lei più rilevanti, e le linee guida del programma di quest’anno?

«Tutta la programmazione è importante ma, dal punto di vista delle scelte culturali, per quest’anno ad esempio, per me è stato molto interessante focalizzare l’attenzione su Charles Ives ma anche su Mozart. Già Mozart: su di lui ci siamo concentrati su opere incompiute, sono dei pezzi molto interessanti che però si fermano brutalmente! [ride]. Sono musiche che possono attrarre il pubblico degli appassionati proprio perché si tratta di musiche di un Mozart che nessuno ha mai avuto occasione di sentire».

«Nostro scopo è riuscire a creare sorprese per le orecchie, creare delle provocazioni per educare il pubblico alla tolleranza».

«Abbiamo quindi anche un "viaggio a sorpresa", con il quale portiamo il pubblico con un autobus in un luogo ignoto, con un programma altrettanto ignoto, che sarà per l’appunto una sorpresa. Avremo poi una nuova creazione della compagnia di danza di Montecarlo, con la musica di un compositore francese che si chiama Bruno Mantovani. Estremamente interessante è poi la proposta dell’integrale delle 14 sequenze di Luciano Berio: all’inizio di ogni serata sinfonica, nei diversi appuntamenti, un solista proporrà una delle sequenze. È molto difficile per un musicista aprire così un evento: completamente solo con il suono del suo strumento!».

Ci parli della sua filosofia, dei criteri e delle modalità con le quali imposta la sua programmazione….

«È molto facile perché abbiamo a disposizione dieci secoli di storia di musica scritta, dunque è facile fare una scelta avendo così tanto materiale a disposizione: per me è importante far sentire epoche diverse, suoni diversi. In linea generale penso che, per il pubblico, non si debba fare una programmazione specializzata, indirizzata a un interesse specifico, né verso la musica classica o barocca, o la contemporanea. L’apertura al pubblico deve darci la possibilità di sviluppare un confronto tra le epoche diverse. Nostro scopo è riuscire a creare sorprese per le orecchie, creare delle provocazioni per educare il pubblico alla tolleranza».

Rispetto alla difficoltà di proporre la musica contemporanea?

«No, non penso affatto che sia difficile, non sono d’accordo. E non penso che ci debba essere una separazione netta tra mondi musicali. Sì, perché è stupido proporre in maniera unilaterale programmi solo di musica contemporanea. Ad esempio, io preferisco mettere a confronto un quartetto di Beethoven con un quartetto contemporaneo: perché fare soltanto la musica contemporanea, perché soltanto la musica classica? La musica non ha epoca!».

Vedo nelle sue programmazioni un interesse specifico verso la contemporanea di derivazione accademica. Non pensa che la contemporaneità consti anche della produzione di altri mondi musicali, della musica popolare, del jazz, del rock, degli universi urbani giovanili, per dare un quadro più aperto della contemporaneità?

«Non mi interessa fare cose troppo facili, prendere la musica rock e confrontarla ad esempio con Mozart: no, non lo credo. Credo che abbiamo una musica che è più difficile perché è necessario pensare un po’ e ritengo che la musica popolare istintivamente segua un cammino totalmente differente da quello che noi perseguiamo».

Ma non pensa però che esistano  dei punti in comune, se vogliamo di contatto, tra questi mondi e quello accademico, su cui sarebbe interessante indagare?

«Ieri sera per l’apertura del Printemps des Arts abbiamo potuto sentire la suite di West Side Story di Bernstein, così densa di musica popolare: per me non è buona musica, è sì magnificamente organizzata, ma è troppo semplice; nonostante questo sia il mio gusto, ho ritenuto interessante confrontare questa musica, con quella di Charles Ives della Sinfonia n. 2, che non è certo così semplice! Mettiamo le cose a confronto ma non abbiamo il potere di dire al pubblico: questo è buono questo no!».

Per concludere vogliamo un po’ parlare della sua attività di compositore?

«Mi ci vorrebbero dieci ore [ride]!».

Ma in che misura questa influisce, con il suo gusto e i suoi orientamenti, sulle sue scelte nelle sue programmazioni?

«Sì, certo è molto importante il cambio di attitudine. Però cerco di fare molta attenzione a non cadere nella trappola delle mie passioni e dei miei gusti personali: ciò è molto pericoloso! Per questo scelgo anche compositori, come il Bernstein di West Side Story che, pur non essendo esattamente nelle mie corde, ritengo tuttavia sia importante far sentire. In definitiva io cerco sempre di pensare come musicista e anche l’organizzazione della programmazione è per me come una composizione, fatta di tanti elementi».

«Perché fare soltanto la musica contemporanea, perché soltanto la musica classica? La musica non ha epoca!».

Il tempo a nostra disposizione è scaduto, sta per iniziare la conferenza, rimandiamo a un altro momento, speriamo, un confronto più approfondito sui massimi sistemi...

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