Giocare con la melodia

Il trio di Giovanni Guidi esordisce per la Ecm: l'intervista

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Lo abbiamo conosciuto nel quintetto di Enrico Rava. E nonostante la giovane età, si sta dimostrando un musicista al tempo stesso sensibile e originale. Parliamo di Giovanni Guidi, il pianista umbro che aggiunge ora a una discografia già significativa come leader (ricordiamo in particolare il lavoro con la Unknown Rebel Band e quello in quintetto We Don't Live Here Anymore, entrambi per la CamJazz), un nuovo disco in trio per la Ecm, City Of Broken Dreams. Non è difficile immaginare i motivi per cui l'etichetta bavarese ha trovato interesse nel lavoro di Guidi: il suo pianismo sa essere spesso meditabondo e la sua musica è dotata di un senso dello spazio che rimanda talvolta a esperienze espressive nordeuropee. Sarebbe però riduttivo ricondurre la musica del trio - che è completato da Thomas Morgan e da João Lobo - a un solo riferimento estetico: le composizioni di Guidi sono organismi in cui convergono dinamiche musicali differenti e che hanno il pregio di restituirne di nuove, in un dialogo ininterrotto tra i tanti elementi lessicali di una formula, quella del piano trio, che ha una storia e una tradizione davvero ingombranti.

Abbiamo chiesto a Giovanni Guidi di raccontarci questo nuovo lavoro, in particolare come sono nati i temi e come sono costruite le loro dinamiche strutturali all'interno del trio.
«Mi sono ispirato ai bambini che giocano - ci racconta. «Ho sempre avuto l'impressione - e sono certo che almeno per me fosse cosi - che il momento del gioco nella vita quotidiana di un bambino sia quello in cui si dimostra più serio e rigoroso. Ho così scritto temi molto semplici (che evocano a volte anche ninnenanne o canzoncine per bambini), ma che possono essere esplorati in tanti modi diversi e appunto con il massimo del rigore e del divertimento al tempo stesso. Quanto dico "divertimento" parlo di divertimento puro, in un certo senso, della gioia. Sono brani semplici anche dal punto di visto armonico, e questo permette al contrabbasso di creare ogni volta una propria griglia armonica attraverso la quale posso improvvisare con massima libertà, trovandomi sempre estremamente a mio agio. Anche l'idea di pulsazione ritmica che la batteria può offrire cambia di volta in volta in questo modo. Essendo strutture molto aperte, è facile poi vengano influenzate da tanti fattori, come ad esempio il suono della sala in cui suoniamo o i nostri rispettivi stati d'animo».

Da qualche tempo il contrabbassista delle tue formazioni è Thomas Morgan. Ci racconti brevemente come funzionano le dinamiche tra voi e come cambiano a seconda che dietro i tamburi suonino João Lobo o Gerald Cleaver?
«Con Thomas ho un rapporto speciale, una sintonia tale che ci permette anche di non parlare mai di musica, soprattutto di quella che suoniamo noi. Ha una sensibilità straordinaria e suonare insieme a lui è sempre emozionante. Il modo di suonare a seconda dei batteristi è abbastanza diverso, ma credo lo sia soprattutto perché con uno suono in trio e con l'altro in quintetto. In ogni caso si tratta di due coppie straordinarie».

Rispetto a quella di altri musicisti della tua generazione, la tua musica mi sembra a volte più delicata e malinconica, meno spigolosa, più nordica. È qualcosa che ha a che fare con il tuo carattere o si tratta di una scelta artistica precisa?
«Credo che le scelte che lentamente ho fatto da un punto di vista artistico abbiano anche molto a che fare con il mio carattere, sì».

Mi dici rapidamente la tua opinione su "colleghi" di strumento su cui la Ecm sta giustamente puntando, come Taborn, Virelles o Jason Moran?
«Per quanto riguarda Taborn, credo che nella sua musica si sentano riferimenti con quasi tutto quello che esiste di contemporaneo, ma anche un fortissimo legame con la tradizione, soprattutto in trio. Credo che oggi una delle strade importanti del jazz sia questa. Per quanto riguarda Jason Moran mi piace pensare a lui come erede di un pianista che amo molto, Jackie Byard. Lo adoro poi quando suona le ballad, in un suo vecchio disco c'è una sua versione di "Jóga" di Björk notevolissima. Dei tre, Virelles è quello che conosco meno».

So che hai una grande curiosità musicale anche al di fuori del jazz, ad esempio nell'ambito dell'elettronica. Che tipo di stimoli ti offre in confronto con musicisti come Vladislav Delay, con cui hai collaborato?
«Innanzitutto con musicisti come Sasu Ripatti (il vero nome di Delay), si suona in altri contesti. E qui andrebbe aperta una bella riflessione: nei festival di musica elettronica c'è infatti un pubblico molto più disponibile e alla ricerca rispetto alla gran parte dei festival di jazz. Di solito noi suoniamo un'ora di seguito musica completamente improvvisata che spesso non è neanche troppo immediata, ma c'è sempre un pubblico molto giovane che si siede e cerca di instaurare un legame forte con la musica, e posso dirlo perché quando si è sul palco è davvero percepibile. Si tratta di un pubblico che magari poi sfoga i propri desideri ludici e di svago nelle dancehall durante la parte notturna dei festival, ma che sa anche offrire la disponibilità di ascoltare una musica che non ha niente a che fare con quello che si aspetta. Io credo che nei festival di jazz difficilmente questo accada».

Quali sono i tuoi prossimi progetti?
«Due progetti ai quali tengo molto sono il duo con Gianluca Petrella con il quale sto cominciando a registrare del materiale e ovviamente quello con Vladislav Delay. Poi un trio italiano con Francesco Ponticelli ed Enrico Morello».

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