I 10 migliori dischi del 2025 di Luca Canini
Dove ci porta il jazz del 2025? Fin dove ci si può spingere?
17 dicembre 2025 • 6 minuti di lettura
Tracce di vita sparse ma significative sul pianeta jazz. Raccontate in dieci dischi che riassumono un anno di esplorazioni ad ampio raggio.
Un'ipotesi di best of che non ha pretese enciclopediche ma che serve solo a fissare alcuni punti fermi in un panorama sempre più composito e frastagliato. Tutti a bordo e che il viaggio abbia inizio.
1. Cosmic Ear, Traces (We Jazz Records)
Nel nome di Don Cherry. Spirito guida da sempre per il sassofonista Mats Gustafsson, che al profeta del jazz mondialista ha dedicato persino una band (The Thing, titolo di uno dei brani di Where Is Brooklyn?); compagno di avventure dal vero per l'ultraottantenne Christer Bothén, che fu tra i discepoli di Cherry nel buen retiro scandinavo e che da allora porta avanti con ostinata perseveranza la sua idea di improvvisazione totale (tra pianoforte, clarinetti e strumenti africani imparati sul campo).
A completare il quintetto le trombe di Goran Kajfeš, altra scheggia felicemente impazzita della scena nordica, il basso di Kansan Zetterberg e le percussioni speziate di Juan Romero. Risultato: sei divagazioni tra free e spiritual che raccontano di un'epoca in cui tutto, ma davvero tutto, sembrava a portata di azzardo.
Garantisce la finlandese We Jazz, da un bel pezzo ormai in evidente stato di grazia.
2. Chicago Underground Duo, Hyperglyph (International Anthem)
Il ritorno che stavamo aspettando, dopo una decina d'anni pienissimi di altre cose sia per Rob Mazurek che per Chad Taylor. Respiro e motore di un sodalizio che ha fatto davvero epoca e che ha ridefinito il suono della Chicago della diaspora anni Novanta. Dove eravamo rimasti? All'infilata Boca Negra, Age of Energy e Locus che sembrava avere schiuso definitivamente ogni orizzonte possibile al duo.
Hyperglyph da lì riparte spingendosi persino oltre, in una sintesi travolgente di free da barricata, elettronica pulsante, astrazioni tropicaliste e ritmi indiavolati (sparatevi a tutto volume il brano che dà il titolo al disco e vediamo se vi riesce di non ballare). Citofonare International Anthem, ovviamente.
3. Steve Lehman Trio + Mark Turner, The Music of Anthony Braxton (PI Recordings)
Metti una sera a Los Angeles con il trio di Steve Lehman (Matt Brewer al contrabbasso, Damion Reid alla batteria), Mark Turner a fare la seconda ancia e il genio di Anthony Braxton a confezionare la scaletta. Senza trucchi e senza filtri, una notte live da paura pensata come omaggio agli ottant'anni del maestro e fissata su disco dalla PI come si conviene a una sventola del genere (suono asciutto, zero fronzoli).
Di Lehman giusto citare anche il fantastico Thereupon e il ritorno del trio Fieldwork (con Vijay Iyer e Tyshawn Sorey), ma qui si brucia a ben altre temperature.
4. Patricia Brennan, Of the Near and Far (Pyroclastic Records)
C'è tutto un mondo che gira intorno a Patricia Brennan e che nel 2025 sembra avere deciso di spendersi per la consacrazione definitiva della vibrafonista di origini messicane. Se fate un giro dalle parti di Brooklyn, terra promessa del nuovo jazz alla newyorchese ormai da quasi vent'anni, il nome della Brennan spunta un po' ovunque: nel citatissimo About Ghosts di Mary Halvorson; in zona Tomas Fujiwara nel più che riuscito Dream Up; nell'ultimo lavoro di un altro talento indiscutibile come Adam O'Farrill, For These Streets.
Aderenze e sovrapposizioni che raccontano di una scena vera, di una comunità che si vede come una cosa sola e che pensa musica all'unisono. La scelta cade su Of the Near and Far per la maggiore varietà delle soluzioni, per la felice vena sperimentale (di mezzo c'è anche un quartetto d'archi), ma la citazione nel best of dell'anno vale per tutta la famiglia allargata.
5. [Ahmed], [Sama'a] (Audition) (Otoroku)
Si sono fatti aspettare gli [Ahmed] prima di concedersi a uno studio di registrazione. Diventati quartetto nel 2014 sul palco del Cafe Oto di Londra, Pat Thomas (pianoforte), Seymour Wright (sax contralto), Antonin Gerbal (batteria) e Joel Grip (contrabbasso) escono finalmente dalla dimensione live con un disco che sa di nuovo debutto e che ricalca brano per brano la scaletta di Jazz Sahara di Ahmed Abdul-Malik, musicista che la band ha scelto come punto di riferimento non solo per il nome e che all'epoca, 1958, era il contrabbassista di Monk.
La formula rispetto al solito non cambia: minimalismo free jazz snocciolato con piglio avanguardista e ostinazione terroristica, in un gioco crudele di sfasamenti e reiterazioni che è la cosa più jazz e allo stesso tempo meno jazz che vi possa capitare di sentire.
Poco convinti? Provate a rincarare la dose con Hikmah di Pat Thomas, piano solo che un posto a margine nel best of dell'anno se lo merita eccome.
6. Otherlands Trio, Star Mountain (Intakt Records)
Di Darius Jones non ce n'è mai abbastanza. Un anno fa, più o meno di questi tempi e in questo stesso spazio, si celebrava la bellezza di Legend of e'Boi, inserito tra i magnifici dieci del 2024; stavolta tocca a Star Mountain, accreditato al trio completato dal contrabbasso di Stephan Crump e dalla batteria di Eric McPherson.
Un terzetto di campionissimi che apparecchia il tavolo jazz a una prima volta dal gusto classico, quasi antico, ma dal respiro inconfondibilmente moderno. Su tutto e tutti il sassofono contralto di Jones, tra le voci più riconoscibili e potenti della generazione di mezzo.
7. SML, How You Been (International Anthem)
Dietro l'acronimo SML (Small Large Medium) si nascondono alcune delle menti meno raccomandabili della nuova Los Angeles: Anna Butterss, Josh Johnson (entrambi agli ordini di Jeff Parker nell'ETA IVtet), Jeremiah Chiu, Booker Stardrum e Gregory Uhlmann.
Tutti insieme elettronicamente per un'opera seconda che conferma l'orgogliosa militanza post-jazz della band californiana, perfettamente calata nella parte del gruppo-meraviglia che può arrivare ovunque senza mai consegnarsi in toto a questa o quella definizione. Se state cercando qualcuno che vi spieghi fino a dove ci si può spingere partendo dall'idea che si sta suonando jazz, l'avete trovato.
8. Anna Högberg Attack, Ensamseglaren (Fönstret)
Buono anche il bis per gli Attack di Anna Högberg, di nuovo in studio a cinque anni di distanza dal clamoroso Lena. Due lunghe improvvisazioni, una per facciata del vinile, con il sestetto di allora raddoppiato nel numero dei musicisti coinvolti e con le coordinate decisamente spostate verso il baccanale.
Noise-jazz all'arma bianca che punta sulla densità dell'impasto sonoro e sull'intensità per arrivare dritto in faccia come un cazzotto ayleriano. Porgete la guancia che al resto ci pensano loro.
9. The Ancients, The Ancients (Eremite Records)
Niente di nuovo sotto il sole del jazz, d'accordo, ma trovatemi un trio che sviluppi la potenza emotiva di quello formato da Isaiah Collier (sax tenore), William Parker (contrabbasso) e William Hooker (batteria) e poi ne riparliamo.
Quattro cavalcate sotto forma di sermone che fin dal nome della band si mettono consapevolmente in scia a padri, antenati e giganti (viene in mente Touchin' on Trane di Charles Gayle, ma ognuno è libero di pregare i santi che preferisce); venti minuti abbondanti a traccia per un viaggio al centro del free che è nato come omaggio a Milford Graves e che solo in un secondo momento ha preso la sembianze di un gruppo stabile.
Pentitevi di tutta la roba inutile che ascoltate e anche voi sarete salvati.
10. Linda May Han Oh, Strange Heavens (Biophilia Records)
A volte non bastano dei grandi musicisti per fare un grande disco, a volte invece sì. D'altronde chiamando in causa Ambrose Akinmusire (tromba) e Tyshawn Sorey (batteria), Linda Oh e il suo contrabbasso sono andati più che sul sicuro. Bastano un paio di pezzi per rendersene conto: jazz d'altissima quota che si prende tutta la libertà che serve per volare altissimo e per essere free nelle intenzioni più che nelle geometrie delle forme.
Adesso però dateci qualcosa di più solido dell'uscita digitale. Aspettiamo fiduciosi e nel frattempo ci consoliamo con Honey From a Winter Stone di Akinmusire, che fino all'ultimo è stato in lizza per entrare nei magnifici dieci.