Un Werther fin de siècle

Jean-François Borras e Anna Caterina Antonacci a Valencia per il Werther di Massenet

Recensione
classica
Palau de Les Arts "Reina Sofía" Valencia
Jules Massenet
20 Maggio 2017
Con buon successo, debutta al Palau de les Arts di Valencia un nuovo allestimento di Werther, realizzato in coproduzione con l’Opera di Monte Carlo. La regia si deve al direttore artistico di quest’ultima istituzione, Jean-Louis Grinda, che ha scelto di svolgere la conosciuta vicenda come un flashback del protagonista, riflesso in un magico specchio che si infrange, come a infrangersi è il sogno di felicità dei due innamorati. L’impostazione era già stata usata da Grinda per la sua Tosca, e qui l’idea tutto sommato funziona meglio, perché il protagonista si muove nella società che lo circonda come un estraneo, un’anima sensibile il cui regno non è di questo mondo ed è quindi un predestinato – condizione che la regia simbolizza nel prim’atto con un angelo che si muove al suo fianco. Lo spunto più originale si deve ai costumi e all’ambientazione crepuscolare e un po’ opprimente, da borghesia di fine Ottocento, cosa che corrisponde meglio al carattere intimo della musica, non molto settecentesca. Per il resto Grinda segue l’efficace libretto, mettendo in risalto in modo molto chiaro i vari registri che danno varietà teatrale al racconto: la spensieratezza sempre inopportuna di Sophie, il perbenismo che occulta un fondo sadico di Albert, la sana goliardia degli amici del Bailli, l’idillio familiare di quest’ultimo e dei figlioletti che contrastano con il cuore palpitante dell’opera cioè il sentimento che lega i due protagonisti. Dove Grinda è invece caduto è nella scelta discutibile di accompagnare con un didascalico video, a mostrarci Charlotte che corre nel bosco, la wagneriana musica di transizione tra terzo e quart’atto, momento di svolta interiore del personaggio da ascoltarsi con raccoglimento; e poi nell’ultima scena, dove tra bambini trasformati in angioletti e un Werther mortalmente ferito piuttosto pimpante i conti non quadrano più tanto – ma c’è da dire che il difetto qui è nel manico: la musica sentimentale di Massenet, infatti, smentisce tutti i riferimenti del testo al dovere e all’aldilà, e il finale sarebbe molto più credibile se i due potessero andarsi a godere tranquilli il loro amore senza tante storie. Splendida la prova di Jean-François Borras, che con il suo fraseggio morbido, i colori sfumati e una dizione da manuale ha saputo incarnare il carattere lirico, quasi schumanniano del protagonista. Di grande interesse anche l’interpretazione della Antonacci, che ha fatto di Charlotte quasi una eroina tragica, con un canto fattosi sempre più frastagliato e tormentato, a volte al limite del declamato. Ottima la direzione dell’ungherese Henryk Nánási, che si è andata via via scaldando, dando continuità ai tanti piccoli tasselli del tappeto orchestrale su cui Massenet posiziona i suoi personaggi e modulando a dovere le varie gradazioni di intensità e i chiaroscuri della strumentazione.

Interpreti: Werther Jean-François Borras Charlotte Anna Caterina Antonacci Sophie Helena Orcoyen Albert Michael Borth

Regia: Jean-Louis Grinda

Scene: Rudy Sabounghi

Costumi: Rudy Sabounghi

Orchestra: Orquestra de la Comunitat Valenciana

Direttore: Henrik Nánási

Se hai letto questa recensione, ti potrebbero interessare anche

classica

Napoli: per il Maggio della Musica

classica

Nuova opera sul dramma dell’emigrazione

classica

Al Theater Basel L’incoronazione di Poppea di Monteverdi e il Requiem di Mozart in versione scenica