Bill Evans, Wes Montgomery e altri (meno celebri) eroi

Inediti riscoperti dagli anni d'oro di Bill Evans e Wes Montgomery, rocambolescamente "salvati" dai collezionisti e ripubblicati da Resonance

Bill Evans - Wes Montgomery - inediti Resonance
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In questo articolo potrete scorgere tre livelli di eroi.

Un primo livello è quello di chi, in un modo o in un altro, si trova a documentare o preservare momenti di grande valore artistico e storico. In questa storia, a questo livello appartengono Leon Terjanian e Carroll DeCamp.

Il secondo livello è quello di chi ripropone questi momenti e li rende disponibili a tutti. Qui si tratta di Zev Feldman.

Al terzo livello, quello apparentemente più ovvio, appartengono i musicisti protagonisti di quei momenti. Bill Evans e Wes Montgomery.

Dopo i titoli di testa, procediamo con ordine.

Sto parlando di due nuovi, eccellenti, inediti pubblicati dalla ResonanceEvans In England Back On Indiana Avenue. The Carroll DeCamp Recordings. Arrivano come al solito sotto forma di eleganti cofanetti (2 cd ciascuno), correlati di un bel libretto cicciotto di interviste e saggi, com’è nell’abitudine di Feldman, il cui fenomenale fiuto per i materiali d’archivio è stato non a caso accalappiato nei mesi scorsi anche dalla Blue Note.

L’ordine di apparizione prevede qui l’entrata in scena di Teranjan. Da Strasburgo, Francia. Bel nome da caratterista, sorriso gioviale, rubricato sotto l’etichetta “trench coat tape collector”, uno di quegli appassionati un po’ pignoli che si aggirano per i club e i festival. 
Teranjan contatta Feldman e gli dice di possedere alcuni nastri inediti di Bill Evans che suona al Ronnie Scott’s di Londra nel dicembre del 1969.

Teranjan è un grande appassionato di Evans, ha girato anche un breve film sul pianista, seguendolo a Lione nel 1978, ma questi nastri non li ha registrati lui, che a Londra in quel dicembre 1969 nemmeno c’era. Li ha registrati uno storico fan francese, che qui rimane anonimo, uno che ha seguito Evans in Europa costantemente da quel 1969 fino all’agosto 1980, un mese prima della morte del pianista.

I giri dei collezionisti sono così. Anzi erano così in un’epoca in cui bisognava guadagnarsi la fiducia dell’altro, convincerlo a fare una copia della cassetta, una cassetta che spesso era frutto di occultamenti più o meno tollerati di microfoni e registratori che pesavano qualche chilo, mica un Samsung sventolato allegramente sopra le teste dei presenti.

Insomma, sia come sia, Teranjan contatta Feldman e al nostro non par vero: due dischi pieni di materiale inedito, materiale che testimonia un momento chiave nel consolidarsi di quello che sarebbe stato il trio di Evans per un bel po’ di anni, quello con Eddie Gomez al contrabbasso e Marty Morell alla batteria.

Si tratta di due set davvero interessanti: non solo infatti la bella alchimia tra Evans e la sezione ritmica si consolida con naturalezza (in quelle settimane Morell viene contattato dalla Paiste e si “converte” al flat ride, piatto che gli consente di non sovrastare o sporcare il suono del piano), ma il tutto è anche un bell’esempio di come l’atmosfera di un club possa influenzare la musica.

In un luogo come il Ronnie Scott’s, familiare e confortevole, ma anche una sfida per ogni artista, si può ascoltare un trio di Evans che si muove con una certa spavalderia, lasciando da parte eccessivi ripensamenti lirici: i pezzi sono presi con immediatezza (sentite qui “Waltz For Debby”), a volte con metronomi un po’ più veloci di quanto siamo abituati a ascoltare su disco, con scambi pirotecnici e una guizzante energia che si rivela subito contagiosa.

Anche il nuovo cofanetto dedicato al chitarrista Wes Montgomery nasce da una storia che vale la pena di essere raccontata brevemente. I nastri, registrati dal pianista e arrangiatore di Indianapolis Carroll DeCamp, sono stati riversati su DAT alla fine degli anni Novanta da Jamey Aebersold – proprio lui, l’educatore che si è arricchito con i dischi cui si poteva suonare sopra! – e per fortuna, dal momento che un incendio successivo li ha distrutti nell’archivio di DeCamp.

I due dischi contengono materiali da diverse sedute (non ci sono date precise, ma si tratta della fine degli anni Cinquanta, qualcuno forse anche nel 1960, come ha notato Mike Myers nel suo blog), in quartetto con il piano, in trio con l’organo, in sestetto con sax tenore e trombone e in trio senza batteria, in quella che è conosciuta come la formazione alla Nat King Cole.

È, specialmente nel primo disco, un Montgomery che chiaramente sta “scaldando i motori” per (o durante) i due primi, fantastici, dischi incisi per la Riverside: non a caso nel repertorio troviamo cose come “Whisper Not”, “Ecaroh”, “Round Midnight”, ma anche gli originali “Four On Six”, “Mr Walker” o “West Coast Blues”, tutti temi che sono presenti sia in The Wes Montgomery Trio che in The Incredible Jazz Guitar of Wes Montgomery.  Vera delizia per tutti gli appassionati.

Non solo Evans e Montgomery sono quindi gli “eroi” di storie che oggi ci deliziano: anche Terjanian (e il misterioso collezionista francese, magari all’epoca mal sopportato da altri avventori e preso a male parole da qualche musicista non disponibile) e DeCamp, che con la loro voglia di testimoniare cosa stava accadendo rendono possibile oggi tuffarsi nella Londra o nell’Indiana di cinquanta, sessanta anni fa.

E ovviamente Feldman, che in un’epoca di smania ristampatoria spesso un po’ autoreferenziale, mantiene salda la barra della qualità e soprattutto quell’indole da detective d’altri tempi che non abbandona nessun indizio pur di riuscire nella sua impresa.

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