I 10 migliori album del 2025 di Enrico Bettinello

Fra canzoni dal continente americano e nuovo jazz europeo ci si sorprende ancora

EB

17 dicembre 2025 • 5 minuti di lettura

Annahstasia
Annahstasia

Rileggendo la mia introduzione ai 10 migliori album dello scorso anno, mi rendo conto che mi sono già giocato allora un po’ di facezie per sdrammatizzare e de/ricontestualizzare questo giochino che le algoritmiche giornate di chi segue un po’ di parole attorno alla musica si ritrova immancabilmente tra i piedi nelle ultime settimane dell’anno.

Che poi forse, in fondo, non servono nemmeno troppi distinguo: l’ascolto generale è ormai prevalentemente polverizzato in playlist e piattaforme, ma un’idea solida e significativa di senso per i progetti nella loro completezza sembra - per fortuna - non svanire e quindi, se siete qui, mi sa che avete cliccato sull’immaginario accetto le condizioni e quindi magari qualcosa di interessante si trova.

E allora, come ogni anno, buoni 10 dischi del 2025 a tutte e tutti!

1. Cosmic Ear, Traces (WeJazz)

Non dovrebbe più sorprendere quanto alcune figure del jazz creativo emerse negli anni Sessanta e Settanta del Novecento continuino a essere di fondamentale ispirazione. E non parliamo dei soliti Miles Davis, Coltrane e co, ma di figure come quella del trombettista Don Cherry, nume tutelare del progetto Cosmic Ear, mette insieme alcuni eccellenti esponenti del jazz scandinavo, dall’ormai ottantenne Christer Bothen - che con Cherry ha suonato - a Mats Gustafsson, passando per Goran Kajfes, Kansan Zetterberg e Juan Romero.

Il disco coglie appieno lo spirito della musica di Cherry, con un impianto sinceramente spirituale e il colorato utilizzo di percussioni e strumenti di provenienze extra-occidentali, ma lo fa senza alcun passatismo, immergendo anzi questa pratica dentro un’urgenza totalmente contemporanea.

Piccolo capolavoro.

2. Annahstasia, Tether (Drink Sum Wtr)

Che voce pazzesca ha Annahstasia (da non confondere con la quasi omonima)! Muovendosi tra folk, soul e cantautorato, con un taglio spiccatamente acustico e intimo che fa risaltare i temi personali dei testi, le fragilità e le insicurezze, “Tether”si è rivelato uno dei progetti più immediati del 2025, uno spazio di confidenza e sincerità che certo esalta al meglio le doti della musicista di Los Angeles.

Tra Terry Callier, Tracy Chapman e Nina Simone. Dritta al cuore!

3. yvonne moriel :: sweetlife, Sweetlife III (autoprodotto)

Dopo un paio di eccellenti EP, uno dei nomi più nuovi e eccitanti del jazz austriaco, la sassofonista Yvonne Moriel, approda col suo quartetto a un progetto che ne conferma l’originale organicità, tra jazz, dub ed elettronica, improvvisazione libera e beat  di derivazione hip hop.

Se una delle chiavi per trovare spazio con la propria voce nella giungla produttiva è parlare con chiarezza la lingua del proprio tempo, Yvonne lo fa senza alcuna esitazione. E l’esito è bellissimo.

4. Zé Ibarra, AFIM (Mr. Bongo)

Entra con eleganza, la voce di Zé Ibarra, ennesimo talento della musica popolare brasiliana. Inutilmente tassonomico snocciolare la lista degli ingredienti sonori, che convivono con la naturalezza che solo le produzioni pop più lucide sanno garantire senza farlo vedere. 

Le canzoni sono semplici e sontuose al tempo stesso e la qualità della musica è così scintillante che gli si perdona la terribile foto di copertina. Seducente. 

5. Rahsaan Roland Kirk, Seek & Listen. Live At The Penthouse (Resonance)

Nel deserto del Turkmenistan c’è un cratere di gas che brucia ininterrottamente dal 1971. Gli inediti che la Resonance tira fuori ogni anno sono un po’ la “Porta dell’inferno” (questo il nome del cratere) del jazz: tra quelli del 2025 spicca questo live del quartetto del pirotecnico Rahsaan Roland Kirk, con il suo approccio totale alla musica.

Un doppio gioiellino tutto da gustare! 

6. Knobil, Knobilive in Cully Jazz (Live) (Unit)

E’ una forza della natura, la contrabbassista e cantante svizzera Louise Knobil, alla guida di un trio con clarinetto basso e batteria.

Dal vivo la sua forza teatrale è piuttosto irresistibile e non è un caso che il live al Festival di Cully sia diventato un disco: tra testi buffi, riflessioni sentimentali, swing, improvvise accelerazioni soliste e increspature timbriche, uno dei progetti jazz europei più freschi e immediati di questi anni.

Provare per credere!

7. SML, How You Been, International Anthem

Mi era piaciuto anche il disco d’esordio di questo quintetto composto dalla bassista Anna Butterss con Jeremiah Chiu ai synth, Josh Johnson al sax, Booker Stardrum alla batteria e Gregory Uhlmann alla chitarra.

Qui il lavoro è costruito su registrazioni che derivano da concerti dal vivo e poi sottoposte a un processo di post-produzione e mi sembra ancora più a fuoco e coeso. Come da ricetta (la rivista The Quietus definisce questo lavoro un “banchetto ipnotico”), al jazz si mescolano in modo organico elettronica, ambient, kraut-rock e funk.

No limits.

8. James Brandon Lewis Quartet, Abstraction Is Deliverance (Intakt)

Non si sfugge: nonostante la sua iconica centralità sembri a volte vacillare nel multilinguismo del jazz di oggi, il sassofono tenore, quando è nelle mani giuste, ha sempre un impatto pazzesco.

James Brandon Lewis le sta azzeccando tutte: potente, spirituale, convinto, si circonda degli elementi giusti (qui il quartetto con Aruàn Ortiz, Brad Jones e Chad Taylor è di statura e telepatia coltraniana, fidatevi) e si sta affermando come un altro indispensabile punto di riferimento per la tradizione afroamericana.

Commovente.

9. operazioni, REvolution (A Tree In A Field)

Lavoro da vera outsider, questo. Dietro il nome operazioni troviamo infatti l’artista svizzera Corinne Isabelle Rinaldis, formatasi come scultrice e attrice (prospettive che si ritrovano fortissime nel disco, che è plastico e teatrale), capace di fondere elementi di minimalismo, musica da film, jazz, cameristica e prog e mi piace molto quando a una forma si applica uno sguardo altro, ricco di elementi filosofici e scientifici, oltre che artistici.

Un concept album di nemmeno 25 minuti che mette a dialogo scienza e musica in una narrazione pop sperimentale personalissima attorno al viaggio e all’umano, tra rivoluzioni come tempo orbitante e come sconvolgimenti.

Sorprendente.

10. The Necks, Disquiet (Fish or Milk)

Quando il gioco si fa duro, il trio The Necks non si tira certo indietro. Incominciare a giocare lo hanno fatto ormai più di trent’anni fa e le loro performance labirintiche sono ormai di culto in tutto il mondo, dal vivo e su disco.

Questo triplo (da ascoltare senza seguire necessariamente un ordine) conferma l’unicità del loro minimalismo iterativo e scintillante, qui anche acceso da bagliori elettrici.

Esperienza trasformativa.