Buon compleanno Enrico Rava

Abbiamo scelto 8 dischi per gli 80 anni di Enrico Rava

Enrico rava 80 anni
Enrico Rava (foto di Giorgio Luzi)
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jazz

Enrico Rava compie 80 anni. 80 anni che lasciano un segno nella storia del jazz italiano, ma non solo. Musicista curiosissimo e sensibile, Enrico Rava, capace di avventurarsi in esplorazioni e viaggi insieme a Steve Lacy e Gato Barbieri, di vivere la New York di fine anni Sessanta, per poi affermarsi come voce autorevole e ben riconoscibile del jazz europeo.

Trombettista dotato di un forte senso melodico, che dalla lezione di Miles Davis e Chet Baker si muove verso calori più mediterranei solcati da improvvise lancinanze tra noir e Morricone, Rava è un personaggio unico della nostra scena jazz, uomo che con ironia ha saputo “giocare” con il proprio ruolo di testimone di momenti storici, ma che soprattutto non ha mai perso di visto la necessità – in questo molto davisiana – di aggiornarsi, di circondarsi di musicisti giovani, da far crescere e da cui farsi suggerire nuove traiettorie.

Da Massimo Urbani a Francesco Diodati, passando per il compianto Augusto Mancinelli, Roberto Cecchetto, Giovanni Guidi, Gianluca Petrella, Stefano Bollani, solo per dirne alcuni, Rava ha sempre voluto accanto a sé forze nuove con cui percorrere nuove strade.

L’idea del viaggio, centrale in Rava, non poteva non ispirarci un piccolo percorso nella sua discografia. Una discografia folta, ovviamente – e ricca anche di curiosità che sembrano piacere più ai cultori del raro che non allo stesso Rava, come Katcharpari (cui avevamo dedicato un articolo qualche tempo fa) – da cui abbiamo selezionato 8 dischi che in qualche modo raccontano l’evoluzione dell’espressività di Rava.

Con l’augurio per tutti di andare a scoprire anche tante altre gemme incise da Rava.

Con l’augurio per Rava di un buon compleanno e di girare ancora tanti mondi!

1. Il giro del giorno in 80 mondi (Black Saint, 1972)

Ispirato dall’omonimo libro di Julio Cortàzar, questo disco – uscito dapprima per la Fonit e poi ristampato dalla Black Saint nel 1976 – vede il trombettista in compagnia di Bruce Johnson alla chitarra, Marcello Melis al contrabbasso e Chip White alla batteria.  La funkyness un po’ sporca tipica del periodo trova nelle mani di Rava una sua declinazione lirica e lancinante, andando a chiudersi con una bella versione di “Olhos De Gato” dell’amica Carla Bley.

2. The Pilgrim and the Stars (ECM, 1975)

Il debutto per casa ECM – e quindi anche l’avvicinarsi al linguaggio più segnatamente europeo che in quegli anni si andava formando – è un piccolo gioiello in quartetto con John Abercrombie alla chitarra, Palle Danielsson al contrabbasso e Jon Christensen alla batteria. Evocativo e al tempo stesso carnale, il suono della tromba di Rava trova in questo paesaggio sonoro più dilatato un habitat al tempo stesso confortevole e stimolante.

3. Quartet (ECM, 1978)

Uno dei dischi più belli dell’intera discografia del trombettista: senza strumento armonico, in quartetto con un magnetico Roswell Rudd al trombone e con la ritmica “francese” e doncherryana di Jean-François Jenny-Clark e Aldo Romano, Rava disegna alcuni dei suoi momenti più memorabili, da “Lavori casalinghi” a “Fearless Five”, passando per una fantastica versione di “Round About Midnight”. Sine qua non.

 4. Electric Five (Soul Note, 1995)

Di momenti “elettrici” Rava ne aveva già attraversati, ma quello sancito dagli Electric Five è tra i più significativi. Con il trombettista (e con l’ospite Gianluigi Trovesi) ci sono un manipolo di trentenni (poco più poco meno) con Domenico Caliri e Roberto Cecchetto alle chitarre, Giovanni Maier al contrabbasso e U.T. Gandhi alla batteria. Il repertorio si solidifica attorno ai “classici” di Rava come “Da Silva” o “Lavori casalinghi” e alla rilettura dell’amato Miles Davis (“Milestones”, “Boplicity”) o di compositori che per malinconico lirismo parlano apertamente al trombettista, come Nino Rota. La freschezza del suono delle due chitarre e dell’interplay complessivo è la chiave per un disco da riscoprire.

F

5. Rava Carmen (Label Bleu, 1995)

Nel momento in cui in Italia esplodeva la moda di rifare “in jazz” qualsiasi cosa, Rava azzecca un paio di progetti in cui dialoga con il mondo dell’opera senza cadere nelle trappole che queste operazioni presentano immancabilmente. Più che Rava l'opera va, il lavoro su Carmen è quello più riuscito, certo per l’affinità di Rava con il calore mediterraneo, ma anche grazie ai begli arrangiamenti di Bruno Tommaso e alla presenza di improvvisatori che sanno uscire dagli schemi come Michel Godard, ancora Caliri, Han Bennink o Gianluigi Trovesi, protagonista di una spettacolare versione di “La fleur que tu m'avais jetée”.

6. Montreal Diary /B (Label Bleu, 2002)

Il sodalizio con Stefano Bollani (iniziato a metà anni novanta), in gruppi più allargati o nel popolare formato del duo, racconta al meglio sia la capacità di Rava di individuare sempre le risorse giovani più empatiche e stimolanti, che quella sorniona giocosità che sottotraccia guida le scelte della maturità del trombettista. Tanti i dischi incisi dai due, anche per ECM, ma la freschezza dal vivo di questo concerto canadese restituisce al meglio la forza (anche un po’ “gigiona”, va da sé) del sodalizio.

7. New York Days (ECM, 2009)

Il legame con gli USA non si scorda mai. In questo elegante lavoro il sax tenore di Mark Turner si rivela interlocutore perfetto per quel gioco di “dentro e fuori” dal lirismo che è tipico della musica di Rava. Bollani tenuto a freno nel suo protagonismo si conferma strumentista di vaglia, sospinto da Larry Grenadier e Paul Motian. Raffinato. 

8. Wild Dance (ECM, 2015)

L’attenzione ai giovani più promettenti non passa con gli anni: dopo Bollani, Gianluca Petrella, Giovanni Guidi (presente nel precedente Tribe), Rava scommette su talenti freschissimi come Francesco Diodati (chitarra), Gabriele Evangelista (contrabbasso) e Enrico Morello (batteria), con cui suona a lungo dal vivo e incide questo disco in cui la riflessione più matura si impasta al meglio con le energie delle nuove generazioni.

 

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