Dal Mali al Mediterraneo con Baba Sissoko

Intervista a Baba Sissoko, "griot sociale" e sperimentatore dello ngoni

EB

06 ottobre 2025 • 7 minuti di lettura

Foto RicPic
Foto RicPic

Mai soddisfatto dell’ordinario, Baba Sissoko – artista maliano dei cui dischi ci siamo interessati più volte su queste colonne – ha iniziato il suo personale viaggio musicale a Bamako molti anni fa. Portando sulle spalle l’eredità di una dinastia leggendaria di griot e ripetendo a sé stesso che «il traguardo è sempre più vicino ma non l’ho ancora raggiunto», ha superato tutti i confini, collaborando e registrando con artisti di primo piano quali Youssou N'Dour, Ry Cooder, Buena Vista Social Club, Omar Sosa, The Art Ensemble Of Chicago, e diventando nel 2018 il primo musicista maliano a essere insignito dell’Obaland Award in quanto miglior strumentista jazz africano dell’anno.

All’età di 63 anni Baba Sissoko continua a esplorare nuovi suoni, arrivando a trasformare elettronicamente il suo ngoni – strumento tradizionale a corda tipico dell’Africa occidentale - in uno strumento solista dal suono selvaggio.

Con il suo arsenale di strumenti costruiti a mano, Sissoko ha creato un cammino mistico seguito come la coda di una cometa dalla figlia Djana, cantante dalla scintillante voce con coloriture soul.  

Dopo un’estate ricca di esibizioni dal vivo, ci piace segnalare due appuntamenti autunnali: il primo avrebbe dovuto essere sabato 4 ottobre a Lecce, all’interno di SDAF – Stato Dell’Arte Festival, ma mentre stavo dando gli ultimi ritocchi a questo articolo mi è giunta la notizia del suo spostamento a data da destinarsi (comunque dovrebbe essere ancora in ottobre o, al massimo, all’inizio di novembre, la data esatta sarà comunicata sulla pagina ufficiale di SDAF), mentre del secondo parlerò più avanti. 

Questi due concerti ci hanno dato lo spunto per una chiacchierata con l’artista.

Quest'anno l'album di Africa Express è stato uno dei miei “dischi dell'estate”: può dirmi qualcosa sulla realizzazione del disco e sul tour? Come ha conosciuto Damon Albarn?

«Ho incontrato Damon Albarn a Parigi al Théâtre du Châtelet per lo spettacolo Le vol du Boli, nel quale interpretavo il ruolo del Griot»

«Da allora, ho condiviso molti momenti davvero preziosi con lui e si è instaurata una fiducia reciproca così forte che nel corso del tempo l’ha portato a invitarmi a partecipare ad altri progetti musicali. Damon è un artista estremamente aperto e disponibile. Io sono un Griot sociale, quindi l'incontro ha funzionato immediatamente».

«Dopo Parigi, mi ha invitato nei Paesi Bassi per un progetto con un'orchestra, poi a unirmi al collettivo Africa Express in Messico. L'esperienza con Africa Express è stata incredibile: una settimana in mezzo alla natura con musicisti da tutto il mondo. Dovevamo preparare un concerto di sette ore, ognuno contribuendo con una o due canzoni e scegliendo i musicisti che desiderava coinvolgere nell’esecuzione. Dopo il concerto siamo rimasti due giorni in più per registrare l'album. Damon aveva portato diversi studi mobili, quindi c'erano sessioni di registrazione ovunque. In mezzo alla natura, nelle camere d’albergo, ovunque… Per esempio, avevo già scelto le due canzoni che volevo interpretare per il concerto e le persone che avrei invitato. Ho scelto Fatoumata Diawara per una e Luisa Almaguer per l'altra. Per l'album, abbiamo scelto solo la canzone "Adios Amigos", con la voce meravigliosa e unica di Luisa. È stata un'esperienza fantastica di incontro musicale tra il Mali e il Messico. Ritrovarsi in tournée in Europa per l'uscita e la presentazione dell'album è stato formidabile. Africa Express è davvero come una famiglia ed è sempre un piacere ritrovarsi».

Lei vive da molto tempo a Cosenza, non è vero? In questi anni ha visto dei cambiamenti in Italia? Si vive meglio o peggio? E, parlando di musica, gli spettatori sono più o meno attenti e pronti a connettersi con la sua proposta musicale?

«Vivo in Calabria da quasi trent'anni… Come amo dire, sono Afrocalabrese! È normale che ci siano stati dei cambiamenti in trent'anni, in Calabria come nel resto del mondo. Non posso dire se in meglio o in peggio, perché alcune cose sono migliorate, altre sono peggiorate, ma penso che la stessa cosa sia successa ovunque. Quanto alla mia musica e al suo impatto sul pubblico, posso dire che ho sempre avuto un pubblico, soprattutto grazie alla mia curiosità e alla mia capacità di integrare la musica tradizionale della cultura griot della mia città natale con molti altri generi musicali, anche molto lontani dal mio. La mia musica attuale è una miscela di blues roots, blues occidentale, jazz, rock ed elettro, e mi piace che sia sempre aperta e disponibile al cambiamento».

Di tanto in tanto torna in Mali? Com’è attualmente la situazione politica?

«Torno in Mali appena possibile. Ci torno perché la mia famiglia è lì, è la terra dei miei antenati… per me è una terra sacra. La situazione politica è difficile da alcuni anni, ma fortunatamente la pace sta tornando. Prego sempre affinché, non solo in Mali ma nel mondo intero, si possa vivere in pace, perché solo la pace ci permetterà di costruire qualcosa di buono per tutti».

Sono in contatto con persone della casa discografica indipendente Mieruba, originatasi a Ségou nel 2010 e specializzata in musica folk e blues del Mali: la conosce? Ha dei legami con l'Art Center?

«Conosco l'etichetta, ma non ho mai avuto l'occasione di collaborare con loro. Sono molto contento di ciò che fanno, perché è importante per la musica e la cultura maliane».

Nell'ultimo anno il Mali ha perso due giganti come Toumani Diabaté e Amadou: attualmente quali sono gli artisti maliani che considera i più interessanti e che bisogna assolutamente ascoltare?

«È vero, la musica maliana ha perso dei grandi nomi! Toumani era come un fratello per me; suonavamo molto insieme e Amadou era un compositore incredibile e un grande amico. Erano due veri ambasciatori della musica maliana nel mondo, come già altri prima di loro. Oggi, la musica maliana rimane una delle più ricche e varie al mondo. Molti artisti talentuosi perpetuano e fanno evolvere la cultura musicale maliana, e sono sicuro che ce ne saranno altri tra le nuove generazioni».

La figura del griot è ancora popolare in Mali?

«Il griot è una figura estremamente importante della società. Rimane il custode del sapere, della cultura e delle tradizioni, un’autentica biblioteca vivente. È molto rispettato e ascoltato perché è sempre stato considerato un saggio. Certo, questo ruolo si evolve, ma rimane saldamente ancorato nella società».

Lei ha partecipato a una cinquantina di dischi; consigli a un giovane che vuole avvicinarsi alla sua discografia tre dischi di periodi diversi: quali e per quale ragione?

«È una domanda difficile… È vero che ho pubblicato molta musica e partecipato a numerosi progetti musicali, ma ciascuno dei miei album e delle mie collaborazioni è ed è stato il frutto della mia curiosità e della mia esperienza personale. Definisco la mia musica veramente senza limiti… Ho pubblicato album acustici ed elettronici, da solo e con orchestre di 100 musicisti, free jazz e blues tradizionale. Adoro la musica, ho così tante altre idee da esplorare, e il mio consiglio ai giovani è di essere sempre curiosi e di sperimentare».

Al festival “Stato dell’Arte” di Lecce suonerà con Mediterranean Blues: qual è l'origine di questa collaborazione e cosa devono aspettarsi gli spettatori?

«Baba Sissoko & Mediterranean Blues è un progetto musicale che adoro e che porto in tournée da molti anni. È un gruppo fantastico di musicisti con percorsi e stili musicali vari. Mediterranean Blues veicola un messaggio di pace, solidarietà e rispetto della natura, come riflette il nome di questo progetto musicale… il Mar Mediterraneo infatti è sempre stato un luogo di unità e connessione. Il pubblico si imbarcherà per un meraviglioso viaggio musicale, dall'Amadran (l’origine del blues) al funk e al rock, generi declinati attraverso la mia profonda tradizione».

Gli ultimi cinque anni sono stati (e sono ancora) terribili: la pandemia prima e le guerre dopo. Un artista come lei come vive questo periodo? È, nonostante tutto, ottimista? Citando Fëdor Dostoevskij, pensa che alla fine la bellezza riuscirà a salvare il mondo?

«Questi ultimi cinque anni hanno cambiato il mondo! Pensavamo che il Covid ci avrebbe fatto capire il valore della vita e della salute, che ci avrebbe reso migliori e più uniti, ma da allora il mondo è diventato un posto difficile in cui sperare. Ma voglio essere ottimista e continuare a sperare! Voglio credere che l'umanità supererà tutta la bruttezza di cui siamo testimoni e che, uniti, comprenderemo che l'unico modo per salvarci è imparare a mettere l'umanità prima dell'egoismo e dell'interesse personale e che l'unica salvezza è imparare a vivere insieme».

Ultima domanda: ho visto sulla sua pagina Facebook che il 17 ottobre suonerà da solo a Torino, la città dove abito. Dato che non ho trovato questa informazione da nessun’altra parte, la data è confermata?

«Sì, il 17 ottobre suonerò a Torino, l'associazione Stella Nera mi ha invitato per una serata dedicata al Mali... Mi piace l’idea di dar loro una mano e sì, suonerò da solo. La notizia è vera: se verrà, La saluterò volentieri».