Il Carnevale contro Bolsonaro

Nel Brasile di Bolsonaro le scuole di samba sono un luogo di resistenza e contestazione alle politiche del governo: un reportage 

Renata Xavier e Leandro Lucas - Miradouro Carnevale di Rio
Unidos de Miradouro al Carnevale di Rio 2020 (foto di Renata Xavier e Leandro Lucas, dalla pagina Facebook del gruppo)
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«Laroyê!». Con il saluto all’orixa (la divinità africana yoruba) Oxóssi lo scorso 20 febbraio, giovedì “grasso”, Carlinhos Brown ha aperto il Carnevale 2020 a Salvador. Alle 17.56, il sindaco aveva consegnato le chiavi della città al Rei Momo. «Nell’anno in cui il trio elétrico compie 70 anni, l’axé music 35, e Luiz Caldas – padre dell’axé – 50 di carriera, è un onore aprire il Carnevale», ha detto Brown dando il via, con i Timbaleira Drummers, alle musiche e ai balli nel circuito Barra-Ondina, dove hanno sfilato gruppi storici come Filhos de Gandhy, Olodun, Ilê Aiyê, quest’ultimo con brani che narrano il Botswana e la sua storia quali esempio di una società africana che ha ridotto al minimo analfabetismo e corruzione.

In un Brasile sempre più classista e repressivo, il primo a non voler riconoscere il ruolo del Carnevale è il presidente Jair Bolsonaro. Uno dei sambisti più conosciuti, il settantasettenne Paulinho da Viola, ha apertamente criticato gli attacchi alla cultura e alla popolazione afrodiscendente da parte del governo e dello stesso presidente. A giudizio di Paulinho da Viola, l’aumento dell’intolleranza nei confronti delle religioni di discendenza africana hanno tristemente riportato il paese al secolo passato. Il suo punto di osservazione parte da Madureira, il “bairro” della Zona Nord di Rio de Janeiro considerato la "capitale delle periferie", ma soprattutto la "culla del samba" perché ne ospita una delle tre scuole storiche, Portela, quella che con ventidue titoli vanta il record di campione del Carnevale di Rio.

«Oggi per poter fare un’offerta per strada è necessario mobilitare un intero apparato e pensare a proteggersi come quando la polizia reprimeva qualsiasi iniziativa che rimandasse alla religione africana». Per Paulinho da Viola «questa intolleranza è fomentata dalle autorità e colpisce le persone delle comunità più povere, neri e indigeni, senza riguardo per le leggi». A Bolsonaro imputa: l’aperta demolizione della cultura brasiliana, gli attacchi ad artisti ed educatori,  la demonizzazione delle leggi con incentivi culturali. «Nemmeno sotto il regime militare abbiamo assistito a una demolizione di questa misura».

«Nemmeno sotto il regime militare abbiamo assistito a una demolizione di questa misura».

Quest’anno Portela ha affrontato una delle crisi socio-ambientali con una coreografia con 2800 partecipanti, pensata da Renato e Márcia Lage, dedicata al Guajupiá, terra sem males, il paradiso dei tupinambás, gli abitanti originari del territorio oggi occupato dalla metropoli di Rio de Janeiro, sempre più lontana dall’ideale paradisiaco e attraversata da inquinamento e violenza. 

Una violenza che è costantemente nel linguaggio di Bolsonaro. L’anno scorso criticò senza mezzi termini il Carnevale pubblicando un video osceno, tanto che quest’anno perfino la scuola di samba della città di San Paolo, Mancha Verde, che rappresenta i tifosi della squadra di calcio del presidente, il Palmeiras, lo ha messo alla berlina insieme ai membri del governo. La canzone e la coreografia ripartono nel titolo dalle parole di Gesù: «Pai! Perdoai, Eles Não Sabem o Que Fazem» («Padre, perdonali perché non sanno quello che fanno»). Interpretata da Freddy Vianna, è una composizione collettiva di Marcelo Casa Nossa, Guilherme Cruz, Rodrigo Minuetto, Rodolfo Minuetto e Darlan Alves che, da un lato, manda un messaggio di cura reciproca ("Só o amor pode curar o mundo", solo l’amore può curare il mondo) e, dall’altro, stigmatizza il presidente e ministri quali Damares Alves (Diritti umani), preoccupata di vestire i bambini di azzurro e le bambini di rosa, Sérgio Moro (Giustizia e Sicurezza pubblica), rappresentato come carcerato, e Paulo Guedes (Economia), autore di una recente dichiarazione che liquidava le impiegate domestiche come aspiranti turiste a Disney. La risposta femminista e anti-dollaro non si è fatta attendere.

Altrettanto esplicito, a San Paolo, è stato il messaggio di Águia de Ouro, dalla zona ovest di San Paolo, che ha vinto la competizione carnevalesca rendendo omaggio a uno degli intellettuali più odiati e calunniati dal governo, il pedagogista Paulo Freire. La coreografia “O Poder do Saber” riprende anche i versi di un cantautore perseguitato dalla precedente dittatura, Geraldo Vandré. La sua canzone “Pra não dizer que não falei das flores” (“Per non dire che non ho parlato dei fiori”) è diventata un inno contro la dittatura militare e un invito a informarsi, capire, agire: «Quem sabe faz a hora, não espera acontecer», chi sa agisce, non resta ad aspettare, hanno cantato i 2500 componenti della “escola” azzurra e bianca, contrapponendo alle violenze di Bolsonaro l’approccio poetico all’educazione di Paulo Freire, con i versi “Não se pode falar de educação sem amor”, non si può parlare di educazione senza amore, interpretati dai solisti Douglinhas Aguiar, Tinga e Darlan Alves e sostenuti dalle impeccabili ed energetiche percussioni condotte dal “mestre” Juca Guerra: «La comunità di Pompeia ha rincorso questo titolo per 44 anni, dobbiamo ringraziare tutta la comunità».

Violenza in Brasile significa 23 attivisti per i diritti umani assassinati nel 2019, il quarto paese più violento al mondo secondo Frontline Defender. Non stupisce, quindi, che un compositore e cantante molto noto come Arnaldo Antunes sia ricorso immediatamente ai tribunali quando il suo brano “O Pulso”, scritto con Marcelo Fromer e Tony Belotto nei Titãs, è stato usato per promuovere una manifestazione pro Bolsonaro programmata il 15 marzo. «É davvero disgustoso dover assistere a una mia creazione che viene usata contro tutti i miei principi». Non a caso, il video del brano che da il titolo al suo nuovo album, “O Real Resiste” raccoglie immagini del gruppo attivista Mídia Ninja che documentano l’attività dei movimenti sociali e la repressione delle forze dell’ordine.

Violenza in Brasile significa 23 attivisti per i diritti umani assassinati nel 2019, il quarto paese più violento al mondo secondo Frontline Defender.

In pieno Carnevale, Celso de Mello, decano del Supremo Tribunale Federale, ha denunciato «il volto oscuro del presidente della Repubblica». Non è uno scherzo e non è difficile capire a cosa si riferisce: il presidente «disconosce il valore dell’ordine costituzionale, ignora il principio della separazione dei poteri, esprime una visione indegna dell’altissima carica che ricopre». In particolare, denuncia l’appoggio che Bolsonaro sta prestando insieme al generale Augusto Heleno (a capo dell’Ufficio di sicurezza istituzionale) e alla componente militare del governo, all’idea di chiudere il Parlamento e di farlo fomentando manifestazioni di piazza perché ormai, secondo Heleno i parlamentari possono «fottersi» – visto che «rallentano» le leggi che nei territori indigeni, e non solo, autorizzano nuove centrali idroelettriche, attività minerarie, estrazione di petrolio e gas.

In questo scenario di tensioni e discriminazioni, chi ha conquistato il Carnevale di Rio? Unidos de Viradouro: ha saputo coniugare i temi dell’ancestralità africana con l’attualità delle rivendicazioni femministe, collegando Salvador con Rio. Con “De Alma Lavada” la scuola di samba ha reso omaggio alle Ganhadeiras de Itapuã, lo storico gruppo musicale di donne bahiane del XIX secolo, conosciute anche come le prime femministe brasiliane nella transizione dalla schiavitù alla liberazione, protagoniste dei diversi lavori urbani, e della trasformazione di spazi di lavoro (come quello del lavare i panni nella laguna di Abaeté) in spazi sociali, di canto comune, e dell’integrazione nei “terreiros”, gli spazi sacri, di laboratori artigianali. Lavare vestiti e cucinare permetteva loro di guadagnare il denaro con cui poter comprare la libertà propria e di altre donne. Anche in questo caso il canto omaggia l’orixa africano Oxum, sulle pulsazioni scandite di un ijexá, un tamburo atabaque gigante e sulle strofe di canto e risposta delle lavandaie (“Oh mãe, ensaboa, mãe”) arrangiato da Tarcísio Zanon e Marcus Ferreira. Un modo efficace di cantare le donne che sono state protagoniste della storia brasiliana in un momento in cui l’Anuário Brasileiro de Segurança Pública registra oltre 1000 femminicidi l’anno, un numero in crescita e che secondo il Conselho Nacional de Justiça (CNJ) andrebbe raddoppiato perché sono altrettanti i femminicidi non denunciati, nonostante dal 2015 il codice penale offra maggiori garanzie alle donne. 

La scuola di Niterói dai colori rosso e bianco, è tornata a vincere il titolo dopo ventitré anni, dopo essere giunta seconda nel 2019. Una vittoria che da Rio ha avuto un’eco importante in Bahia. Per Ivana Soares, produttrice delle Ganhadeiras de Itapuã, «la nostra vita è cambiata, non solo per l’esposizione mediatica, ma anche per l’idea che abbiamo di noi stesse. Capiamo che rappresentiamo milioni di donne che lottano tutti i giorni per riuscire a sopravvivere. Ci ha aiutato a crescere socialmente», ha commentato al quotidiano bahiano “Correio”. Viradouro quest’anno si è lasciata alle spalle scuole prestigiose come Grande Rio, Mocidade, Beija-Flor, Salgueiro e Mangueira. 

Dalla parte delle donne è stata anche la coreografia prodotta da Mocidade Independente de Padre Miguel, che ha coinvolto tremila persone e ha voluto rendere omaggio alla quasi novantenne Elza Soares, 84 album e circa 3500 canzoni incise. Il tema “Elza Deusa Soares”, cui ha contribuito anche Sandra de Sá, invita ad «acender no peito a inspiração» («accendere l’ispirazione») perché «é preciso lutar com a armas de uma canção» («è necessario lottare con le armi della canzone»). E così, per la prima volta, la storia di Elza Soares ha sfilato nello spazio dedicato alle scuole di samba Marquês de Sapucaí a Rio de Janeiro, davanti a 70.000 persone, percorrendo la sua epica carriera di cantante e compositrice. 

Una vita dura che nasce nella periferia di Rio: sposa a 12 anni, madre a 13, otto figli con il primo marito, due persi nei primi anni di vita. Poi l’incontro con la stella del calcio Garrincha di cui sarà compagna per quindici anni e insieme al quale sarà perseguita dalla dittatura militare, motivo del loro esilio in Italia. È una delle cantanti che ha affrontato il tema della violenza domestica e l’ha accostato al machismo e al razzismo. Per l’album A Mulher do Fim do Mundo ha composto “Maria da Vila Matilde”, un invito a prendere coscienza delle violenze contro le donne: “Cê vai se arrepender de levantar a mão pra mim” («Ti pentirai di alzare le mani con me»). «La mia politica è la musica» racconta Elza Soares che ha intitolato l’ultimo album Planeta Fome (Pianeta fame), coniugando indignazione e speranza. E Mocidade ha risposto cantando “É sua voz que amordaça a opressão / A gente tem que acordar / Que os filhos do Planeta Fome / Não percam a esperança / Em seu cantar / O som da favela / A resistência em oração / Meu povo esperou tanto pra revê-la / Laroyê e Mojubá / Liberdade” (“La sua voce morde l’oppressione / la gente deve svegliarsi / i figli del Pianeta Fame / non perdano la speranza / nel suo canto / il suono della favela / la resistenza nella preghiera / la mia gente ha aspettato tanto per rivederla /  Laroyê e Mojubá / libertà”).

Non meno politico (come l’anno passato in cui si era laurata campione con “História pra ninar gente grande”) è il messaggio della scuola verde-rosa Estação Primeira de Mangueira: “Eu sou da Estação Primeira de Nazaré/ Rosto negro, sangue índio, corpo de mulher/ Moleque pelintra no buraco quente/Meu nome é Jesus da Gente” (“Sono della Estação Primeira di Nazaré / faccia nera, sangue indigeno, corpo di donna / ragazzo in tiro nel buco che scotta / il mio nome è Gesù della gente”) raccontano le strofe composte da Manu da Cuíca e Luiz Carlos Máximo che mandano un messaggio chiaro a Jair Bolsonaro: “Favela, pega a visão/  Não tem futuro sem partilha/ Nem messias de arma na mão” (“Favela apri gli occhi / non c’è futuro senza condivisione / né nei messia armati”). Un messaggio intitolato con le parole del vangelo «La verità vi renderà liberi», sottoscritto anche dal teologo della liberazione Leonardo Boff che ha pubblicamente difeso (con un’intervista a RBA) questo ritorno al Cristo “storico”, oggi negato da tanti «settori che si dicono cristiani», mentre Mangueira ha avuto la capacità di «attualizzare la figura di Gesù nella nostra situazione, molto simile a quella della Galilea, la Palestina, in cui ha vissuto Gesù, quello testimoniato nei quattro vangeli e ben rappresentato da Mangueira». 

“Sono della Estação Primeira di Nazaré / faccia nera, sangue indigeno, corpo di donna / ragazzo in tiro nel buco che scotta / il mio nome è Gesù della gente”.

Quindi spazio a un Gesù nero che ha per madre la cantante Alcione e per padre Nelson Sargento, protagonisti della coreografia di Mangueira. Alcione Dias Nazareth (nata a São Luís nel 1947) é una delle sambiste più note, già consacrata Rainha do Samba e collaboratrice di Mangueira dal 1974, fondatrice della scuola di samba per bambini Mangueira do Amanhã di cui è presidente onoraria. Nelson Sargento (nato a Rio nel 1924) unisce alle doti di compositore e cantante quelle di attore, artista plastico, scrittore, ricercatore della musica popolare brasiliana. Tutti lo conoscono per il samba “resistente” del 1979 ”Agoniza mas não morre” (“Agonizza, ma non muore”).

La coreografia di “La verità vi renderà liberi” ha potuto contare su 4000 persone sospinte dai canti e dalle percussioni sapientemente dirette dal mestre Wesley do Repique.

«In un’epoca in cui si prega tanto un Gesù bellico, intollerante e di controllo, Mangueira mostra il Gesù del vangelo: amoroso, amico, compagno degli oppressi», ha scritto il teologo e pastore battista Henrique Vieira, che ha collaborato con la scuola nella creazione della coreografia. Anche gli Acadêmicos da Grande Rio hanno voluto sviluppare un tema religioso, raccontando la vita di un personaggio simbolo del candomblé, Joãozinho da Gomeia, babalorixá scomparso nel 1971, simbolo della tolleranza religiosa. Non è estranea a questo interesse per la religione la matrice evangelica del sindaco che dal 2016 governa Rio de Janeiro, il pastore e immobiliarista Marcelo Crivella che non ha mai nascosto la sua antipatia per il “carnaval” e ha progressivamento tagliato i finanziamenti pubblici fino ad azzerarli, per la prima volta, nel 2020.

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