La direzione d'orchestra è (finalmente) donna

Intervista tripla ai nuovi direttori Eva Ollikainen, Beatrice Venezi e Nil Venditti, per i 40 anni dell'Orchestra della Toscana

Beatrice Venezi, Eva Ollikainen e Nil Venditti (foto di Marco Borrelli)
Beatrice Venezi, Eva Ollikainen e Nil Venditti (foto di Marco Borrelli)
Articolo
classica

Se non ci fossero dietro pensiero e visioni del direttore artistico Giorgio Battistelli e la storia di un’orchestra tra le più vitali e duttili, la scelta della Fondazione ORT di puntare per la prossima stagione, quella del quarantennale, su tre direttori donne, di questi tempi qualcuno potrebbe leggerla come una manovra furbesca, coup de théatre, discutibile parafrasi di quote rosa in musica.

Così non è. C’è invece alla base della stessa un’idea forte, una riflessione profonda e coraggiosa che aderisce alla strategia di un’orchestra che da anni sul piano repertoriale eccelle dal barocco al classico romantico ma con un occhio sempre vigile e curioso verso la contemporanea. Un’orchestra non specializzata in un solo territorio ma pronta con i propri professori ad affrontare le sfide più difficili e affascinanti fino alla complessità dei suoni d’oggi. Un’orchestra pensante, come evidenziato da Battistelli nella presentazione novembrina, per sottolineare proprio un approccio nuovo, un modo di essere diverso; no all’orchestra museale impiegatizia, sì a un rinnovamento interno e verso l’esterno, su piani e tempi diversi per rispondere alle esigenze e prospettive di un’orchestra del 2020, del futuro.

ORT al femminile

La finlandese Eva Ollikainen sarà il nuovo direttore principale, le nostre Beatrice Venezi e Nil Venditti i direttori ospiti principali: in tre fanno novant'anni. Incredibile ma vero. Basta sfogliare le loro biografie per capire che l’orchestra toscana sarà in ottime mani. Direttori autorevoli, prestigiose collaborazioni, personalità spiccate, talenti femminili scelti non come figurine a effetto per certificare una tendenza che vede fortunatamente le donne salire nei posti che contano nella società, nella cultura.

Beatrice Venezi, Eva Ollikainen e Nil Venditti (foto di Marco Borrelli)
Beatrice Venezi, Giorgio Battistelli, Eva Ollikainen e Nil Venditti (foto di Marco Borrelli)

Battistelli e la Fondazione da anni si battono tra non poche difficoltà per dare un segnale importante di innovazione, progettualità e di apertura. Provare a togliere un po' di polvere dai palcoscenici, offrire aria nuova ad un mondo, quello della cosiddetta classica, che spesso si arrocca per difendere il passato invece di aprirsi al futuro che è già oggi. La scelta dei tre nuovi direttori sta tutta dentro questa scommessa irrimandabile. Le diverse sensibilità, creatività e visioni, le ambizioni di tre donne come elementi, architravi di un cammino che affiancato alla sperimentazione di nuovi strumenti comunicativi verso il mondo esterno, verso altre forme d’arte prefiguri un’orchestra, una musica, tutta la musica, vissuta senza pregiudizi nei suoi meandri più profondi.  

Se è vero che negli ultimi tempi di donne sul podio se ne vedono, anche se qualcuno distratto se ne meraviglia ancora, ci è sembrato cosa rara e altrettanto stimolante poterne coinvolgere in un’intervista unica tre insieme per conoscerle meglio, capire i loro percorsi, le loro esperienze, per toccare con mano come vivono il meraviglioso mestiere di direttore d’orchestra.

In quale momento del vostro percorso musicale è scattata la fascinazione verso la direzione orchestrale? 

EVA OLLIKAINEN: «Per me era già un sogno da bambina! Non ricordo se avevo tre o quattro anni quando mi portarono per la prima volta all’opera (era Il Barbiere di Siviglia, a Vienna). Mi divertii moltissimo. Certo, fu affascinante anche la parte teatrale, ma soprattutto mi piacque guardare quello che succedeva nella buca. Sentivo arrivare un'energia incredibile dal maestro (era un uomo, negli anni Ottanta) e dai professori d’orchestra, e pensavo: ma cosa sta facendo con quella bacchetta?».

BEATRICE VENEZI: «Non ricordo un momento preciso in cui ho sentito "la chiamata", bensì un processo di acquisizione di consapevolezza rispetto al fatto che la musica fosse sicuramente il linguaggio giusto attraverso cui esprimermi ma che il pianoforte, lo strumento con cui ho iniziato il mio percorso di studi, non fosse sufficiente affinché mi potessi esprimere compiutamente». 

«Ho iniziato lavorando come maestro collaboratore e lì ho avuto l'occasione di provare la mia attitudine alla direzione. Ero in Germania, il direttore con cui lavoravo un giorno venne da me e disse: "So che vuoi fare il direttore d'orchestra... allora domani la prova d'orchestra la fai tu". In quell'occasione, senza aver mai preso una lezione di direzione prima di allora, mi sono lanciata e ha funzionato. Ricordo il direttore che venne da me dopo la prova e commentò "Ok. You can do it", puoi fare questo lavoro, e l'orchestra che mi regalò la mia primissima bacchetta». 

NIL VENDITTI: «Domanda difficile perché non credo che mi sia mai scattata la fascinazione verso la direzione d’orchestra, ci si può credere? Avevo quattordici anni, ricordo il momento esatto in cui un mio amico contrabbassista per la prima volta mi fece vedere una partitura d’orchestra. Era la Quinta di Mahler, ma per me poteva essere anche la seconda di Schubert o i concerti per violino di Paganini, comunque una partitura non l’avevo mai vista. Ricordo quell’esatto istante in cui tutto dentro di me ha preso coscienza del fatto che quella sarebbe stata l’unica vera strada per arrivare alle radici profonde della musica. Come violoncellista, ho sempre e solo letto su di un pentagramma e il mondo finiva lì per me. Ma come direttore d’orchestra hai una visione completa di questo “universo”, sotto ogni punto di vista. È stato questo ad affascinarmi più di ogni altra cosa, questa voglia di conoscenza, questo assoluto bisogno di trovare la chiave per svelare l’enorme arcano di cui la musica fa parte. La cosa più bella è che più la si scopre, più si va nel profondo e più si comprende che c’è ancora così tanto da capire, la strada è ancora così lunga».

«Quindi no, non ho una fascinazione per la direzione d’orchestra ma ce l’ho nei confronti della musica e della conoscenza».

Se un’opera è per definizione aperta – qualcuno afferma addirittura non finita – quali sono i vostri approcci interpretativi riguardo ai repertori classici? Sono gli stessi anche rispetto alla maggiore libertà esecutiva che vi concedono le partiture contemporanee? 

EVA OLLIKAINEN: «Al contrario: la musica contemporanea è spesso piena di dettagli: tempi, dinamiche, articolazioni sono indicate con grande precisione. Se poi si trova un errore nella partitura c'è sempre la possibilità di chiamare il compositore per verificare. Normalmente di una opera contemporanea c’è una sola edizione, invece con il repertorio classico-romantico, si deve scegliere quale edizione usare (per esempio con Schubert ci sono differenze enormi tra Bärenreiter e Breitkopf, con Beethoven la differenza non è così grande, ma è comunque significativa). Poi ci sono le tradizioni: seguirle o non seguirle? Le indicazioni di tempo poi, o mancano o, come con le sinfonie di Beethoven per esempio, ci sono, ma sempre accompagnate da molte discussioni in merito. E infatti la maggior parte dei direttori d’orchestra scelgono di non seguirle! Le articolazioni, il suono, come lavorare col fraseggio… Mi sento assolutamente molto più libera nel repertorio del sette-ottocento».

BEATRICE VENEZI: «Personalmente credo nel massimo rispetto del testo della partitura e della volontà del compositore, indipendentemente dal periodo storico a cui ci riferiamo. Nell'opera un ulteriore livello di lettura sta nel sottolineare il significato del libretto, la condizione psicologica del personaggio e la sua evoluzione durante l'opera».

«Dirigere musica contemporanea e avere la possibilità di lavorare fianco a fianco con il compositore consente una forma di approfondimento del testo che, per quanto alle volte limitante rispetto alla volontà del direttore, è sicuramente stimolante e persino sorprendente: un atto creativo a più teste. La partitura non sempre possiede indicazioni evidenti, ma sicuramente è costellata da indizi, pronti ad essere scoperti. Per scoprirli da una parte indago il testo con approccio scientifico e dall'altra mi affido al mio istinto musicale». 

NIL VENDITTI: «Mi trovo di nuovo in difficoltà. Ho sempre pensato che i repertori classici in realtà ti diano una libertà di espressione infinita. Ciò che era scritto sulla partitura (nel periodo barocco) non era nient’altro che un umile traccia, uno spunto da cui prendere ispirazione per poi portarci all’improvvisazione, alla fioritura delle parti, all’aggiunta o meno di strumenti a fiato, a percussione, i rubati di una melodia, l’inegalité francese. Da qui possiamo saltare ad Haydn dove era “vietato” fare un ritornello uguale a un altro e quindi bisognava sempre variare, sempre farsi sorprendere e trascinare dalla fantasia, dal proprio gusto musicale. Questo discorso da Haydn, Mozart e Beethoven si è sviluppato fino ad arrivare alle partiture dell’ottocento dove addirittura l’intera struttura musicale era pensata come un essere pensante unico e si è cominciato a fare più attenzione a dove la frase musicale ti volesse portare, questo “sturm und drang”, questa passione che riusciva a muoverti come un’onda fino ad arrivare alle partiture del novecento e quelle del ventunesimo secolo dove tutto è scritto esattamente al millimetro, persino i secondi di quanto dovrebbe durare una nota. Quindi penso di non avere capito la domanda…».  

Come gestite il rapporto con i maestri dell’orchestra? Attraverso quali processi psicologici, comunicativi, professionali e umani riuscite a trasmettere la vostra idea di musica rispetto ad un repertorio dato? 

EVA OLLIKAINEN: «Ogni corpo musicale è diverso. Ci sono professori d’orchestra che vogliono sentire il “perché” facciamo questa interpretazione, e ci sono orchestre che sono più praticamente orientate. Tocca al direttore sentire come “scatta” quel particolare gruppo di professori, e questo non è sempre facile!».

BEATRICE VENEZI: «Io credo fortemente in una leadership diffusa, partecipativa, e nella condivisione di un obiettivo comune, oltre che nella condivisione delle responsabilità». 

«Io credo fortemente in una leadership diffusa, partecipativa, e nella condivisione di un obiettivo comune».

«Ogni orchestra è diversa dall'altra e pertanto i meccanismi di comunicazione/ psicologici e anche l'idea stessa di leadership che si intende mettere in atto deve necessariamente variare sulla base dell'interlocutore. È necessaria, prima di tutto, un'unica macro competenza: quella di rimanere in ascolto, non solo dei suoni ma anche di tutte quelle informazioni sottili che aleggiano nell'aria mentre ci si relazione con gli altri».

«Per ciò che riguarda poi la trasmissione di un'idea musicale, sono convinta che un direttore d'orchestra debba parlare il meno possibile e mostrare la propria idea con i gesti, la mimica facciale, lo sguardo, e, perché no, un pizzico di telepatia. Poi, in alcuni casi, può essere utile argomentare le ragioni delle proprie scelte e convinzioni musicali, ma sempre con delle suggestioni, immagini fugaci che possano ispirare al risultato che si intende ottenere. Non credo molto nei direttori che tengono comizi davanti alle orchestre». 

NIL VENDITTI: «Di solito sono contraria a questa idea del repertorio “dato”. Il repertorio di un direttore d’orchestra dovrebbe sempre essere “scelto” dallo stesso, perché per quanto sia difficile crederlo, anche noi direttori d’orchestra siamo esseri umani e quindi incapaci di fare tutto e bene. Io sono una piccoletta, ho venticinque anni e dirigo da quanto ne avevo venti. Ero piccolina cinque anni fa e lo sono anche adesso. Spesso i maestri d’orchestra suonano in quella stessa orchestra da più anni di quanti io ne sia al mondo quindi è sicuramente una situazione molto delicata da gestire. Io l’ho risolta così: con l’umiltà ed il sorriso. Salgo sul podio non come una persona che vuole comandare con quell’aria di arroganza e una coda da pavone che riempie tutto il teatro, ma come una persona che ha studiato così tanto quel repertorio da morire dalla voglia di condividerlo con tutto il mondo».

«Spesso i maestri d’orchestra suonano in quella stessa orchestra da più anni di quanti io ne sia al mondo quindi è sicuramente una situazione molto delicata da gestire».

«Così iniziano le prove, con noi (io e l’orchestra) che parliamo attraverso la musica e ci conosciamo. Loro esprimono le loro idee, e io le mie e si crea un ambiente di comune accordo, una famiglia che ha come scopo ultimo il concerto! Ah sì, il sorriso. Sono una persona molto felice, sarà perché i miei genitori mi hanno completamente riempita d’amore e quindi sorrido, sorrido perché sennò mi scoppierebbe il cuore, sorrido perché non c’è niente di più bello al mondo che sorridere a un altro essere umano. 

Pierre Boulez ha scritto «Vi è un paradosso nella professione del direttore d’orchestra e dell’interprete in generale: più si è imparato, più si conosce, e più ci si può abbandonare all’impulso immediato, permettendosi di essere intuitivi e spontanei». Quanto vi riconoscete in questa riflessione?

EVA OLLIKAINEN: «Assolutamente così».

BEATRICE VENEZI: «È pura verità. La padronanza della tecnica, l'acquisizione di certi meccanismi nella gestione dell'orchestra, la conoscenza approfondita di una partitura e del contesto in cui quella partitura è stata concepita, tutti questi elementi, quando dominati con lucidità, ti liberano dalla necessità di affrontare la contingenza e ti concedono l'ebbrezza del volo libero sulle ali dell'istinto».

NIL VENDITTI: «Al 100%, anzi no al 8935264804%. Niente di più vero. Paavo Jarvi, un giorno durante un caffè mi disse: “Nil, la musica ti parla, basta saperla ascoltare”. Mi si è accesa una lampadina! Certo che bisogna studiarla e andare nel profondo di una partitura, lasciarci l’anima e non risalire finché non si è finiti di guardare anche nel più profondo degli scaffali, anche sotto al letto o dietro l’armadio quattro stagioni. Ma la musica ti parla e basta saperla ascoltare, e nel momento esatto del concerto ecco che entra in gioco l’istinto. Perché in fondo la musica è un essere vivo, è vita e bisogna trattarla come tale: l’impulso immediato, permettendosi di essere intuitivi, spontanei! Niente di più vero!».

Foto di Marco Borrelli
Foto di Marco Borrelli

Tutte avete già frequentato l’Orchestra della Toscana. Giorgio Battistelli ne ha sottolineato oltre talento strumentale e suono, soprattutto le caratteristiche umane, quelle di un’orchestra duttile e passionale sia su repertori classici che contemporanei. Cosa vi piace sottolineare della vostra esperienza con l’ORT e cosa proporrete sul fronte repertoriale per il prossimo quarantennale?

EVA OLLIKAINEN: «Fino a oggi ho solo fatto un progetto con l’ORT, quindi sarebbe inadeguato fare un'analisi seppur parziale sull’orchestra o presentare delle idee definite per il futuro. Comunque posso dire che mi è piaciuta molto la reattività dei professori. Hanno dimostrato una altissima energia e soprattutto, quella che è la cosa più importante, un'abilità non comune di condividere il messaggio musicale col pubblico e non vedo l’ora di cominciare la nostra collaborazione. C’è un pericolo dappertutto nel mondo ed è quello che le orchestre diventino dei musei; proporre un repertorio composto per la maggior parte prima della seconda guerra mondiale interromperebbe il dialogo con la società di oggi».

«C’è un pericolo dappertutto nel mondo ed è quello che le orchestre diventino dei musei».

«I compositori (come anche i pittori, gli autori) sono capaci di raccogliere lo Zeitgeist, portandoci in una dimensione tutta nuova. Ed è anche un modo di preservare l'“oggi” per il futuro. Spero che L’Orchestra della Toscana abbia molto coraggio e proponga tantissime prime assolute. Diventerà in questo modo un influencer nei prossimi quarant'anni!».

BEATRICE VENEZI: «Conosco professionalmente l'ORT da diverso tempo, poiché già dal 2012 mi era capitato di lavorare come pianista all'interno dell'orchestra in alcune produzioni. Con alcuni di loro si sono stabilite relazioni che escono al di fuori del Teatro Verdi ed esulano anche dal puro rapporto professionale. E addirittura il primo violoncello Luca Provenzani è stato anche un mio docente di musica da camera!».

«Un giorno mi chiamarono al Goldoni di Livorno per sostituire un collega e nella buca ritrovai proprio l'ORT. In quella occasione (era il mio debutto di Manon Lescaut – anche se loro non lo sapevano – oltre che il mio debutto con questa orchestra), senza prove e senza alcuna certezza, abbiamo capito che potevamo funzionare come un unico organismo. Ricordo ancora l'applauso che arrivò persino da dietro le quinte dopo l'intermezzo. Era inevitabile che scegliessi l'ORT per il mio disco di esordio dedicato a Puccini My Journey, pubblicato da Warner Music».

«Tutto questo fa sì che ci sia una certa facilità e spontaneità nel lavorare insieme e che io possa mettere totalmente in atto la mia visione partecipativa, condivisa e diffusa del lavoro da svolgere. Al di là della indubbia qualità artistica dell'orchestra, è il dato umano ciò che più mi colpisce ogni volta, l'entusiasmo, la genuinità, la sincera gioia di fare musica assieme».

«Per ciò che riguarda il repertorio, ho proposto a Giorgio Battistelli di esplorare il repertorio russo e di influenza russa, allargandoci a tutta l'area dell'ex Unione Sovietica, musiche che ho avuto modo di approfondire e comprendere da un punto di vista autentico nelle molteplici esperienze lavorative che ho condotto in quei Paesi».

NIL VENDITTI: «Il concetto di famiglia. Mi sono sentita a casa e non c’è stato niente di più bello. Mi sono sentita come se quei maestri d’orchestra li avessi conosciuti da sempre e quando mi hanno sorriso di rimando mi sono completamente innamorata di loro, di ognuno di loro». 

«Abbiamo fatto repertorio classico insieme: Haydn, Mozart, Mendelssohn e ci siamo divertiti come pazzi tra improvvisazioni e cercare di essere il più flessibili possibile, cercare proprio di farci sorprendere dalla musica stessa e viverla momento per momento in maniera spontanea e non premeditata. Ed è questo che vorrei approfondire con loro: questo modo di fare musica sul momento, questo sempre stare all’erta e con le orecchie bene aperte perché da un momento all’ altro la musica potrebbe semplicemente portarci da tutt’altra parte. Questa improvvisazione e dare spazio e libertà a tutti i fantastici solisti di cui l’ORT è costituita, questa voglia di fare musica insieme come se fossimo solo un gruppo da camera costituito da un paio di persone. Fantastico!».

Foto di Marco Borrelli
Foto di Marco Borrelli

Oltre che alla disponibilità dei tre direttori, che ringraziamo di cuore, l’intervista è stata possibile anche grazie alla preziosa collaborazione di Riccardo Basile (Area Comunicazione Ort).

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