Verso Lugano

Christian Wallumrød presenta a Padova il materiale per il nuovo disco

Foto Luca Vitali
Foto Luca Vitali
Recensione
jazz
Centro d'Arte degli Studenti dell'Università di Padova Padova
04 Maggio 2012
Il Centro d’Arte di Padova prosegue la sua programmazione musicale anche quest’anno con un cartellone centrato sul (nuovo) jazz, con proposte mai scontate o di facile richiamo. Christian Wallumrød con il suo ensemble ha presentato parte del materiale che proprio in questi giorni sta registrando a Lugano, scelta ormai come città d’elezione almeno per i progetti discografici. Con sei album usciti per la Ecm e una manciata per altre etichette, Wallumrød ha ampiamente delineato il suo mondo espressivo. L’inizio del live set è quasi feldmaniano, rarefatto fino alla soglia del silenzio, dove ogni strumento utilizza pochissimi suoni caratterizzati da una evidente particolarità timbrica. E questa caratteristica rimarrà per tutta la durata del concerto la cifra essenziale della musica, una ricerca timbrica esasperata ma sempre al servizio di una marcata espressività. Anche le melodie più semplici (che non mancano) sono immerse in un’aura sonora molto elaborata, dove ogni soluzione precostituita (in termini di suono e di orchestrazione) viene scartata in partenza. Il sax tenore (strumento non così facilmente apparentabile al violino e al violoncello, pure presenti nell’organico dell’ensemble) suona per la maggior parte del tempo multiphonics e altri effetti entrati nel repertorio contemporaneo, in ogni caso la sua dinamica non esce mai dal pianissimo; la tromba utilizza il suono soffiato e quando intona melodie il timbro è levigato e asciutto; gli archi mantengono un rigoroso non vibrato e giocano spesso su microintervalli e glissati; la batteria, spesso suonata a mani nude, sembra reinventare il proprio suono a ogni brano; lo stesso Wallumrød al pianoforte affianca un piccolo armonium indiano e un pianoforte giocattolo, ad arricchire la gamma cromatica. E in ogni caso è il sound complessivo dell’ensemble a risultare unico, in un amalgama sempre mutevole di timbri, colori, risonanze. Questa ricerca timbrica non è fine a se stessa ma è sempre al servizio di una lingua musicale dove il ritmo svolge una funzione decisiva. Quasi mai un ritmo pulsante e ostinato; anche qui il lavoro compositivo mira a una costante deformazione prospettica, come anamorfica, di ogni elemento. Le cellule ritmiche vengono decomposte, frazionate, esplorate nei dettagli fino alla scomparsa di qualsiasi regolarità e simmetria. Eccellente anche in questo senso il lavoro dell’ensemble, che suona a memoria partiture spesso di insolita complessità di scrittura. Ma la magia di Wallumrød, almeno quel tratto che gli ha consentito di garantirsi un certo numero di fan, risiede principalmente nell’abile costruzione di melodie arcaiche o baroccheggianti che emergono come squarci di luce nella ricercatissima trama sonora. E quando il concerto si chiude con le note di “Jumpa” e “Eliasong”, l’ascolto può davvero abbandonarsi senza condizioni, in un territorio inesplorato dove l’antico è ancora vivo, senza nostalgie e facili allusioni, ma vivificato da una solida ricerca che trae la sua linfa dal presente.

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