Goran Bregovic, musica per viaggiare (e per fare festa)

Intervista a Goran Bregovic, che sarà a UlisseFest – il festival del viaggio di Lonely Planet – il 15 luglio, unica data gratuita del tour italiano

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Goran Bregovic
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I musicisti viaggiano da sempre, per scelta esistenziale o per necessità contingente. UlisseFest, la Festa del Viaggio di Lonely Planet – che approda a Pesaro dal 15 al 17 luglio per la sua quinta edizione – non può dunque che celebrarli e raccontarli, insieme a fotografi, scrittori, giornalisti e content creator.

– Leggi anche: UlisseFest ritorna ad “Ascoltare la Terra”

Fra i musicisti-viaggiatori che più hanno segnato gli ultimi decenni delle musiche del mondo c’è senza dubbio Goran Bregovic, instancabile frequentatore di palchi con la sua Wedding and Funeral Band. Il suo sound, maturato negli anni novanta all’incrocio fra le fanfare balcaniche e il rock, che frequentava con la band Bijelo Dugme ancora ai tempi di Tito, si è inizialmente legato alle musiche per i film di Emir Kusturica. Diventato noto grazie al cinema, Bregovic è allora partito per la sua personale ricerca sulle musiche della penisola balcanica, affermandosi come musicista completo, interessato a esplorare – dalla sua posizione di “periferico” – tutte le possibilità della composizione, con mente aperta e inesausta voglia di divertire. Dalla Notte della Taranta al Concertone del Primo Maggio al Ravenna Festival, Bregovic è stato spesso ospite anche in Italia, vero aficionado dei palchi estivi del nostro Paese.

Per UlisseFest, Goran Bregovic si racconterà in una conversazione pubblica il 15 luglio (ore 18.30, Piazza Collenuccio), in attesa del concerto serale gratuito, unica data free del suo tour italiano (ore 22 nella bellissima Piazza del Popolovale pena arrivare in anticipo).

Per prepararci, lo abbiamo intervistato.

Veniamo da un periodo molto duro per tutti, in particolare per i musicisti. Come hai passato gli ultimi due anni, senza poter girare in tour? Hai composto nuova musica?

«Passare due anni fermo, per chi come era abituato a suonare decine di concerti al mese, è stato un cambiamento non da poco… Credo sia anche stata un’opportunità per scoprire, infine, che non è poi così male restare in un posto solo, vivere in una sola casa, passare del tempo in giardino... Ovviamente, ho lavorato a musica nuova: ho almeno due dischi pronti, credo. In febbraio o marzo dell’anno prossimo dovrebbe uscire per Decca un nuovo album intitolato Belly Button of the World, sarà un disco di musica orchestrale».

Il tuo ultimo lavoro discografico è Three Letters from Sarajevo, che era stato anticipato dalla presentazione al Ravenna Festival 2019 del Concerto per tre violini solisti, orchestra sinfonica, coro maschile e orchestra per matrimoni e funerali From Sarajevo

«Sì, poco prima del Covid. Three Letters from Sarajevo raccoglie la musica che ho scritto per alcuni dei miei artisti ebrei, cristiani e musulmani preferiti, i violinisti Gershon Leizerson da Israele, Mirjana Neskovic dalla Serbia e Zeid Zouari dalla Tunisia. Sai, il violino è stato il mio primo strumento, ed è interessante perché ha, come dire… un valore metaforico importante. È suonato in tre modi principali: quello “cristiano”, con cui suoniamo la musica classica, quello “ebreo” che ha una tecnica completamente diversa, così come quello tipico della musica araba. Quindi l’idea era di scrivere un concerto per tre violinisti che venivano da queste tre tradizioni».

A proposito di Sarajevo. La città  – la tua città – è molto cambiata negli ultimi decenni, fra turismo, eventi culturali… Cosa è rimasto della “vecchia” Sarajevo, quella di prima della guerra?

«Sfortunatamente la guerra ha separato le persone. Dal lato serbo, rimangono davvero pochissimi musulmani e sul lato bosniaco pochissimi cristiani. Penso che questo sia temporaneo, però: non potrà essere così per sempre, in un mondo che è sempre più mescolato. È impossibile che sia così nel futuro, ma al momento è ancora così».

La tua musica, soprattutto quella degli anni novanta, si lega a un immaginario sonoro che è stato molto di moda per un certo periodo. Come giudichi a posteriori quella sbornia di gipsy-brass? La tua storia dimostra che in fondo si sopravvive anche alle mode…

«Devo dire che sono stato molto sorpreso, all’epoca, quando la nostra musica è diventata di moda… e ancora oggi ci sono migliaia di DJ in Europa, o in Sudamerica, che lavorano con la musica balcanica, perché è allegra, eccitante. E non porta solo la musica, ma anche la pazzia. La pazzia non è mai abbastanza in questo mondo».

«La pazzia non è mai abbastanza in questo mondo».

«E sì, c’è ancora un pubblico per la mia musica: suono nei posti più diversi, dall'Islanda alla Siberia a Hong Kong, la Nuova Zelanda, ovunque. Il che significa che il mondo è curioso di scoprire, non solo me ma altri compositori. Naturalmente, io scrivo musica e cerco di essere un compositore “contemporaneo” che viene da un posto che è molto lontano dalla nostra musica “contemporanea”, che è musica di cento anni fa…

A proposito di immaginario. Credo che quella musica abbia contribuito a costruire un’idea della musica balcanica come di feste sfrenate, follia e alcol. È così? Ti riconosci nell’idea di aver composto party music? E guarda, per me è un grandissimo complimento.

«Sai, vengo da una tradizione per cui la musica è sempre stata musica per bere. Non è come da voi… ai tempi di Monteverdi e delle prime opere noi avevamo solo gli strumenti per raccontarci storie e bere… Se vuoi essere un compositore importante nei Balcani, significa che devi fare o devi aver fatto della drinking music. Io l’ho fatto».

«Se vuoi essere un compositore importante nei Balcani, significa che devi fare o devi aver fatto della drinking music. Io l’ho fatto».

«Probabilmente ho fatto almeno un paio di cose di cui essere orgoglioso, ma una di quelle che mi rende più fiero è che so che i gruppi di ottoni dei musicisti zingari dei Balcani, quelli che vanno a suonare nei fine settimana per fare qualche soldo, per sfamare i loro figli, suonano le mie canzoni. Questo mi rende orgoglioso».

Tu hai scritto, in passato, per il cinema e ancora oggi alcune delle tue composizioni più amate sono musiche pensate per film. C’è un momento, nel documentario di Gabriele Tornatore dedicato a Morricone uscito qualche mese fa, in cui Nicola Piovani chiede a Morricone «Ti sei convinto che la musica da film è stata la grande musica del 900 tout court?» «Comincio a farci un pensiero» gli risponde Morricone. La musica da film è stata la grande musica del Novecento? È questo che lasceremo ai nostri nipoti e pronipoti?

«La mia carriera come compositore di musica da film è stata in realtà abbastanza breve, perché sono arrivato tardi all’industria del cinema. Sulla possibilità che la musica da film possa essere la musica d’arte dei nostri giorni… in realtà è diventata un prodotto. Non vedo gli autori più “seri” di oggi lavorare nelle colonne sonore. Oggi i compositori di musica da film sono perlopiù illustratori: i film oggi non hanno bisogno di veri compositori come un tempo. Naturalmente ci sono film che hanno musiche bellissime, ma sono sempre meno. Non ricordo quando ho sentito l’ultima volta una musica veramente ben composta fatta per un film…».

Cosa ascolti in questo periodo, quando non suoni?

«Sai, anche se fai il lavoro più bello del mondo, non lo continui a fare sempre… Un compositore quando arriva a casa non continua a fare le cose che fa tutto il giorno!».

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