I Joy Division come un romanzo

Esce in Italia la "storia orale" dei Joy Division del critico Jon Savage, a 40 anni dall'uscita di Unknown Pleasures

Unknown Pleasures - Joy Division, Jon Savage
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Joy Division. Autobiografia di una band (che brutto titolo!) è l’edizione italiana (per Rizzoli) di This Searing Light, the Sun and Everything Else: Joy Division, the Oral Story, il libro che il critico musicale britannico Jon Savage ha dedicato alla breve vita di uno dei gruppi più importanti usciti dall’Inghilterra alla fine degli anni Settanta.

Joy Division - Jon Savage

Al termine della lettura ho fatto qualcosa che non facevo da tempo, lo ammetto: a dieci giorni dal quarantennale della sua pubblicazione ho ripreso in mano Unknown Pleasures, ho accarezzato la celebre copertina con le onde magnetiche della Pulsar CP 1919 ideata dal grafico Peter Saville e ho messo il CD nel lettore, curioso di ascoltarlo dopo aver appreso nuovi particolari riguardanti la sua genesi.

La sync drum di Steve Morris, poi ecco il basso di Peter Hook a dettare la melodia – novità assoluta per l’epoca –, un effetto inserito dal produttore Martin Hannett, come il turbine del vento quando si lascia una finestra aperta, la chitarra di Bernard Sumner (o, se preferite, Albrecht) che mi sferza il cuore ed ecco la voce, quella quasi baritonale di Ian Curtis, “sono stato in attesa di una guida che arrivasse a prendermi per mano”, la pelle che si accappona, gli occhi che si inumidiscono. Adesso mi ricordo perché questo fu il mio disco preferito del 1979.

«Ancora mi chiedo da dove diavolo siano saltati fuori i Joy Division» – Tony Wilson, co-fondatore della Factory Records 

Nel 2007 Jon Savage ha collaborato alla realizzazione del documentario Joy Division del regista Grant Gee: molto materiale non fu utilizzato e allora il critico ha deciso di riprendere in mano il tutto e di realizzare questa “storia orale” dove sono i protagonisti a parlare, limitandosi apparentemente a un sapiente lavoro di “taglia e cuci” ma costruendo in realtà un libro appassionante, di grande ritmo, ricco di episodi inediti che gettano una nuova luce sul gruppo e sulla scena di Manchester di quegli anni.

Viene alla mente la struttura di Cronaca di una morte annunciata di Marquez dove fin dall’inizio sappiamo come andrà a finire la storia ma l’abilità dello scrittore ci porta a sperare fino all’ultimo in un finale diverso; anche qui sappiamo tutti che Ian Curtis si è suicidato il 18 maggio 1980, il giorno prima della partenza per il primo tour statunitense del gruppo, ma avvicinandoci al tragico evento che chiude il libro continuiamo a chiederci “perché sono così stupidi da non accorgersi di ciò che sta per succedere? I segnali ci sono tutti, si ripetono a intervalli sempre più brevi, fate qualcosa!” e invece niente, anche per colpa di Curtis, per il suo senso di appartenenza al gruppo, per le sue menzogne, per la sua incapacità di manifestare con forza il suo disagio psichico causato dall’epilessia e dalla devastazione della sua vita privata, divisa tra la moglie Deborah Woodruff e la  figlia Natalie e il rapporto sentimental-intellettuale con Annik Honoré.

«Avevamo messo su un gruppo rock per poter prolungare la nostra adolescenza e fare a meno di ogni responsabilità: la pensavamo così. Per accorgersi di quanto Ian stava male tra noi ci sarebbe voluto qualcuno con un minimo senso di responsabilità, ma non c’era, vedevamo le cose in un’altra maniera» – Bernard Sumner

Il libro di Savage racconta tutta la storia: Salford e Macclesfield, cittadine degradate nell’orbita di una Manchester post-industriale, il concerto dei Sex Pistols del 4 giugno 1976 alla Lesser Free Trade Hall di Manchester, la voglia di emularli, i Buzzcocks, il primo concerto come Stiff Kittens, i Warsaw, l’incontro con Tony Wilson, An Ideal for Living, i Joy Division, il gusto per l’estetica nazista (pur avendo inclinazioni politiche diverse: Curtis era sì un tory ma non certo un nazista), la scoperta dell’epilessia di Curtis tenuta “sotto controllo” con tranquillanti potentissimi, Martin Hannett, il produttore hippy con la passione per le droghe.

Unknown Pleasures, il successo di pubblico e di critica, le esibizioni incendiarie, il ballo epilettico di Curtis, "Atmosphere", "Transmission", i primi concerti all’estero, gli A Certain Ratio, i Cabaret Voltaire, l’amore per i Kraftwerk e Iggy Pop, "Love Will Tear Us Apart", la canzone pop perfetta col testo che parla della fine dell’amore tra Ian e Deborah, le tre settimane passate negli studi dei Pink Floyd per registrare Closer, i testi che manifestano un disagio inascoltato, la copertina di Saville con la fotografia di Bernard Pierre Wolff della tomba della famiglia Appiani nel cimitero monumentale di Staglieno di Genova, i preparativi per il tour statunitense, il suicidio di Ian.

«Per certi versi, in Unknown Pleasures Ian è ancora un ragazzo a cui piacciono Ballard e Burroughs. È l’album di un giovane che si affaccia sul mondo e vuole conquistarlo, mentre Closer è l’opera di qualcuno che si ritira dal mondo. In pratica Closer è stata la realizzazione di Unknown Pleasures» – Paul Morley, giornalista musicale

Una storia breve, una luce bruciante, il sole e tutto il resto: con questo lavoro Jon Savage si riconferma uno dei critici musicali più importanti degli ultimi cinquant’anni.

«A livello personale, sono io che cerco di rendere come mi sono sentito quando li ho visti e di come erano potenti. Più passa il tempo e più sono convinto che loro furono il gruppo più potente che io abbia visto nella mia vita» – Jon Savage

 

 

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